mercoledì 18 dicembre 2013

APRIRE GLI OCCHI SULLA PALESTINA

L’incontro che ha caratterizzato politicamente e socialmente Crema lo scorso weekend ha avuto come comune denominatore la Palestina e le condizioni dei suoi abitanti che sono squallide e molto al di là dei limiti della minima decenza. Il festival “Torniamo umani-Ticket to Palestine”si è avvalso nei giorni di sabato 14 e domenica 15 dicembre scorsi di molte persone ed associazioni che si occupano da anni sia in Italia che direttamente in Medio Oriente di aiutare la popolazione palestinese non solo con aiuti economici tangibili ma anche con un supporto psicologico ed umanitario di vicinanza e di fratellanza con questo territorio martoriato da una guerra che si protrae da decenni il cui termine è ancora avvolto in una fitta nebbia. I vari dibattiti sono stati propositivi per poter diradare tale foschia,cominciando dal primo di Guido Veronese dell’università milanese Bicocca che ha lavora tra l’altro come psicologo e ricercatore in zone di guerra tra cui quella palestinese,ed ha voluto dare una sorta di quadro generale senza dare giudizi ma raccontando quello che succede in quel territorio dove innanzitutto c’è un peggioramento degradante delle condizioni umane delle persone impossibilitate a spostarsi liberamente. Lo stato palestinese all’interno di quello Israeliano è diviso in due parti:la prima è la striscia di Gaza che da sul mare Mediterraneo ed è lunga all’incirca un sessantina di chilometri per una larghezza media di tredici,mentre la seconda più grande è la Cisgiordania o West Bank,che è posta più all’interno confinando ad est con la Giordania. Entrambe le zone hanno come confine un alto muro,che si è voluto rappresentare all’ingresso della mostra dedicata al festival con fotografie e banchetti delle varie organizzazioni,e non si può uscire né entrare tranne che con autorizzazione militare concessa da Israele per casi straordinari e molto difficile da ottenere. Parlando specificamente del West Bank che dalla mappa sembrerebbe un territorio esteso a confronto della striscia di Gaza,tale visione geografica non deve ingannare l’occhio in quanto all’interno,sempre delimitato da un muro(green line)costruito all’interno dei confini delineati da Israele e quindi già”mangiando”territorio palestinese in alcuni casi anche di venti chilometri,vi sono tre aree distinte. La prima è quella a completa giurisdizione palestinese,poi vi è una a giurisdizione palestinese con presidi militari israeliani e una terza sotto controllo totale israeliano,quindi è evidente che dei territori come gli insediamenti dei coloni sottraggono altro territorio che dovrebbe essere solo Stato palestinese. Parlando di questi ultimi insediamenti israeliani essi appaiono apparentemente isolati gli uni dagli altri,ma in realtà sono collegati strategicamente da strade percorribili solo da loro e dai militari israeliani,recintate da alte barriere metalliche,così come è esclusività loro un sistema fognario specifico. Oltre a questo ci sono i check points,sia fissi che mobili a seconda delle esigenze,che secondo Israele servono per limitare le incursioni armate ma che in realtà hanno come obiettivo subdolo l’impedire il passaggio libero delle persone e dei beni di consumo palestinesi. Vi sono trincee,enormi buche scavate scientificamente dagli israeliani,che bloccano accessi e passaggi per i palestinesi con lo scopo strategico di impedire la continuità della loro vita,esistono quindi ogni sorta di barriere costruite artificialmente per dominare il popolo sottomesso. Poi il Dottor Veronese cita un discorso razzista che pronunciò Churchill(il territorio palestinese per anni è stato una colonia inglese fino all’avvento della nascita dello Stato di Israele nel 1948)che dice riferendosi al popolo della Palestina:”Non credo che il cane in una mangiatoia acquisti alla fine il diritto a mangiare sebbene abbia potuto giacere lì per molto tempo.Non ammetto quel diritto.Non ammetto per esempio che agli Indiani d'America oppure ai neri d'Australia sia stato fatto un grande torto.Non credo che a questi popoli si sia fatto un torto per il fatto che una razza più forte,di grado superiore,una razza più mondialmente saggia,per dirla così,è arrivata e ne ha preso il posto". Questo proclama razzista dice in breve che una popolazione che si autoproclama superiore ha non solo il diritto ma anche il dovere di conquistare territori e popolazioni ritenute inferiori,e non da meno negli anni diversi primi ministri israeliani definirono i palestinesi il”nulla”,”cavallette da schiacciare”e”animali a due gambe”. Il discorso va avanti portando l’esempio di come Israele voglia cancellare anche il passato recente di chi abbia abitato le terre che ora fanno parte dello Stato di David come la città di Saffuri,a pochi chilometri da Nazareth,rasa al suolo per costruire un kibbutz e che ora è sbriciolata e sepolta da un bosco di conifere,il quale necessita per la sopravvivenza di enormi approvvigionamenti di acqua:ciò è stato creato sia per dimostrare la propria potenza in una terra dove la siccità è un problema enorme,sia per eliminare il ricordo che lì vi era stata una città araba. I kibbutz e gli insediamenti coloniali posti nei territori palestinesi sono insediati spesso su territori costruiti su colline artificiali in modo da fare arrivare le proprie fogne sui territori a valle di competenza palestinese in modo da poter inquinare le fonti d’acqua già scarse dei palestinesi in quel gioco spietato e tragico che è stato denominato”la politica della merda”. Altro esempio che ha come fine di umiliare e non solo di controllare i palestinesi è il fatto che molti agricoltori,per via delle imposizioni di confini artificiali assurdi posti da Israele,per poter raggiungere terreni della propria azienda distanti poche centinaia di metri debbano percorrere a volte anche venti chilometri per poterci arrivare:lo scopo è quello di esasperare la popolazione e far capire che se vogliono vivere lo devono fare fuori dalla loro terra di appartenenza,in una vera e propria pulizia etnica senza sterminio diretto. Infine al di la del discorso antisemitico e antisionista che approfondirà l’intervento successivo,la strategia israeliana attua anche accorgimenti per aumentare la diffidenza che già esiste tra i musulmani ed i cristiani,facendo mancare quei sentimenti di integrazione e di comune convivenza che Israele mai vorrebbe. L’intervento di Guido Veronese fa capire che la Palestina oggi come oggi e soprattutto la Cisgiordania sia un territorio di sperimentazione di tecnologia del potere. Quindi prendono parola Alfredo Tradardi e successivamente Diana Carminati di Ism(International Solidarity Movement)che senza misure parlano delle mire del progetto israeliano affermando che il sionismo è un filo spinato dietro il quale è celata la giustizia nei confronti dei palestinesi. La soluzione di due popoli in due Stati non risolve il nodo cruciale che è il diritto al ritorno dei profughi,e che il suddetto sionismo altro non è che un colonialismo d’insediamento,nato con l’intento di essere un movimento nazionale. A differenza per esempio dell’Italia coloniale che invase altri territori con lo scopo di sfruttare popoli e risorse Israele ha come obiettivo la cacciata degli indigeni con l’esclusività finale di uno Stato israeliano ed ebraico. Il”problema palestinese”secondo l’intervento di Tradardi non nasce nel 1967 con la guerra dei sei giorni ma molto prima,dalle origini di Israele e anche antecedentemente,asserendo che nessun popolo rinuncia alla propria libertà senza combattere,giustificando le azioni di guerriglia che il popolo oppresso attua nei confronti del vessatore. Il filo del discorso parla degli accordi di Oslo di vent’anni fa che sono stati una farsa in quanto la Palestina è stata venduta dall’Olp,in un susseguirsi poi di incontri e negoziati che fanno parte”dell’industria degli incontri di pace”che si tengono negli alberghi più lussuosi del mondo e che poi alla fine non arrivano mai a portare a casa dei risultati concreti. Parlando di cosa possa fare l’Italia in campo politico e sociale si parte dal primo compito che sarebbe quello di cominciare a condannare le soluzioni che fino ad oggi sono state messe in campo e che sono soluzioni sioniste,e supportato sia da membri politici di centrodestra che di centrosinistra,perché ancora oggi parlare di antisionismo in Italia è considerato un tabù. Sarebbe auspicabile boicottare i prodotti israeliani e attuare una soluzione etica cominciando a decolonizzare la Palestina storica,perché se si vuole far parte di un’Europa dei diritti non si deve appoggiare lo stato razzista d’Israele. Più che parlare del conflitto”israelo-palestinese”sarebbe meglio dire”liberazione”del popolo della Palestina in quella che sempre più e anche da parte di alcuni un tempo intransigenti su questa linea politica come gli Usa che da sempre hanno appoggiato e difeso la politica di occupazione israeliana,vedono in certe personalità importanti e grazie al lavoro di professionisti e volontari,un calpestamento di semplici e fondamentali diritti umani. Queste ricerche e studi fatti senza dare giudizio non danno soluzioni anche al milione e mezzo di popolazione araba che vive all’interno dello Stato d’Israele che sono oggetto di vessazioni e lasciati ai margini della società e trattati come dei paria. Purtroppo ho potuto seguire solo fino a questo punto degli interventi e anche nella giornata di domenica non sono potuto esserci,ma credo che questa iniziativa abbia aperto gli occhi a chi ancora non lo avesse fatto sulla questione palestinese e sul come sia difficile(un eufemismo)la vita di questo fiero popolo.

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