lunedì 12 agosto 2013

SOLDI AGLI EXTRACOMUNITARI?

L'articolo preso da Senza Soste parla di una delle favole che razzisti e anche persone non proprio così cattive e rincoglionite amano raccontare e farsi sentir dire,ovvero i soldi che lo stato italiano da agli extracomunitari senza che loro lavorino.
Una boiata che però se detta molte volte e soprattutto alla televisione diventa verità,perché inculcata nelle menti non certo di prima brillantezza e intelligenza:il racconto qui sotto parla di un dialogo avvenuto su un treno tra due signore italiane.
Tra una battuta e l'altra esce proprio il discorso sui sussidi che l'Europa fornisce ai soli rifugiati(2,5 Euro al giorno se arrivano),con l'Italia che ci guadagna sopra alla grande,e sono proprio le persone da cui non ti aspetteresti mai essere intolleranti e xenofobe(quelle del classico"ma io non sono razzista")che sono pericolose alla pari di quei casi conlcamati da ignoranza cavalcante.

Gli extracomunitari prendono il sussidio. O no?
Un viaggio in treno forse non basta a smontare una delle peggiori leggende metropolitane razziste. Un racconto di Sara Elter per Popoff.
La donna seduta davanti a me, in treno, lavora per le mense degli ospedali, fa la cuoca. Ha l'aria buona, materna, come le donne di Botero: è molto bella. Mi racconta la sua vita, io le racconto la mia di disoccupata, precaria, a 50 anni.
Si dice preoccupata - meno male che uno su cento capisce - del fatto che in Italia ci sono tanti disoccupati over 35 e nessuno dice o fa nulla. Semplicemente non esistono. Poi mi confessa di aver votato Movimento Cinque Stelle, perché lei sperava cambiasse qualcosa. Un po' si è pentita, dice.
Così il discorso scivola inesorabile, frana al suolo, grazie alla solita, triste e anche un po' vera, frase: "Sì, però, potrebbero far lavorare gli italiani. Agli stranieri lo danno il sussidio di disoccupazione, sì" mi dice soddisfatta.
Così tiro il fiato e inizia la mia spiegazione, che dura quanto il viaggio Milano-Torino. Le spiego che lavoro mi sono trovata a fare: sei mesi in una comunità di accoglienza per rifugiati. "Proprio quelli che arrivavano da Lampedusa", le dico.
Le spiego della questione del pocket money, quella cifretta data ogni mese e solo per due anni, quando non glieli hanno rubati, di 2,5 euro al giorno. Le racconto che quelle le paga l'Europa, migliaia e migliaia di euro che si prende lo Stato e lo spartisce tra questo e quell'altro amico o amico dell'amico. Perché c'è un accordo tra Stati che chi li fa entrare se li tiene anche. Viene schedato. E poi le dico come ora siano tutti per la strada. Senza lavoro e senza poter andare via dall'Italia, verso altri paesi più fortunati in Europa, dove magari hanno parenti e amici.
Le spiego che non tutti possono rimpatriare. Alcuni rischiano la vita, altri guerre sanguinarie e fratricide. Le racconto ciò che mi hanno raccontato i ragazzi afghani. Le racconto che per il passaggio dalla Turchia alla prima isola greca, una manciata di ore di navigazione a bordo di un canotto di quelli che si gonfiano a pedale e due soli remi, si pagano circa 8 mila euro.
Si arriva a Venezia aggrappati sotto i camion dalla Grecia, pregando tutto il tempo che non ti trovino. Mai. A volte si rischia anche di essere massacrati di botte, dagli autisti e dai marinai dei traghetti. Poi si sta nascosti a Marghera, sperando di non venire identificati e schedati, per raggiungere l'Austria ed il resto d'Europa. Perché se ti fermano in qualunque paese europeo, tu "appartieni" al paese dove sei entrato e dove ti hanno identificato e ti accompagnano molto gentilmente alla frontiera.
Non le racconto di più, ci sarebbe un romanzo da scrivere al riguardo. Scendo a Torino Porta Susa sperando di non averla annoiata. Sperando che da domani, quando guarderà i somali, i congolesi, i nigeriani, gli afghani, gli iraniani e gli iracheni e tanti altri ancora, si faccia qualche domanda in più, magari si faccia spiegare. Magari direttamente da loro, che sono certamente più bravi di me.
Sara Elter
tratto da http://popoff.globalist.it
11 agosto 2013

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