martedì 16 giugno 2009

NUMERI SU PUBLITALIA E MEDIASET

L'articolo del giornalista de"L'Unità"Marco Bucciantini offre una visione d'insieme su due colossi del capitalismo nostrano in mano al premier macho Berlusconi:ovvero Publitalia,concessionaria degli spazi pubblicitari e costola della più grande Me(r)diaset che detiene il potere mediatico privato in Italia.
E lo fa fornendo numeri tratti da dei dati offerti dalla Nielsen Media in cui si può notare che queste due imprese sul mafioso andante non solo non risentono della crisi economica attuale,ma riescono pure a gonfiare i propri introiti essendo di fatto,grazie alla legge Gasparri,favorite nei confronti di diretti avversari.
L'articolo è interessante sia per quanto riguarda la carta stampata che la televisione,con enormi differenze rispetto al resto delle altre nazioni europee,con riferimenti assurdi per quanto riguarda i cosidetti spot istituzionali dei vari ministeri:infatti per divulgare queste informazioni che svariano da anniversari a messaggi sociali la tv pubblica Rai per legge(ad personam)non riceve nulla mentre Mediaset ricava fior di milioni di Euro.
Comunque c'è da ricordare di come ora la Rai attraverso al direttore Masi ed altre personcine poco raccomandabili sia di fatto pro-Berlusconi(vedi il post http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/05/il-regime-e-la-disinformazione.html).
L'articolo de"L'Unità"di Bucciantini è stato segnalato da Indymedia Lombardia ed è di ieri,mentre la vignetta iniziale di Vauro è datata ma attuale:infatti la frase"Abbiamo la democrazia nel sangue"fu dell'ex Presidente della Repubblica Ciampi.
(Non ho votato Berlusconi!Mi spiace!E'la vergogna della mia nazione!)
Lo ha già fatto: i quotidiani nemici sono senza pubblicità.

In questo paese si è più realisti del Re. Berlusconi chiede agli imprenditori di evitare gli spot sui quotidiani per lui scomodi, ma è cosa già fatta. L’Italia è il paese occidentale con la percentuale più bassa di investimenti pubblicitari sulla carta stampata. Crisi generale, d’accordo. E servilismo al padrone, come Berlusconi sa, perché in questo restringimento di introiti la sua Mediaset, tramite la concessionaria Publitalia, non sente crisi. Il suo gruppo è riuscito perfino ad aumentare la raccolta, che nel 2008 è stata sui 3 miliardi di euro. Mediaset ingrassa, mentre gli altri media boccheggiano. Una posizione di forza e di privilegio coltivata negli anni, blindata dalla legge Gasparri che ha alimentato il duopolio e adesso monetizzata. Per due ragioni: la sudditanza psicologica, l’intervento diretto.
Servilismo.
Ai potenti i favori si fanno, non devono nemmeno chiedere. È la sudditanza psicologica: così, negli ultimi dodici mesi - dati Nielsen Media - i maggiori 15 inserzionisti del nostro mercato hanno aumentato i loro investimenti su Mediaset per 30 milioni. La Rai è rimasta pressoché ferma. In questo scorcio di 2009 i quotidiani stanno assorbendo un calo drammatico del 15% sull’anno precedente, che è stato il peggiore di sempre. Va ricordato che il mercato pubblicitario in Italia è perverso: se in Germania le tv assorbono un quarto delle risorse, in Francia il 30%, in Spagna poco più, qui il rapporto è contrario. Le televisioni si mangiano il 65% della torta. Il resto è per la stampa, che già fronteggia il calo dei lettori (91 copie ogni mille abitanti - quando in Giappone sono 624, nel Regno Unito 300, nei paesi scandinavi fra i 450 e i 600). L’annus orribilis, lo hanno definito gli editori, sul quale soffia il presidente del consiglio, sordo all’articolo 21 della Costituzione, che promuove e tutela il pluralismo nell’informazione.
E spinte.
I dati Nielsen illustrano una situazione curiosa: davanti alla contrazione degli investimenti in pubblicità commerciale (da 8 miliardi e 172 milioni a 7 miliardi e 978 milioni), il gruppo di Berlusconi divora il 38% del gruzzolo. Mediaset ha il vento in poppa, gli altri annaspano controvento. La carta stampata - tutta insieme - è al 33,4%. Quello che Berlusconi auspica lo ha già praticato, strangolando i quotidiani. Giovando anche della mano che aiuta: le grandi aziende legate al Tesoro, quindi alla politica - Enel, Eni, Poste Spa - hanno foraggiato Mediaset. Eni ha versato 17,8 milioni a Publitalia, 5 milioni in più rispetto al 2007, in un quadro di risparmi aziendali. L’Enel è passata da 10 milioni a 13. Le Poste Spa negli ultimi due anni hanno moltiplicato per sei la quota per il Biscione. Clamorosa la paghetta degli investitori istituzionali: quando i ministeri e la presidenza del consiglio informano i cittadini con le campagne sui temi sociali (ma anche sull’anniversario della nascita di Garibaldi) la Rai non riscuote (per legge), Mediaset sì: è passata da 4,5 milioni a quasi 9. Con il risvolto grottesco dei 35 spot per i 60 anni della Costituzione con cui s’infarcì la programmazione di Rete4, canale sentenziato come incostituzionale.
Bulimia.
Ma la crisi è dura, checché ne dica Berlusconi (che intanto - si è visto - mette al riparo le sue aziende). Così l’ordine è di spremere ancora, e il ministro Bondi non si sottrae, quando c’è da dimostrare zelo. La sua proposta di rinsecchire la Rai, togliendo gli spot a una rete pubblica, sarebbe costata alla concessionaria Sipra circa 400 milioni di euro. Dove sarebbe finito il bottino è inutile ricordarlo. L’idea inorridì l’ex direttore generale della Rai, Claudio Cappon. Ma adesso su quella poltrona c’è Mauro Masi, grand commis dello Stato, ganglo per anni di Palazzo Chigi, gradito a Berlusconi. Che vede complotti, e davanti agli attacchi del Times paventò l’acredine di Murdoch, senza però mai - mai - nominarlo pubblicamente, restando allusivo (cosa che invece non si risparmia con Repubblica e l’Unità). Forse perché Sky non è così nemica: negli ultimi due anni ha offerto i suoi bouquet su Mediaset per 34,5 milioni. Réclame che sulla Rai sono “passate” assai meno frequentemente, per un conto di 4 milioni scarsi. Pecunia non olet, si diceva un tempo. Berlusconi chiede agli imprenditori di evitare di fare pubblicità sui quotidiani disfattisti, ma la realtà è già questa. Grazie al suo potere, Mediaset si divora i soldi degli inserzionisti, uccidendo il pluralismo.

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