mercoledì 30 aprile 2014

SIETE MORTI E NON LO SAPETE

Come contributo all'ennesimo vilipendio della morte di Federico Aldrovandi voglio proporre il breve e succinto dispaccio Ansa ripreso da Contropiano(http://contropiano.org/malapolizia/item/23661-il-sindacato-della-licenza-di-uccidere )che decide di non commentare i cinque minuti di applausi verso tre dei quattro assassini del giovane ferrarese ammazzato come un cane il 25 settembre del 2005.
La vicenda di Federico(un link sui tanti dedicate a lui su questo blog:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/07/la-tenacia-della-famiglia-aldrovandi.html )che ha visto Paolo Forlani,Luca Pollastri,Enzo Ponzani e Monica Segatto condannati per il loro sporco assassinio a soli tre anni e sei mesi di cui tre subito condonati e gli altri vissuti solo a sprazzi in galera e poi nuovamente al loro posto lavorativo,è uno dei casi che più in Italia hanno allontanato la fiducia ed il rispetto verso le intere forze dell'ordine,che già non era molto visto anni di abusi,corruzione ed impunità.
Il fatto che ieri tre merde delle quattro durante il raduno(che reputo un termine più adatto rispetto a congresso)del sindacato sbirresco Sap,e già dopo il caso del Coisp nella città di Ferrara quando manifestarono sotto alle finestre della mamma di Federico solidarietà e vicinanza a quegli assassini che rappresentano(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2013/03/a-calci-in-faccia.html )è di una ignominia e di una tristezza tale da meritare molta attenzione visto che erano presenti anche due tra le facce di merda più in vista della politica italiana,Gasparri e La Russa.
Queste due presenze fanno capire una volta su tutte spero,che la polizia italiana altro non è che l'emanazione del fascismo cacciato dopo una guerra atroce,e che i vertici di quel regime al posto di venire come minimo incarcerati a vita invece siano stati messi al comando dell'apparato poliziesco e militare dell'Italia(vedi:http://www.senzasoste.it/istituzioni-totali/polizia-di-stato-europeo ).
Che poi lo stesso capo degli sbirri Pansa,il premier Renzi e addirittura il ministro dell'interno Alfano siano stati dalla parte della signora Patrizia Moretti condannando il fatto è più un dato da campagna elettorale che una vera e propria difesa della memoria del figlio,ed ora che sta lievitando il nuovo caso di Riccardo Magherini pestato a morte dai carabinieri delle teste dovranno saltare,e non solo metaforicamente.

Il sindacato della licenza di uccidere.


Ci sembra il caso di riportare unicamente il testo dell'Ansa, senza i commenti che ognuno di voi saprà fare con altrettanta indignazione.
Circa cinque minuti di applausi e delegati in piedi alla sessione pomeridiana del Congresso nazionale del Sap, il sindacato autonomo di Polizia, per tre dei quattro agenti condannati in via definitiva per la morte del 18enne Federico Aldrovandi durante un controllo il 25 settembre del 2005 a Ferrara: Paolo Forlani, Luca Pollastri e Enzo Pontani.
I tre agenti presenti al congresso del Sap, sono stati condannati dalla Corte di Cassazione il 21 giugno del 2012 per eccesso colposo in omicidio colposo a tre anni e sei mesi, tre anni dei quali coperti dall'indulto. Oltre ai tre poliziotti presenti al congresso riminese, nel caso Aldrovandi era coinvolta anche un'altra poliziotta, Monica Segatto. I quattro hanno trascorso alcuni mesi in carcere.
"Mi si rivolta lo stomaco. E' terrificante", reagisce Patrizia Moretti, madre di Federico. "Cosa significa? Che si sostiene chi uccide un ragazzo in strada? Chi ammazza i nostri figli? E' estremamente pericoloso".
Il capo della polizia Alessandro Pansa aveva da poco lasciato la sala dopo aver parlato delle “nuove regole d’ingaggio” in ordine pubblico che si rendono necessarie dopo gli abusi documentati in occasione degli incidenti dello scorso 12 aprile a Roma.
#vialadivisa
Vedi anche:
http://contropiano.org/malapolizia/item/23669-polizia-di-stato-europeo
http://contropiano.org/politica/item/23653-la-pesante-aria-di-roma
http://contropiano.org/malapolizia/item/23673-magherini-ora-nove-indagati-per-omicidio

martedì 29 aprile 2014

MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA OGGI A MILANO

Oggi a Milano ci saranno due manifestazioni che in un paese normale non avrebbero ragione d'esserci se non fosse il fatto che una è conseguenza dell'altra e che quella autorizzata con tutti i canoni non potrebbe nemmeno essere minimamente autorizzata in quanto contro la carta costituzionale italiana.
Quella indetta dai cameratti in piazzale Susa in ricordo di tre fascisti morti tutte e tre casualmente il 29 aprile di diversi anni è infatti un'onta ad un paese liberato col sacrificio e col sangue dal nazifascismo,e solo il 25 aprile ricordo che si è celebrata la festa e ricordata la memoria di tutte quelle vittime che hanno combattuto contro l'invasore tedesco ed il collaborazionista fascista.
La contromanifestazione indetta dal mondo antifascista riunito nel "Comitato Milano 29 Aprile: Nazisti no grazie!”in piazzale Oberdan per le 19 è frutto della protesta contro la concessione del sindaco"di sinistra"Pisapia che ha lasciato la patata bollente in mano alla Prefettura,che ha da subito concesso il permesso a manifestare ai neo fasci e che ha impedito lo stesso permesso fino a qualche giorno fa agli antifascisti se non avessero spostato il luogo del concentramento iniziale del corteo.
Infatti siamo in uno Stato dove le croci celtiche e le svastiche ed inneggiare ai fascisti con tanto di saluti romani si può fare mentre un evento come quello del comitato antifascista viene vietato,e questo è frutto di una determinazione a non demolire un sistema ed un'ideologia che sarebbe bandita a priori dalla Costituzione italiana e che invece una parte della politica e tanta parte delle forze autoritarie poliziesche e militari vogliono nuovamente.

Milano, il 29 aprile sfilano i neofascisti: Pisapia scarica barile sulla Prefettura.

Da qualche giorno per le strade di Milano sono comparsi alcuni manifesti che indicono un corteo per domani sera con lo slogan “29 Aprile, noi non dimentichiamo”. Grafica e stile della locandina fugano subito ogni dubbio rispetto alla connotazione politica della manifestazione: la firma dell’evento è costituita da un secco “i camerati”, accompagnata da una grossa croce celtica.
Da sei anni a questa parte, infatti, la data del 29 aprile è diventata l’occasione per organizzazioni, militanti neofascisti e nostalgici del ventennio di tutta Italia per sfilare per le vie del capoluogo lombardo con una vera e propria parata fatta di saluti romani, svastiche e sventolio di bandiere nere e tricolori.

Il pretesto è dato dall’anniversario delle morti del gerarca fascista Carlo Borsani, fucilato dai partigiani durante la Resistenza, del militante del Fronte della Gioventù Sergio Ramelli e dell’avvocato ed esponente politico del Movimento Sociale Italiano Enrico Pedenovi. Per tutti e tre la data è quella del 29 Aprile, anche se gli omicidi sono avvenuti ovviamente in anni diversi (rispettivamente il 1945, il 1975 e il 1976).

La manifestazione viene indetta ogni anno a pochi giorni dalla festa della Liberazione per creare una sorta di provocatoria contrapposizione con la giornata del 25 aprile. L’anno scorso i partecipanti, partiti come di consueto da piazzale Susa, nei pressi del Politecnico, erano alcune centinaia e hanno sfilato in pieno stile militare gridando i nomi dei tre militanti fascisti uccisi.

Un evento inquietante e vergognoso che però per diverso tempo ha potuto contare sul lasciapassare o sulla non interferenza delle istituzioni locali, diventando così evento di richiamo per tutte le sigle dell’odierna estrema destra e per chi si autoproclama pubblicamente “fascista del terzo millennio”.

Pochi giorni fa il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha preso parola sulla parata, affermando sulla propria pagina Facebook che «Il 29 aprile ricorre il 39esimo anniversario della tragica morte di Sergio Ramelli la cui commemorazione è giusta e doverosa. Ma è altrettanto giusto e doveroso opporsi alla bieca strumentalizzazione di questo tragico evento attraverso la parata nazi-fascista che da anni deturpa la nostra città. Mi auguro vivamente che le autorità competenti facciano tutto quanto possibile per evitare questa grave offesa alla Milano Medaglia d’Oro della Resistenza».

Una dichiarazione che suona un po’ come una sgravo di responsabilità perché il primo cittadino sembra voler delegare l’intera faccenda alla Prefettura milanese, facendo così di una questione profondamente politica un mero problema di ordine pubblico.

E proprio l’ordine pubblico è al centro delle preoccupazione della Questura in questi giorni: contro la parata nazi-fascista, infatti, si è costituito il “Comitato Milano 29 Aprile: Nazisti no grazie!” che per domani ha lanciato un contro-evento per opporsi alla sfilata nera. Sul volantino di convocazione si legge: «Il 29 Aprile partecipiamo alla grande manifestazione antifascista. Concentramento ore 19 in piazza Oberdan per un corteo che terminerà nei pressi del luogo dove il 30 Aprile 1976 Gaetano Amoroso è stato ucciso da una banda di assassini fascisti usciti dalla sezione del Msi di via Guerrini. Questa mobilitazione riguarda tutti, giovani e meno giovani. E impegna anche le istituzioni pubbliche, le associazioni e i sindacati a fare la loro parte perché si chiuda per sempre questa pagina».

Nelle scorse settimane il Comitato antifascista aveva richiesto con ampio anticipo l’autorizzazione a partire con un corteo dallo stesso luogo scelto dai camerati per la propria parata ma il questore Luigi Savina l’ha rifiutata adducendo il rischio di gravi problemi per l’ordine pubblico. Il permesso per la manifestazione di chi non ci sta a veder sfilare i neofascisti è stato infine accordato ma per un’altra zona della città, lontana da piazzale Susa, nell’intento di tenere a distanza i due cortei.



lunedì 28 aprile 2014

L'ENNESIMA FIGURA DI MERDA DI BERLUSCONI

L'ennesima pessima figura personale di Berlusconi in campo politico europeo,ed aggiungerei mondiale,è il reiterarsi di uno squallore che lo segna sempre di più sia sul lato pubblico che su quello privato,già minato da seri problemi legati allo sfruttamento della prostituzione.
Le reazioni all'ultima provocazione secondo cui l'ex premier clown ritiene i tedeschi negazionisti sull'esistenza dei lager ha provocato una fitta serie di ripercussioni non solo in Germania ed in Italia ma un po' ovunque,con un'ignoranza colossale degna proprio della sua persona e di quelli che lo supportano ancora.
L'incandidabile elemento di Forza Italia,il cui partito nuovamente si basa sul suo nome per presentarsi alle prossime elezioni politiche europee del prossimo mese,è alla ricerca di insulti o forse di una scusa per farsi passare come un semi infermo di mente per via dei suoi guai giudiziari che saltano fuori quotidianamente.
L'articolo preso da"Il fatto quotidiano"cui aggiungo pure questo(http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/26/berlusconi-per-tedeschi-lager-mai-esistiti-pse-dichiarazioni-spregevoli/964824/ )parla della possibile esclusione da parte della coalizione del Ppe di Forza Italia e delle reazioni del Pse,Junker e Merkel.


Berlusconi e il caso Olocausto, Juncker: ‘Nauseato’. Merkel: ‘Affermazione assurde’"Attacchi inaccettabili". Le sue dichiarazioni "mi hanno nauseato" ha aggiunto il candidato del Ppe alla presidenza della Commissione europea. È il momento di "riunire l’Europa, non di creare ulteriori divisioni" . Stesso commento espresso dalla cancelliera Merkel: "Frasi talmente assurde che il governo tedesco non le commenta".




Dure prese di posizione di Jean-Claude Juncker e Angela Merkel sulle affermazioni di Silvio Berlusconi che sabato ha accusato i tedeschi di ritenere che i lager non siano mai esistiti.Le accuse dell’ex cavaliere irrompono nella scena europea a un mese dalle elezioni e creano una frattura all’interno del Partito popolare europeo, lo stesso a cui appartiene Forza Italia.
Le frasi di Berlusconi “mi hanno nauseato. Gli chiedo di ritirarle immediatamente e scusarsi con i sopravvissuti dell’Olocausto e con i cittadini della Germania”, ha affermato il candidato del Ppe alla presidenza della Commissione europea. 
Il portavoce di Angela Merkel, Steffen Feibert, ha fatto sapere che quelle dell’ex cavaliere sono dichiarazioni “talmente assurde che il governo tedesco non le commenta”. Con l’Italia “abbiamo un rapporto stretto e di amicizia”, ha aggiunto il portavoce della cancelliera.
Dopo avere dato nel 2003 del “Kapò” all’europarlamentare tedesco Martin Schulz, Silvio Berlusconi sabato è tornato sull’argomento in occasione della presentazione delle euro-candidature di Forza Italia. “Non volevo offenderlo” dice l’ex cavaliere, ma accusa la Germania di essere revisionista sui campi di concentramento: “Per i tedeschi – afferma Berlusconi – i campi di concentramento non sono mai esistiti”.
“Durante la crisi – ha ricordato Juncker in una nota anticipata all’Adnkronos - la Germania, come molti altri Paesi membri Ue, ha dimostrato una solidarietà senza precedenti con i Paesi europei in difficoltà. Questi Paesi hanno anche loro preso misure senza precedenti e spesso dolorose per stabilizzare le loro economie e finanze pubbliche”. Per l’ex premier lussemburghese è il momento di “riunire l’Europa, non di creare ulteriori divisioni”. L’Italia, ha concluso Juncker “è una grande nazione, ma anche la Germania lo è. Tutti i 28 Paesi membri dell’Ue sono grandi nazioni. Nessuno ha il diritto di insultare amici e partner nell’Unione Europea. Nella politica europea non c’è posto per dichiarazioni divisive che tradiscono i valori su cui si basa la nostra Unione”.
Renato Brunetta rilancia contro il leader del Ppe –  ”Ora che anche Juncker si dimostra succubo di questa nouvelle vague prona alla Grande Germania, che ha impoverito il sud dell’Europa e ingrassato i conti delle banche tedesche, la posizione di Berlusconi appare più che mai lungimirante e realistica”, ha affermato il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta. ”Le dichiarazioni di Juncker sono esse sì incresciose, e purtroppo figlie di un triste calcolo elettorale: la paura cioè di perdere i voti della Merkel”. Altro che “scusarsi con tedeschi ed ebrei – aggiunge Brunetta – Berlusconi non ha affatto scherzato sull’Olocausto, né accusato a vanvera un popolo che stimiamo e amiamo, ma ha dato voce a un timore serio e realistico dell’opinione pubblica non solo italiana”.

domenica 27 aprile 2014

EVENTO CANONIZZAZIONE,SOLDI E SPETTACOLO

Spaghetti Pope Spaghetti Popes (3D)
Oggi è il grande giorno della canonizzazione dei due papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II,e come contributo scelgo quello ironico di Don Zauker(http://donzauker.it/2014/04/26/gp2-e-g23/ )e mantenendo la stessa linea non giudico più di tanto questo evento per rispetto dei credenti,ma un paio di puntualizzazioni è giusto farle.
Innanzitutto sono due figure antitetiche l'una all'altra,perché se il papa bergamasco più volte era stato tacciato di aver avuto idee socialiste se non comuniste il secondo,il polacco,è stato uno dei personaggi più anticomunisti in assoluto dello scorso secolo.
Fermandomi solo su questo e comunque già seguendo il filo di molti loro discorsi passati alla storia si riesce a capire la differenza sostanziale di carattere,di umiltà e di spessore tra due dei massimi esponenti della chiesa cattolica,che verranno presentati allo show da papa Francesco e da papa Nazinger.
Un secondo ed ultimo punto che vorrei sottolineare è il grande movimento di denaro che circola attorno a questo avvenimento,con gadgets di svariata natura il tutto con le effigi dei due nuovi santi e che non si ferma alla giornata di oggi ma che guarda sia al passato ed al futuro,milioni di Lire prima e di Euro poi che arricchiscono le persone speculando sulla fede.
Per non parlare del denaro necessario per l'organizzazione della giornata di oggi,per l'accoglienza e la sicurezza dei fedeli cui il Vaticano ha contribuito in minima parte mentre per il resto sono soldi pubblici di tutti i contribuenti,cattolici e non.

GP2 E G23


In queste ultime ore, in rete, è tutto un fiorire di commenti e critiche circa la canonizzazione di Papa GP2 – KW e Papa G23 – AGR, anche da parte di nostri amici o di persone che comunque stimiamo.
E altrettanti sono i lettori e i conoscenti che ci invitano ad esprimerci e dire qualcosa contro questa carnevalata che andrà in scena domani, in piazza San Pietro (e su Sky, anche in 3D… a proposito della difficoltà di riuscire a dire qualcosa di grottesco quando la realtà supera la più assurda fantasia…).
Ma noi non diremo una parola contro queste canonizzazioni.
E non tanto perché non ce ne importi una sega, cosa peraltro vera e scolpita nel marmo, ma perché riconosciamo alla Chiesa Cattolica il pieno diritto di nominare santo chi cazzo le pare.
Criticare la canonizzazione di questo o quel personaggio, adducendo come motivazione che era amico dei dittatori fascisti, che non ha fatto niente contro i pedofili, che appiccicava le caccole sotto il davanzale, che era tifoso del Pisa etc… vuol comunque dire accettare di ragionare secondo le loro regole e le loro logiche (o assenza di esse).
Vuol dire farsi dettare, ancora una volta, le regole da questi ridicoli gonnelloni.
Che valore ha, in una società mediamente evoluta e laica, la nomina di santo?
Più o meno la stessa di Stregone, Hobgoblin, Cavaliere dello Zodiaco, X-Men o Jedi.
Certo, un santo andrà sui calendari senza doversi spogliare, ma non ci sembra un grande privilegio. Certo, intorno a alla sua figura fioriranno attività commerciali, come intorno a Prezzemolo è fiorita Gardaland, ma nessuno ci obbliga ad andarci.
Contestare questa o quella nomina, dicendo: “No, quello era una carogna, non è giusto farlo santo” equivale a riconoscere ed accettare un mondo dove esistono santi, madonne che piangono, Padripii e chi più ne ha più ne metta.
Equivale ad accettare di giocare secondo le loro regole.
Ma noi quelle regole non le riconosciamo e non crediamo di essere anticlericali o anti niente, siamo solo persone ragionevoli.
Sono loro che sono anti qualcosa: antiragione, anticritica, antilogica, anticonoscenza, etc…
E finché stanno nel loro mondo di fantasia, nel loro gioco di ruolo, possono fare quello che vogliono, ci mancherebbe altro.
Noi non vogliamo semplicemente giocare, grazie.
Anche per questo, facciamo un nuovo Don Zauker.

sabato 26 aprile 2014

STIPENDI DA FAME?




Prendendo spunto dai fatti dell'ultima manifestazione di Roma sul diritto alla casa(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2014/04/zaini-o-persone.html )ecco un articolo preso da Senza Soste con un'intervista al prefetto romano Pecoraro che difende ai limiti del ridicolo l'operato delle forze del disordine con la solita manfrina della gente che prende poco e si fa un culo tanto.
Ribadendo che lo stipendio da elemosina così come in molti rimarcano quasi quotidianamente,sia politici che sbirri,sia una palla assurda perché 1200 Euro al mese non li prende nessuno e come evidenziato dalla tabella sotto gli stipendi lordi riferiti alla polizia(stipendio più indennità pensionabile)che è ancora riferita al 2010.
L'articolo parla di un minimo di 1355 Euro netti al mese per un agente appena entrato nell'effettivo e quindi le continue bombe sparate su gente frustrata(quello sì)che guadagna poco sono per l'appunto merda spalata soprattutto su chi quei soldi li vede col binocolo e che lavora in condizioni spesso peggiori di quelle delle divise.
Ogni lavoro certamente ha una sua caratteristica,pericolosità e problematicità differente ad un altro,ma comunque ognuno deve avere una propria dignità,e quello che le divise fanno percepire alla maggior parte della gente(parlando di abusi,favoritismi,impunità)sia quello che la paga sia comunque ampiamente sufficiente per quello svolto,e che se davvero il poliziotto o carabiniere dovesse avere più considerazione e rispetto del prossimo(è evidente che non tutti siano pezzi di merda,corrotti ed ingiusti)per contro avrebbero maggiore considerazione pure loro.
Perché il rispetto si guadagna.
Chiudo sull'ennesima provocazione legata al diritto di manifestare che come quello di scioperare sta subendo parecchi duri colpi e le avvisaglie di apposite leggi costrittive sono all'orizzonte.

Polizia di Stato:la bugia sugli stipendi e la voglia e la voglia di limitare il diritto di manifestare

L'intervista rilasciata dal Prefetto di Roma a Repubblica è agghiacciante. Lo è in termini costituzionali come potete leggere in fondo all'articolo ("Introduciamo norme che regolamentino il diritto costituzionale di manifestare. Lo abbiamo fatto per il diritto di sciopero, perché non possiamo farlo per quello di manifestare?".
Ma un altro dei miti da sfatare è quello degli stipendi da 1200 euro per i poveri agenti dei reparti mobili così come quello dei 5 euro orari di straordinario. E' una bugia ripetuta a pappagallo dai vertici della polizia e dai giornalisti conniventi.
Come si può vedere da questi link
un poliziotto in prova, cioè entrato da poco in polizia, guadagna già 1355 euro netti al mese a cui poi bisogna aggiungere tutte le indennità di servizio notturno, festivo, straordinari (che partono da 10,48 euro/h lorde per arrivare ai 27 euro/h dello straordinario notturno festivo) e soprattutto le indennità di ordine pubblico ben più alte.
In media lo stipendio per chi lavora in un reparto mobile arriva a 2000 euro. Di questi tempi non ci sembrano i lavoratori più sfruttati sul suolo italiano. Lo sanno anche loro visto che quotidianamente vanno a manganellare i lavoratori della logistica che 5 euro all'ora li prendono davvero. redazione 18 aprile 2014
Di seguito il commento di contropiano.org e l'intervista di Repubblica
***
Ordine pubblico a Roma. Spiegazioni “inspiegabili” dal Prefetto

Oggi sul quotidiano La Repubblica c’è un’intervista di Carlo Bonini al Prefetto di Roma Pecoraro, sull’atteggiamento tenuto dalla polizia negli scontri di sabato e nello sgombero di ieri di una occupazione di case a Roma. Alcune risposte, come dire, lasciano basiti. In particolare perchè l’intervista è stata fatta avendo a disposizione anche le notizie dello sgombero delle case occupate alla Montagnola, dove le manganellate hanno spaccato teste, braccia e gambe. In questo secondo caso è decisamente impossibile trincerarsi dietro il pretesto che i manifestanti fossero lì con i caschi o con strumenti atti a offendere. Eppure la "regola d’ingaggio" non è stata affatto diversa e i feriti sono lì a dimostrarlo.
In particolare ci colpiscono, nell’intervista al Prefetto Pecoraro, tre risposte.
La prima quando parla di “comportamento inspiegabile” da parte dell’agente di polizia (diventato ormai un artificiere) che calpesta una ragazza a terra. Il capo della polizia Pansa era stato, almeno su questo, più chiaro definendolo un cretino (non sappiamo se perché l’agente l’ha fatto o perché l’ha fatto davanti alle telecamere).
La seconda è quando legittima questi comportamenti sulla base della frenesia e della frustrazione degli agenti. Obiettivamente, questa categoria dell’anima non può essere circoscritta solo agli agenti. La frustrazione sta diventando qualcosa di molto più profondo, pesante e malefico in settori sempre più ampi della società sottoposti a traumi come lo sfratto, la perdita del lavoro, la difficoltà a curarsi, spesso la totale incertezza sul futuro. In secondo luogo i 1.200 euro al mese, che sono pochi per tutti, agenti e non agenti, stanno diventando un miraggio per gran parte delle nuove leve del lavoro salariato ed anche di quello autonomo. Dunque se questi sono i parametri che giustificano “comportamenti inspiegabili” possiamo affermare tranquillamente che chi scende in piazza in questa fase storica avrebbe motivi in abbondanza per rompere le regole.
La terza è l’allusione allo “scambio”: noi introduciamo i codici di identificazione degli agenti (come avviene già negli altri paesi, NdR) e i manifestanti non si portano più i caschi nei cortei. Un ragionamento che potrebbe avere una sua ragione su eventuali strumenti offensivi, ma un casco ha una funzione meramente protettiva generalmente riconosciuta (altrimenti perchè sarebbe obbligatorio per andare anche su motorini di piccola cilindrata? NdR). Insomma chiedere ai manifestanti di essere anche volontariamente carne da macello e da manganello appare uno scambio decisamente inuguale.
Viene da sé che le spiegazioni offerte dal Prefetto Pecoraro appaiono quantomeno poco plausibili nel contesto di ciò che continuiamo a vedere nelle piazze e nelle strade del nostro paese. Qui di seguito il testo dell'intervista rilasciata a Carlo Bonini.
Da La Repubblica di oggi
Il prefetto di Roma: "Ora basta, sono i poliziotti le vere vittime"
Il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, la declina quale premessa a scanso di diplomazie: «Ho un’età e un’esperienza che mi consentono di dire quello che penso». E dunque: «La gestione della piazza, che mi ha visto insieme al questore responsabile dell’ordine pubblico, è stata un successo»
Un successo?
«SÌ. Un successo. E sfido chiunque a dimostrare il contrario. Non ci sono stati danneggiamenti significativi, abbiamo difeso i luoghi istituzionali, è stato consentito lo svolgimento della manifestazione, è stata contenuta e respinta la provocazione dei violenti evitando che la situazione degenerasse. Se qualcuno avesse avuto l’onestà intellettuale di raccontarlo, avrebbe notato che di fronte al lancio di bombe carta e di poliziotti feriti, si sono evitate le cosiddette cariche profonde in punti che avrebbero messo a repentaglio l’incolumità di migliaia di manifestanti».
Le immagini di quella manifestazione, a cominciare da quella dell’artificiere che calpesta la ragazza in terra, documentano altro. Come dicono altro le immagini del reparto che si accanisce su un manifestante inerme.
«Siamo seri. Davvero vogliamo giudicare quello che è accaduto in piazza da quei fotogrammi? Davvero vogliamo riflettere sull’ordine pubblico facendo un taglia e incolla di immagini? Perché non ci chiediamo cosa è accaduto prima di quella carica? O perché quell’artificiere si abbandoni a un uso abnorne della forza?».
Questo lo vorrei sapere da lei. È un fatto che per quelle immagini il Capo della Polizia ha chiesto scusa, definendo il comportamento dell’artificiere degno di «un cretino».
«Io userei un’altra parola».
Non “cretino”?
«Io direi che il comportamento di quell’artificiere è apparentemente inspiegabile ».

Suona pilatesco e un po’ corporativo, non trova?
«Al contrario. Io credo che se ci interroghiamo sul perché quell’artificiere era dove non doveva stare e ha fatto quel che le immagini mostrano e che non doveva fare, magari ci avviciniamo a una possibile soluzione».
Perché lo ha fatto, dunque?
«Forse per dare una mano ai suoi colleghi. Per la frenesia e la frustrazione di chi, improvvisamente, si sente bersaglio alla mercé di chi, i manifestanti, è chiamato a tutelare. Non voglio essere retorico. Ma provi a immaginare. Per 1.200 euro al mese, lei è per strada per difendere il diritto di manifestare di qualcuno che, al contrario, la battezza come bersaglio simbolico della sua personale guerra. Succede in piazza, succede allo stadio... ».
È successo anche ieri alla Montagnola. Possibile che in uno sgombero debbano volare quel genere di mazzate e si debba spaccare per forza qualche testa? O che, per tornare a sabato scorso, dei poliziotti debbano apostrofare chi manifesta — come riferisce la ragazza calpestata — «siete gente di merda »?
«Io che dei poliziotti abbiano detto a chi manifestava “siete gente di merda” non ci credo. Quanto alla Montagnola, io e il questore stamattina (ieri, ndr) eravamo qui in Prefettura uno accanto all’altro quando siamo stati messi in contatto con chi operava di fronte a quello stabile. È stato cercato in ogni modo il dialogo. Senza contare che è da quindici giorni che gli occupanti sapevano che esisteva un provvedimento della magistratura di sgombero a cui la polizia doveva dare esecuzione. Ora, cosa bisogna fare se qualcuno decide di impedire che quell’ordine venga eseguito? E se per impedirlo accade che vengano tirati oggetti di ogni tipo dall’alto, addirittura lanciati segnali stradali? Siamo o no in uno Stato di diritto?».
In uno Stato di diritto, lo Stato ha il monopolio della forza ma non ne deve fare un uso proporzionato. E la frustrazione non è un’esimente.
«Non c’è alcun dubbio. Ma se vogliamo trovare un punto di equilibrio noi dobbiamo considerare il quadro e le dinamiche della piazza nel loro complesso».
Questo è l’argomento con cui da anni viene bloccata la proposta di introdurre un codice “alfanumerico” che consenta di identificare i poliziotti in ordine pubblico. Si dice: a manifestante travisato, poliziotto anonimo e altrettanto travisato. È un po’ come dire “a brigante, brigante e mezzo”. E così, la strada diventa la terra di nessuno e la violenza un dato accettato.
«Io dico un’altra cosa. Io dico, benissimo, introduciamo pure il codice identificativo, ma, contestualmente, introduciamo norme che regolamentino il diritto costituzionale di manifestare. Lo abbiamo fatto per il diritto di sciopero, perché non possiamo farlo per quello di manifestare? Le sembra ragionevole che l’ordine pubblico sia ancora disciplinato dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del periodo fascista? O che il giorno prima della manifestazione di Roma io e il questore ci siamo ritrovati a fare un sopralluogo lungo il tragitto del corteo neanche fossimo due generali che pianificano una battaglia campale? E le dico di più. La Costituzione va letta tutta. Esiste il diritto di libera manifestazione del pensiero. Ma esiste anche il diritto all’integrità di quei lavoratori, i poliziotti, che sono lì proprio per garantire un pacifico godimento dei diritti costituzionali di tutti. Se si accetta questo scambio, le regole di ingaggio saranno chiare e non ci saranno più alibi. Né per quei pochissimi poliziotti che violano le regole e saranno facilmente identificabili, né per chi sa che, oggi, andare a una manifestazione con il casco integrale allacciato alla cinta o sfilare con un passamontagna e una spranga in pugno non ha di fatto nessuna conseguenza».
17 aprile 2014

venerdì 25 aprile 2014

AGUR

ORA E SEMPRE RESISTENZA!


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Ricorre oggi il sessantanovesimo anniversario della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo,evento reso possibile dai partigiani e dall'intervento degli alleati che dopo mesi di sanguinosi conflitti e sofferenze inimmaginabili sono riusciti a cacciare gli invasori tedeschi e a ricacciare i ratti neri fascisti nelle fogne.
Solo dopo un'impresa così difficile,combattuta e storica si può festeggiare la Liberazione sempre tenendo la memoria sintonizzata a quei giorni e a quelle battaglie,alle storie di eventi dai toni leggendari sia di attacchi,azioni e persone,con nomi di persona e di luoghi passati alla storia.
Ebbene tutto questo deve essere ben stampato nelle menti degli italiani ieri,oggi e domani,non cadendo nella vergognosa ed insulsa retorica del paragone delle vittime partigiane con quelle fasciste,poiché la sola vita sacrificata di un partigiano non vale nemmeno un centesimo di tutte quelle fasciste avvenute durante quei mesi.
L'articolo preso da Infoaut ricorda doverosamente a tutti che i tempi sono cambiati,così sono diversi i nemici da tenere sotto controllo e da combattere,e che non sono solo i reazionari ed i nostalgici neofascisti ma chi si nutre e vive sulle spalle del popolo con la criminalità troppo spesso mascherata da politica,e oggi come allora bisogna stare attenti per riconoscere gli attacchi alla libertà degli italiani e all'osservazione della Costituzione Italiana.
Ora e sempre Resistenza!

25 Aprile partigiani sempre!

Anno dopo anno la commemorazione del 25 aprile rivela in maniera sempre più netta la distanza tra le istanze dei resistenti antifascisti di allora e e i presunti eredi che oggi, attraverso il sistema-dei-partiti siedono sulle poltrone pubbliche gestendo municipalizzate, distribuendo appalti, espropriando e privatizzando beni comuni e ricchezza pubblica, utilizzando spesso i partigiani superstiti (quelli che si prestano, non tanti per fortuna) per legittimare il loro operato e le loro lamentele quando vengono duramente attaccati per le loro responsabilità politiche.

Spesso utilizzano i loro magistrati - che non di rado fanno appello morale/politico alla "Repubblica nata dalla Resistenza" per dare una patina a una legitimità che non hanno più - per mandare in galera giovani e meno giovani che oggi, in mutate condizioni storiche e politiche, portano avanti battaglie di resistenza, trasformazione, dignità.

Noi non dimentichiamo quella lezione! Oggi come ieri partigian*, con chi lotta e resiste, nei boschi della Clarea e nelle arterie della metropoli, contro lo sfruttamento e il razzismo, in difesa dei territori, contro la devastazione e l'espropriazione della vita di tutti e tutte, per un futuro degno, contro una vita ridotta a competizione tra animali economici...

Buon 25 aprile !

[alleghiamo due testi famosi, uno storico, l'altro memorialistico-mitografico e, in fondo, una serie di appuntamenti a cui parteciperemo...]

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A tutti i comandi zona.
Comunicasi il seguente telegramma:

ALDO DICE 26 x 1 Stop Nemico in crisi finale Stop Applicate piano E 27 Stop Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga Stop Fermate tutte macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette Stop Comandi zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strade Genova-Torino et Piacenza-Torino Stop 24 aprile 1945.

Testo del telegramma diffuso dal Clnai indicante il giorno [26] e l'ora [1 di notte] in cui dare inizio all'insurrezione


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«Adesso ogni rumore è cessato. Un attimo di tregua, di pace prima della fine ormai vicina. L’esplosivo è terminato assieme alle “sipe”. Nel caricatore del mitra restano si e no venti colpi. Di Nanni toglie un proiettile e se lo mette in tasca, poi striscia di nuovo al balcone, pone il dito sul secondo grilletto del mitra, quello del colpo singolo e spia la strada. Da sinistra camminando curvi, rasenti il muro, avanzano tre tedeschi. Non portano fucili ma stringono in mano grappoli di bombe. Intendono usare la sua tattica: lanciare le bombe dal basso, dietro la porta-finestra del balcone. Prende la mira tra le sbarre e spara sul primo nazista che cade in avanti; il secondo colpo manca quello che lo segue, ma il terzo lo raggiunge subito dopo. Spara tre colpi all’ultimo che fugge. Il nazista cade, si rialza e riprende a correre zoppicando. Si salva buttandosi dietro l’angolo della via. In quel momento, dal tetto di fronte parte una raffica rapida e violenta. Un tedesco spara col ginocchio sinistro appoggiato alle tegole della sommità del tetto; non si nasconde. La sua raffica dovrebbe essere decisiva, ma passa alta sulla testa di Di Nanni che lo abbatte sparando a raffica i suoi ultimi colpi.

Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane. Gli sono addosso, non gli lasciano scampo. Di Nanni toglie di tasca l’ultima cartuccia, la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola: da ufficiale di carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro. L’ultimo fascista cade fulminato col colpo.

Adesso non c’è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica. Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano.

E’ in quell’attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte nella strada stretta, piena di silenzio».

da Senza Tregua, la guerra dei Gap

di Giovanni Pesce
Qui di seguito i diversi appuntamenti che si terranno sul territorio nazionale:

Torino:

24 aprile h 20.30, p.za Arbarello - presenza notav alla fiaccolata istituzionale


25 Aprile 2014 di LOTTA contro fascismo e razzismo - Resistere contro austerity e repressione

25 aprile - Festa della Liberazione - Torino Nizza Lingotto

Bussoleno (Val Susa): Diventa protagonista sostieni la Resistenza

Milano: 25 aprile - 25 maggio arriva il mese del mutuo soccorso

Cremona - assemblea di piazza

Palermo: Corteo del 25 Aprile a Palermo

Modena: 25 Aprile “Casa-Reddito-Dignità” / Un 25 Aprile diverso

Cagliari: 25 Aprile 2014 GIORNATA DI MOBILITAZIONE ANTIFASCISTA

Cosenza (Rende): 25 Aprile@Sparrow

Pisa: “Partigiane della libertà”

Asti: Partigiani sempre

giovedì 24 aprile 2014

LA VERITA' SULLE STRAGI DI STATO

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L'articolo preso da Q Code Magazine(http://www.qcodemag.it/dei-segreti-e-delle-stragi/ )estrapola dalle dichiarazioni di Renzi il vero significato che il premier ha voluto dare all'annuncio del cancellamento del segreto di Stato su molte stragi che sono avvenute in Italia,ovvero un nulla assoluto anche se qualche lumicino di speranza è ancora acceso.
Partendo dal presupposto che il segreto di Stato sulle stragi non è mai stato posto,questo desecrare atti ai quali possono accedervi ora tutti perché verranno trasmessi agli archivi di Stato,(anni di depistaggi,insabbiamenti,processi interminabili con sentenze ridicole e ribaltate in alcuni casi in ogni grado di giudizio,decine di associazioni delle vittime delle stragi che si sono trovate con un pugno di mosche in mano e non ultimo il fatto che tutte quelle elencate da Renzi sono ancora impunite)e comunque per giungere ad una verità assoluta dovremmo forse attendere ancora anni.
E se nel caso si giungesse davvero ad una verità una volta che si potrebbe ottenere giustizia il passo sarebbe talmente lungo da avere come imputati dei morti ad andar bene:l'articolo fa altre analisi ed approfondimenti sulla questione,facendo capire se comunque un fatto è rimasto segreto per così tanto tempo facilmente lo rimarrà per sempre.
Questo è un altro tassello da aggiungere al lungo elenco della politica del niente di Renzi,piccole cose amplificate all'inverosimile per poter sembrare eventi epocali mentre sottovoce le vere decisioni che mandano il paese a rotoli le stanno prendendo in queste ore.

Dei segreti e delle stragi.

Passare dalle parole ai fatti,per Renzi,non sarà facile.Gli facciamo gli auguri.Perchè la ferita delle stragi non può essere rievocata a suon di slogan senza che seguano fatti concreti.

Cora Ranci

Il passato stragista è una cosa seria e non c’è spazio per la confusione e la disinformazione. Cominciamo quindi a mettere in chiaro una cosa: Renzi non ha tolto il segreto di Stato sulle stragi semplicemente perché il segreto di Stato, sulle stragi, non è mai stato posto. Il segreto di Stato è uno strumento previsto dalla legge italiana secondo il quale il presidente del Consiglio dei Ministri – e lui soltanto – può assumersi la responsabilità politica di impedire alla magistratura di accedere a determinata documentazione, per tutelare l’interesse dello Stato. È uno strumento delicato, perché tale potere del capo del governo è insindacabile. Lo abbiamo visto chiaramente nel caso del sequestro di Abu Omar, dove il segreto di Stato è stato posto prima dal governo Berlusconi e in seguito confermato dal governo Prodi, impedendo così alla Procura di Milano di mettere il naso in quell’affare. In quel caso il ricorso al segreto di Stato, se pur discutibile, è stato legittimo.
Nei casi di strage, terrorismo e mafia, invece, la legge impedisce il ricorso al segreto di Stato. Quando parliamo di stragi e di segreto, quindi, dobbiamo tenere a mente che stiamo parlando di un segreto de facto, di un segreto, quindi, di ancor più difficile individuazione, e, di conseguenza, di ben difficile svelamento.

Il segreto di Stato ha per legge una durata limitata nel tempo: 15 anni estendibili fino a un massimo di 30, e la proroga viene sempre e solo decisa dal presidente del Consiglio dei Ministri, che se ne assume la responsabilità, tutta politica, dinnanzi al Parlamento e al Paese.

Nel caso delle stragi impunite susseguitesi in Italia dal 1969 fino agli anni Ottanta non vi è mai stata alcuna assunzione di responsabilità da parte degli innumerevoli governi succedutisi in quel tremendo decennio che con una formula semplicistica chiamiamo “anni di piombo”. La storia delle stragi è una storia triste fatta di depistaggi, infinite e complesse istruttorie giudiziarie, sentenze ridicole, strumentalizzazioni politiche, parenti delle vittime organizzati in associazioni per rincorrere una verità e una giustizia inafferrabili. Ma soprattutto è una storia di impunità.





Di fronte alle stragi, ovvero all’evidenza che vi sono stati apparati statali che si sono adoperati per impedire l’accertamento delle responsabilità, per deviare e condizionare le indagini della magistratura, di fronte a tutto ciò, lo Stato italiano ha rinunciato a fare giustizia. La storia del caso Ustica è emblematica a questo proposito: chiamiamo “strage” quella che in realtà sarebbe stata una “tragedia”, l’incidentale abbattimento di un aereo civile. Tragedia che si è fatta “strage” nel momento in cui è emerso con indubitabile evidenza (si veda la sentenza della Cassazione del 22 ottobre 2013) che all’interno dell’Aeronautica militare vi fu chi distrusse prove, testimoniò il falso, perché la verità non emergesse. Ecco dov’è la strage: in quel “accodarsi” dello Stato italiano di fronte a queste operazione devianti, illegali.

Ma torniamo al provvedimento del presidente del Consiglio per capire meglio in cosa consiste. Renzi – si legge nel comunicato ufficiale del governo – ha firmato la direttiva che dispone la declassificazione degli atti relativi ai fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna, rapido 904. Ciò significa che tutti i documenti attenenti a quei fatti e al momento in possesso delle amministrazioni che li hanno prodotti e che li custodiscono dovranno essere “versati”, come si dice in termine tecnico, all’Archivio Centrale dello Stato di Roma.

La declassificazione implica che quei documenti – e sono davvero tanti – che portano la dicitura segretosegretissimoriservatoriservatissimo, e che fino ad oggi potevano essere esaminati solo dal potere giudiziario, se ne faceva domanda, potranno essere accessibili a tutti. Sul piano pratico, si tratta, come è facile intuire, di un’operazione che avrà dei tempi molto lunghi, già si parla di alcuni mesi solo per le prime carte, e pare anche una previsione ottimistica.

Il problema dell’accessibilità di questa documentazione è vecchio: da anni storici e archivisti lamentano gli enormi problemi di accesso alle fonti archivistiche, specialmente per quanto riguarda la documentazione dei servizi segreti. Un significativo passo in avanti sul piano normativo era già stato compiuto dal governo Prodi nel 2007 con la legge n. 124, che già predisponeva norme in merito alla declassificazione dei documenti. Quella legge, però, era rimasta lettera morta, perché la sua attuazione dipendeva da regolamenti che spettavano alla presidenza del Consiglio e che fino a due giorni fa non erano mai arrivati. Per questo si dice che con il provvedimento di Renzi quella legge trova concreta applicazione nell’aspetto che riguarda l’accesso agli archivi dei servizi.

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Speriamo che sia davvero così. Perché chi si interessa dei problemi di accesso alle fonti archivistiche in Italia sa bene quanto il percorso della trasparenza e dell’apertura sia irto di ostacoli. Di buone intenzioni, si dice, è lastricata la via dell’inferno. Passare dalle parole ai fatti è ben altra cosa: la volontà politica, in un ambito così delicato, dovrà essere davvero forte. La ferita delle stragi non può essere rievocata a suon di slogan, se poi alle parole altisonanti non corrisponderanno atti concreti. Le parole di Renzi sono parse forse fin troppo spavalde a chi da anni si occupa di questi temi. Speriamo che gli scettici si debbano ricredere e stupire.

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“Appassionati di finali e non di trame”

È stato detto da autorevoli opinionisti che non dobbiamo illuderci: da quelle carte non uscirà la verità. Non ci sarà il documento in cui viene dato l’ordine di mettere la bomba, o la velina con le istruzioni su come depistare le indagini. Questa considerazione, condivisibile per non dire scontata, non deve però offuscare ai nostri occhi l’importanza che rivestirebbe un reale accesso a quella documentazione, una volta declassificata.

È vero che la magistratura poteva già accedere a quelle carte riservate, ma doveva farne richiesta esplicita: il magistrato inquirente, cioè, doveva richiedere un documento di cui già conosceva l’esistenza. Il documento veniva così acquisito agli atti giudiziari ma decontestualizzato dal suo archivio di provenienza.

Se realmente tutti questi documenti verranno versati in un unico archivio, immaginiamo quante carte interessanti dal punto di vista della ricostruzione storica avremo a disposizione. Carte che la magistratura non ha ancora visto, perché il compito del magistrato è diverso da quello dello storico. Il magistrato segue piste di indagine, il suo obiettivo è giungere all’incriminazione di qualcuno, nome e cognome: gli interessano i documenti utili al suo scopo. Lo storico invece ha una visione più ampia: ricostruisce contesti, collega fatti, non giudica, analizza, mette in relazione eventi. Tenta di comprenderli, fino in fondo.
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Tentativi di scrivere la storia delle stragi sono già in atto, pur tra mille difficoltà. Per fortuna, si può contare su molti archivi cosiddetti “supplenti”, archivi messi a disposizione da soggetti privati, come le associazioni delle vittime delle stragi. La “Rete degli archivi per non dimenticare”, nata nel 2011, ha creato un portale online che valorizza e rende pubblico il patrimonio documentale esistente sui temi del terrorismo, della violenza politica e della criminalità organizzata. Nonostante questi tentativi lodevoli, gli storici si stanno purtroppo barcamenando in un panorama desolante per quanto riguarda il diritto alla conoscenza, cui in teoria corrisponde il dovere dello Stato di garantire l’accesso agli archivi. Il discorso sarebbe davvero lungo.

Ciò di cui c’è realmente bisogno in Italia è una legge che regolamenti il versamento obbligatorio degli atti della pubblica amministrazione all’Archivio Centrale dello Stato entro un certo numero di anni, sulla falsariga del Freedom of Information Act americano. Nel Paese delle emergenze e dei provvedimenti ad hoc, quello sì che sarebbe un vero elemento di novità.

Chiudiamo con una riflessione di Marco Paolini in merito alla strage di Ustica, ma allargabile a tutte le storie di stragi. “E’ ora che pretendiamo non solo i perché, ma anche i come”.

mercoledì 23 aprile 2014

AL LAVORO IL 25 APRILE E IL PRIMO MAGGIO COL BENEPLACITO DI PADRONI E SINDACATI


25 aprile -1 maggio. Le aperture festive e il grande imbroglio di Cgil-Cisl-Uil
Breve riflessione sull'avvicinarsi di due feste nazionali che sempre meno vengono onorate e tutelate soprattutto per quel che concerne il settore lavorativo,dove infatti per le giornate del 25 aprile(festa nazionale di Liberazione dal nazifascismo)e del 1 Maggio(giornata internazionale della festa del lavoro)in molti lavoreranno nel settore commerciale della grande e piccola distribuzione,settori certamente che non hanno un minimo di presidio e di obbligatorietà come quello sanitario per fare un esempio.
L'articolo preso da Senza Soste che è un comunicato del sindacato Usb raccoglie le balle che i sindacati confederali raccontano sulle giornate festive in generale,cercando di difendere solo di facciata il diritto di stare a casa durante i classici giorni"rossi"del calendario,mentre con le loro mani firmano a destra e a manca accordi con i padroni chiunque essi siano:da sottolineare pure la decisiva collaborazione dei clienti che maniacalmente e compulsivamente vanno a fare la spesa piuttosto che starsene a casa o in qualsiasi altro posto.
25 aprile-1 maggio. Le aperture festive e il grande imbroglio di Cgil-Cisl-Uil .
Da un po’ di tempo stiamo assistendo ad una farsa sindacale riguardo alle aperture dei negozi e centri commerciali nei giorni festivi. Si tratta della (presunta) contrarietà da parte di Cgil-Cisl-Uil alle aperture in queste date. Contrarietà che tra l’altro non si esprime allo stesso modo in tutti i territori, visto che in alcune realtà non viene fatta alcuna opposizione, in altre realtà mettono in piedi iniziative inutili tipo “La festa non si vende”, in altre ancora vengono fatte indizioni di sciopero. 
Ma in nessuna realtà vengono dette le cose come stanno veramente, ossia che il lavoro nel giorno rosso di calendario non è obbligatorio. Lo sciopero quindi non ha alcun senso, semplicemente perché l’ordine di servizio obbligatorio da parte di una qualsiasi azienda a un lavoratore è illegittimo, ragion per cui il dipendente può non presentarsi al lavoro non rischiando alcuna sanzione e vedendosi comunque pagata quella giornata che, lo ricordiamo, i Ccnl definiscono come “giornate che devono essere retribuite” (intendendo che sono pagate a prescindere dal fatto che il dipendente lavori o meno, e a prescindere addirittura dal fatto che il negozio sia aperto oppure no). Con una indizione di sciopero quindi, il lavoratore in busta paga dovrebbe trovare semmai sia la trattenuta per la giornata lavorativa non svolta, sia la stessa giornata pagata ugualmente! Invece in questo modo Cgil-Cisl-Uil cercano di rendere implicitamente obbligatorio il lavoro festivo, legittimandone l’imposizione proprio con quella indizione di sciopero. 
Non solo, sono sempre più frequenti i casi in cui Cgil-Cisl-Uil firmano accordi integrativi aziendali con i quali “salvano” alcune date festive “più importanti” ma allo stesso tempo rendono obbligatorie tutte le altre. Una vera e propria divisione tra festivi di serie A e festivi di serie B che l’ordinamento e i Ccnl non prevedono ma che viene letteralmente inventata da Cgil-Cisl-Uil. 
C'è infatti un aspetto fondamentale che viene omesso in questo tipo di accordi che vengono spacciati per migliorativi (e invece non lo sono affatto, anzi sono peggiorativi): i Ccnl (sia Commercio che Distribuzione Cooperativa, i due principali del settore) dicono chiaramente che "le festività che dovranno essere retribuite sono quelle appresso indicate", e poi segue l'elenco dei festivi (TUTTI i festivi, non festivi di serie A e festivi di serie B). Con ciò si intende che, in quei giorni, io lavoratore sono retribuito anche se non lavoro, e soprattutto sono retribuito anche se il mio negozio dovesse scegliere di rimanere chiuso (!). 
Quindi non esiste esigibilità per alcun giorno "rosso di calendario", proprio perché, se non mi presento al lavoro, l'azienda quel giorno me lo deve retribuire lo stesso per contratto. Qualsiasi accordo che renda "esigibili" i festivi altro non è dunque che una deroga (in peggio) al Ccnl, perché in sostanza sottrae ai lavoratori uno storico diritto retributivo acquisito (ossia il pagamento della giornata festiva, a prescindere dal fatto che in quella data il dipendente lavori oppure no). E infatti l'articolo successivo dei Ccnl (sempre sia Commercio che Distribuzione Cooperativa) fornisce una ulteriore conferma, specificando che le ore di lavoro, a qualsiasi titolo richieste, prestate in quei giorni debbano essere retribuite come lavoro straordinario festivo. Perché essendo facoltativo, l'unica gestione possibile e giusta è appunto quella che prevede l'erogazione dello straordinario.
Smascheriamo gli imbroglioni e non facciamoci prendere in giro. La festa non si vende, ma per davvero.

martedì 22 aprile 2014

LO SPACCIO A MILANO E GLI INTERESSI COMUNI DI FASCISTI E NDRANGHETA

Un piccolo ripasso su quello che è ben evidente a tanti antifascisti e compagni ma che non lo è per la maggioranza della gente,ovvero gli interessi dei gruppi fascisti,neofascisti o nazisti più o meno grandi e che sono presenti a Milano che si legano indissolubilmente con quelli principalmente della ndrangheta calabrese emigrata nel capoluogo lombardo.
Proprio la ndrangheta nel corso degli anni è riuscita ad insinuarsi nel tessuto criminale lombardo sradicando le organizzazioni locali e le altre mafie mondiali grazie all'infiltramento nella politica e nel mondo del lavoro,riuscendo ad ottenere appalti in cui il denaro sporco proveniente dal traffico della droga,dalla prostituzione e dalle rapine,citando tre attività criminose ma tra quelle più remunerative,diventa magicamente pulito.
Tralasciando discorsi come quello della legalizzazione delle droghe leggere,anche se è ovvio che tra le voci delle droghe che la fanno da padrone vi siano cocaina ed eroina,l'articolo preso da Senza Soste traccia una mappa con tanto di nomi e cognomi sia di appartenenti alla mafia calabrese e sia di personaggi di spicco del panorama fascista meneghino,uniti in un abbraccio mortale che fruttano alle organizzazioni malavitose svariati milioni di Euro di guadagno.

Milano. Nuove conferme sui legami tra fascisti, criminalità e traffico di droga.

A maggio dello scorso anno, a Milano, nella stessa macchina vengono fermati dalla polizia Domenico Bosa, conosciuto come Mimmo Hammer, noto esponente dei neofascisti milanesi, e Salvatore Geraci. Entrambi sono personaggi noti alle autorità investigative. Domenico Bosa è stato più volte fermato assieme a Stefano Del Miglio e Giacomo Pedrazzoli, due neofascisti milanesi coinvolti nel 2004 nell’assalto armato al centro sociale Conchetta. Salvatore Geraci, invece, viene segnalato dalla polizia giudiziaria per essere “un pluripregiudicato per rapina, sequestro di persona, armi e droga”. I due vengono fermati in macchina, identificati e lasciati ripartire. Ma l'identificazione è il filo conduttore di un'inchiesta, anzi due, che hanno avuto sviluppi recenti e significativi nella conferma delle connessioni tra fascisti, criminalità organizzata e traffico di droga.
La prima inchiesta, condotta dal Gico della Guardia di Finanza, è stata, chiusa nel dicembre 2013, e certifica i rapporti tra Domenico Bosa (che però non è indagato nell'inchiesta) e il narcotrafficante montenegrino Milutin Todorovic. Quest'ultimo, a sua volta, è in contatto con la ‘ndrangheta del boss Pepè Flachi.
La seconda inchiesta, chiusa invece il 24 marzo 2014, ha portato in carcere Dragomir Petrovic detto Draga, un malavitoso serbo già noto per la strage al ristorante La Strega di via Moncucco (1979). Dall’ordinanza d’arresto firmata dal gip Chiara Valori emergono, netti, i rapporti tra Draga e lo stesso Salvatore Geraci (l'uomo fermato in macchina insieme a Domenico Bosa) nel pianificare partite da centinaia di chili di droga.
Le due inchieste hanno portato ad una ventina di arresti e squarciato il velo su una parte rilevante della nuova malavita milanese. Ma il traffico di armi e droga si incrocia in più punti con gli ambienti neofascisti di Milano. E qui tornano evidenti le connessioni del recente passato.
Secondo quanto riporta Saverio Ferrari su Osservatorio Democratico: “Il 16 dicem­bre scorso, pro­mosso da un coor­di­na­mento di sigle neo­fa­sci­ste per cele­brare il tren­ten­nale della scomparsa, per inci­dente stra­dale, di Carlo Ven­tu­rino, il fon­da­tore degli «Amici del vento», gruppo musi­cale di estrema destra, tenu­tosi al Music Hall Madi­son, una sto­rica disco­teca situata in via Gio­vanni da Udine, peri­fe­ria nord ovest di Milano.
Il locale era già finito sulle pagine di cro­naca nel dicem­bre 2006, nell’ambito dell’inchiesta «Soprano», che portò alla sua chiu­sura. Il Madi­son era allora gui­dato da Vin­cenzo Fal­zetta, detto «O’ banana», che l’aveva acqui­sito per conto della fami­glia cala­brese dei Coco Tro­vato per rici­clare denaro e spac­ciare cocaina. Ria­prì solo nel 2009. Attual­mente a gestirlo è la Par, par­te­ci­pa­zioni alber­ghiere e risto­ra­zioni, una società a respon­sa­bi­lità limi­tata che risulta essere di pro­prietà di tre soci, gli stessi che l’hanno con­cesso in affitto ai pro­mo­tori del con­certo. Uno di que­sti, Anto­nio Luca Biasi, detto «Lulù», è rima­sto coin­volto nel feb­braio 2011 nell’operazione «Carpe diem», con­dotta dal Gico e dalla Dire­zione distret­tuale anti­ma­fia di Salerno: 35 arre­sti per traf­fico inter­na­zio­nale di droga con rela­tivo sman­tel­la­mento del clan di Giu­seppe Alfano alias “Peppe o’ squalo”.
In altro passaggio Ferrari così ricostruisce le connessioni con la recente inchiesta milanese sui legami tra fascisti e n'drangheta calabrese: “E' emerso che la nuova sede, in zona Cer­tosa, tra via San Bru­none e via Pareto (gli stessi locali per qual­che tempo già di «Cuore nero»), appena inau­gu­rata da «Lealtà azione», ovvero l’associazione fian­cheg­gia­trice la rete neo­na­zi sta di Ham­mer­skin, sia stata data in «como­dato d’uso gra­tuito» nien­te­meno che da Miche­lan­gelo Tibaldi, citato nel rap­porto della Com­mis­sione anti­ma­fia del 2012 che portò allo scio­gli­mento, nell’ottobre dello stesso anno, del comune di Reg­gio Cala­bria, come l’emissario del boss mafioso Santo Crucitti. Tibaldi, attual­mente inda­gato, figura come socio unico della Milasl srl, pro­prie­ta­ria degli spazi, pre­ce­den­te­mente nelle mani di Lino Gua­glia­none che nel 2007 ven­dette tutte le quote a Tibaldi, pur rima­nendo ammi­ni­stra­tore unico fino al marzo 2010. Guarda caso la sede della società in un primo momento era pro­prio in via Durini 14 (ora è a Reg­gio Cala­bria), ovvero allo stesso indi­rizzo della Mgim, lo stu­dio di com­mer­cia­li­sti di cui Lino Gua­glia­none è socio. Stu­dio sotto il quale il 17 set­tem­bre 2009 lo stesso Gua­glia­none fu foto­gra­fato dai cara­bi­nieri in com­pa­gnia di Paolo Mar­tino, con­si­de­rato uno dei più influenti capi della ‘ndran­gheta a Milano.
Di Pasquale «Lino» Gua­glia­none, si è già scritto e detto molto: ex teso­riere dei Nar (i Nuclei armati rivo­lu­zio­nari fon­dati nel 1977 dal ter­ro­ri­sta nero Giu­sva Fio­ra­vanti), con­dan­nato con sen­tenza defi­ni­tiva per asso­cia­zione sov­ver­siva e banda armata, can­di­dato nel 2005 per Alleanza nazio­nale alle regio­nali, com­mer­cia­li­sta, curio­sa­mente, non iscritto all’albo a Milano ma a Reg­gio Calabria.Forse non così casuale il con­ti­nuo sovrap­porsi, anche recente, fra estrema destra e cri­mi­na­lità orga­niz­zata. Solo un dato di continuità”.
Continuità. Da questo occorre partire e questo va sempre tenuto bene in mente per non fare dell'antifascismo un fattore di liturgia ma è un fronte di lotta anche in tempi come questi. Ad esempio perchè Milano è la città dove un commando (misto?) uccise nel 1978 Fausto e Iaio, due giovani attivisti del Centro Sociale Leoncavallo che stavano conducendo una inchiesta proprio sui legami tra i fascisti e il boom dello spaccio di eroina nel territorio milanese. E anche su questo le date sono importanti. Il 1978 non è un anno qualsiasi.
Dai verbali della Commissione parlamentare antimafia della XI legislatura, presieduta da Luciano Violante, il boss mafioso Tommaso Buscetta, nella dodicesima seduta della Commissione riferisce che il traffico di stupefacenti in Italia era iniziato solo nel 1978, benché fosse risaputa sin dalla relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, della VI legislatura, l’attività di narcotraffico della mafia siciliana strutturata da anni da Lucky Luciano in direzione degli gli Stati Uniti (la sola New York, negli anni ’50, necessitava di almeno 100 kg di eroina  al giorno, fornita ai Gambino dai clan palermitani). La crescita del traffico di droga, rispetto al contrabbando, secondo Buscetta, costituì una vera e propria rottura epocale del sistema dei valori della mafia tradizionale, che implicò anche i principi dell’affiliazione, portando alla luce le famiglie più grosse e numerose, quelle che potevano contare su più parenti emigrati all’estero ed in Italia.
Il 1978 è dunque un anno decisivo, uno spartiacque temporale per il boom della diffusione dell'eroina nel nostro paese strettamente connesso alla storia dei movimenti e del conflitto sociale. L'anno prima, il 1977,un ampio e combattivo movimento si era diffuso in tutte le principali aree metropolitane contro la politica dei sacrifici e il governo del compromesso storico Dc-Pci. Decine di manifestazioni, scontri, morti nelle piazze, il comizio di Lama contestato all'università di Roma, i primi vagiti dei gruppi clandestini della sinistra. Contro quel movimento fu scatenata una controffensiva violenta in cui gli apparati dello Stato misero in campo tutto l'armamentario di cui disponevano, inclusi i gruppi neofascisti e malavitosi (non a caso a Roma sono gli anni della crescita della “Banda della Magliana”). Lo spaccio massiccio di eroina “a prezzi stracciati” nei quartieri popolari e nei settori giovanili è parte di questa controffensiva. L'idea era stata elaborata solo qualche anno prima. A rivelarlo è un fascista interrogato per la Strage di Brescia, Roberto Cavallaro. Arrestato ed inquisito dalla magistratura nell’ambito dell’indagine sul fallito golpe, riferì agli organi inquirenti che, nel 1972, mentre si trovava in addestramento in Francia, apprese dell’esistenza di una operazione segreta della CIA in Italia, denominata Blue Moon, con l’obiettivo della diffusione delle sostanze stupefacenti a base di oppiacei tra i giovani delle principali città italiane e per sviluppare disgregazione sociale, con l’obiettivo di diffondere il consumo di droga negli ambienti sociali vicini all’area della contestazione studentesca, fiaccandone le velleità rivoluzionarie ed esaltandone gli istinti individualisti ed anarcoidi, come già era stato sperimentato con successo negli USA. L’operazione Blue Moon “era condotta in Italia dai servizi statunitensi utilizzando uomini e strutture che facevano capo alle rappresentanze ufficiali di quel paese in Italia.”
Sui legami tra fascisti e traffico di droga potremmo rammentare agli smemorati o ai poco informati episodi più recenti. A ottobre del 2008 i Carabinieri, hanno arrestato Angelo Manfrin, attivo in una rete di spaccio che aveva basi a Rovigo, Ferrara e Modena, oltre che a Verona, Padova e Milano . Angelo Manfrin, 64 anni, è un notissimo neofascista dei Nar, condannato nell'aprile 1990 dalla Corte d'Assise d'Appello di Venezia per associazione per delinquere, in concorso anche con Gilberto Cavallini, Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Ora e' risultato essere l'organizzatore di un vasto traffico di droga destinata ai mercati veneto, emiliano e lombardo, nonchè di una capillare rete distributiva con basi in vari città. Manfrin si avvaleva soprattutto della complicità di un altro personaggio, Roberto Frigato, anch’egli noto esponente della destra. ex Ordine Nuovo, recentemente – sembra - legato alla Fiamma Tricolore. “Il fatto che questa gente gravitasse nell'area della destra eversiva ci mette sull'avviso – dichiarò all'epoca ai giornalisti il capo della Dda di Venezia Vittorio Borraccetti a seguito dell'operazione - Vogliamo capire il senso della presenza di questi personaggi. Al momento siamo di fronte ad un gruppo che operava nel narcotraffico. Intendiamo comprendere se il ricavato di questa attività fosse destinato anche ad un impiego di carattere eversivo”. Oppure è difficile non rammentare l'arresto nel 2012 del noto esponente neofascista romano Emanuele Macchi Di Cellere (quello che in carcere veniva definito l'angelo custode di Concutelli) con una partita di ben 165 chili di cocaina proveniente dall'America Centrale.
Le reti degli “uomini neri” e il loro lavoro sporco dunque non si sono mai interrotti. I fascisti stanno provando in molti modi a rifarsi una verginità “politica”. Ma fatti come questi li inchiodano ad una realtà che neanche le indulgenti relazioni dei servizi segreti italiani possono omettere ancora a lungo. L'inchiesta prosegue.
Federico Rucco

lunedì 21 aprile 2014

HURRICANE

L'articolo odierno vuole ricordare il pugile statunitense Rubin Carter,conosciuto da tutti come Hurricane,attivo negli anni sessanta e passato alla storia come uno degli esempi più eclatanti di ingiustizia negli Usa.
Erroneamente condannato per via del colore della sua pelle in un processo farsa in un caso di triplice omicidio,ha passato da innocente diciannove anni in carcere,e quando finalmente fu liberato divenne un baluardo per tutti i detenuti condannati ingiustamente come lui, presiedendo l'associazione per la difesa dei condannati per errore.
A lui Bob Dylan dedicò una splendida canzone ed il regista Norman Jewison un film che ripercorre la sua vicenda,per un uomo che è diventato e che resterà un'icona per la lotta al razzismo:articolo preso da Repubblica(http://www.repubblica.it/sport/vari/2014/04/20/news/rubin-hurricane_carter_morte-84087628/ ).


Morto Rubin "Hurricane" Carter, il pugile ribelle che ispirò Bob Dylan.


Il boxer si è spento dopo una lunga battaglia con il cancro. Era diventato il simbolo dell'ingiustizia, condannato per un triplice omicidio mai commesso, passò vent'anni in prigione. La sua vita ha ispirato un'epoca di lotte contro il razzismo.

Toronto.L'uragano si è fermato. Rubin Carter, l'ex peso medio noto come 'Hurricane', è morto a 76 anni mentre dormiva, nella sua casa di Toronto. A dare la notizia è stato John Artis, assistente, amico e compagno di cella, perché ritenuto il complice degli omicidi. Il soprannome lo accompagnava da sempre. Era stato il pubblico che lo andava a vedere combattere negli anni Sessanta a sceglierlo. Per la forza e la velocità con cui colpiva gli avversari. Per l'imprevedibilità, per il timore che incuteva con la sua testa rasata, gli occhi di fuoco. Carter se n'è andato a causa di un peggioramento delle sue condizioni di salute, precarie dalla comparsa di un cancro alla prostata tre anni fa.
"Tutti coloro che sono stati ingiustamente incarcerati hanno perso un campione - ha detto Artis -. Ha dedicato la sua intera vita ad aiutare le persone che avevano bisogno della stessa assistenza, dello stesso appoggio o aiuto di cui abbiamo avuto bisogno anche noi, che siamo stati accusati, puniti e finiti in prigione senza ragione e senza giustizia".
Carter è stato il simbolo dell'ingiustizia, da quando fu accusato di un triplice omicidio avvenuto il 17 giugno 1966 a Paterson, New Jersey. Fu condannato a due ergastoli dopo la testimonianza decisiva di due criminali, Alfred Bello e Arthur Bradley, che in seguito ritrattarono le loro versioni. Fu sottoposto a un nuovo processo e tornò per un breve periodo in libertà nel 1976, ma dopo una seconda condanna tornò in cella per altri nove anni. Fu scarcerato solo nel 1985, quando l'accusa rinunciò a muovere in giudizio una terza volta contro l'illegittimità processuale sollevata dalla Corte Federale. Nel 1988 caddero ufficialmente tutte le accuse contro di lui. In tutto passò quasi diciannove anni in carcere per un assassinio che non aveva commesso. Non si arrese mai, né mai smise di professarsi innocente.
La sua lotta e la sua storia restano vive  in Hurricane, canzone che Bob Dylan scrisse nel 1975 dopo aver letto l'autobiografia 'The Sixteenth Round' (TESTO). Sulla vita del pugile si ispira anche un film del 1999, 'Hurricane - Il grido dell'innocenza (The Hurricane)', per il quale Denzel Washington ottenne la candidatura agli Oscar.
Il 17 giugno 1966, alle 2.30 del mattino due uomini di colore entrarono nel "Lafayette Bar and Grill" a Paterson, New Jersey, e cominciarono a sparare. Fred "Cedar Grove Bob" Nauyoks e il barista Jim Oliver morirono sul colpo. Una donna, Hazel Tanis, un mese dopo, aveva la gola, lo stomaco, l'intestino, la milza, il polmone sinistro e un braccio perforati dai proiettili. Una quarta persona, Willie Marins, sopravvisse all'attacco, ma perse la vista a un occhio.
Alfred Bello vide la scena e notò una macchina bianca sfrecciare verso ovest con due uomini di colore sui sedili anteriori. La macchina di Carter coincideva con quella vista dai testimoni, la polizia fermò lui e John Artis mezzora dopo la sparatoria. Nessuno dei testimoni li riconobbe ma nell'auto la polizia trovò una pistola calibro 32 e dei proiettili per fucile calibro 12, lo stesso calibro usato dagli assassini.
Dopo la condanna per il triplice omicidio l'opinione pubblica si schierò dalla parte dell'ex pugile, sostenendo che l'accusa era motivata esclusivamente da motivi razziali. La giuria al primo processo era interamente composta da bianchi. In breve il pugile divenne un simbolo della lotta alle discriminazioni razziali.
Icona di un'epoca, Carter restò un pugile sempre. Il suo ring divenne la cella e poi la vita, negli ultimi anni viveva facendo il 'motivatore'. Nato a Clifton, Stati Uniti, nel 1937, dal 1961 al 1966 vinse 27 incontri, per un totale di 12 sconfitte e un pareggio in 40 incontri, con 8 knockout e 11 knockout tecnici. Alto 1 metro e 73, Carter era più basso di un peso medio, ma combatté per tutta la sua carriera in questa categoria. La potenza dei suoi pugni lo fecero diventare beniamino del pubblico. Dopo aver battuto avversari come Florentino Fernandez, Holley Mims, Gomeo Brennan e George Benton, il mondo della boxe cominciò a notarlo. Ring Magazine lo inserì nella sua "Top 10" nel luglio del 1963. Il 20 dicembre sorprese il mondo della boxe mandando al tappeto il passato e futuro campione del mondo Emile Griffith due volte nel primo round, aggiudicandosi il KO tecnico. 'Hurricane' ha ricevuto la cintura di Campione del Mondo dal World Boxing Council nel 1993.

venerdì 18 aprile 2014

ADDIO ALLA VOCE DEL SUDAMERICA

Gabriel Garcia Marquez
Se n'è andato per via di complicanze dovute ad un'infezione polmonare Gabriel Garcìa Marquez,colombiano premio Nobel per la letteratura e scrittore che ha saputo dare voce ad un intero continente con romanzi,scritti e saggi,quel Sud America tanto amato anche se spesso durante la sua carriera anche di giornalista ha dovuto lasciare abitando in molti altri posti.
E'stato uno degli scrittori che più ha venduto e più è stato tradotto in lingua spagnola,secondo solo a Miguel De Cervantes,ed i suoi libri sono un misto di descrizione,passione e messaggi sociali che Gabo ha voluto esprimere dalla sua penna.
Noto il suo impegno sociale in tutto il mondo e soprattutto in Sud America,praticamente in ogni stato del continente,ha seguito in prima persona la dittatura cilena di Pinochet,è stato amico di Castro a Cuba e sostenitore di Chavez in Venezuela,Marquez ha saputo col suo lavoro far conoscere a molte persone realtà e fatti di quella terra così passionale,sanguigna e allo stesso tempo martoriata da guerre civili e complotti militari comandati dagli Usa.
Articolo preso da"Internazionale",la sua figura su Wikipedia:http://it.wikipedia.org/wiki/Gabriel_Garc%C3%ADa_M%C3%A1rquez .

È morto lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez


Il premio Nobel per la letteratura colombiano Gabriel García Márquez è morto a 87 anni il 17 aprile, nella sua casa di Città del Messico.
Era malato da qualche tempo, qualche giorno fa i familiari avevano definito la sua salute “molto fragile”. L’8 aprile era stato dimesso dall’ospedale di Città del Messico dopo otto giorni di trattamento per una polmonite. García Márquez, chiamato dai suoi amici e dai suoi allievi Gabo, viveva in Messico dal 1961.
Giornalista e scrittore ha vissuto a Cartagena de Indias (Colombia), Barcellona e L’Avana. Da molti anni si era ritirato dalla vita pubblica. Considerato uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi in lingua spagnola, ha ricevuto il Nobel per la letteratura nel 1982. È diventato famoso nel 1967 con il romanzo Cent’anni di solitudine, considerato il suo capolavoro.
Il 17 aprile la notizia della sua morte è stata confermata dal presidente della Colombia Juan Manuel Santos con un messaggio su Twitter: “Cent’anni di solitudine e di tristezza per la morte del più grande colombiano di tutti i tempi”. Pochi minuti prima, la televisione messicana Televisa aveva annunciato, sempre su Twitter, che lo scrittore ottantasettenne era morto a casa sua, circondato dai suoi familiari.

giovedì 17 aprile 2014

TONINO MICCICHE',IL SINDACO DI FALCHERA

Il breve post di oggi è dedicato alla figura di Tonino Miccichè,compagno emigrato dalla Sicilia in cerca di lavoro al nord,e precisamente a Torino alla Fiat dove poi venne licenziato per motivi politici e si era attivato per la lotta per la casa nel quartiere Falchera,edificato con centinaia di case popolari alla periferia del capoluogo piemontese negli anni cinquanta.
In quegli anni l'emergenza abitativa a Torino era allarmante,non si era riusciti a compensare l'elevata richiesta della manodopera dell'azienda automobilistica degli Agnelli(e dello Stato)e di tutte quelle dell'indotto con un numero adeguato di abitazioni per i lavoratori,costretti ad abitare ammassati in cantine,soffitte in condizioni per nulla dignitose.
Tonino,che per il suo impegno veniva chiamato"il sindaco di Falchera"venne ucciso da un colpo di pistola sparato da un iscritto al sindacato di destra del Cisnal(oggi Ugl),tale Paolo Fiocco,per motivi legati all'occupazione di quelle case tanto agognate e che le lungaggini burocratiche facevano sì che le esigenze di chi viveva in condizioni disumane venissero prima delle assegnazioni,in una guerra tra poveri che sta continuando ancor oggi.
L'articolo è preso da Infoaut,in quello che è il trentanovesimo anniversario della sua morte.


17 aprile 1975: l'omicidio di Tonino Micciché.


17 aprile 1975, 19 di sera, quartiere operaio della periferia nord di Torino. Un gruppo di compagni e compagne del comitato di lottaper la casa di Falchera sta sistemando la sua nuova sede appena liberata. Tra loro c'è Tonino Micciché, 25 anni, emigrato siciliano, ex operaio Fiat licenziato per motivi politici. Un uomo col soprabito si avvicina al gruppo. Cammina tranquillo. Quando si trova a un metro da Tonino estrae una calibro 7.65, di quelle in dotazione alle guardie giurate, e spara. Dritto in fronte: Tonino muore all'istante.
Emigrare al nord per trovare lavoro significa rinunciare alla propria terra, alla vicinanza degli affetti, alla casa. Perché i grandi industriali del Piemonte si sono scordati, nei loro piani di produzione, di pensare che quelle migliaia di operai che risalgono la penisola, abbiano anche bisogno di un tetto sotto il quale passare le poche ore che separano un turno dal successivo. Così nascono le speculazioni. Il centro storico è pieno di soffitte in cui i letti vengono condivisi da tre o più persone, "che quando arrivi per coricarti devi svegliare il compagno che ti liberi il posto". La risposta della Fiat all'emergenza abitativa sarebbe quella di sistemare le maestranze in vecchi stabilimenti della cintura torinese isolati dallle città, che vengono pubblicizzati come " fiore all'occhiello, con tutti i comfort, con attorno giardini verdi, dove i buoni operai [potrebbero] rigenerarsi dalle fatiche della catena di montaggio e liberare il corpo e lo spirito al contatto con la natura". Addirittura Cgil, Cisl e Uil si oppongono a quelli che definiscono "villaggi di concentrazione".
Le case popolari esistono, e formano veri e propri ghetti fuori dalle "mura" della Torino bene. Sono stati fatti costruire interi quartieri dormitorio alla periferia estrema della città, e a Falchera e Mirafiori lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) inizia ad edificare nuovi lotti per un totale di 20.000 abitanti. Le pratiche per l'assegnazione sono lente e sempre più famiglie si trovano strette nella morsa di affitti esorbitanti e alloggi fatiscenti.
Da queste premesse iniziano le occupazioni, che se nascono in modo molto spontaneo, non tardano a convergere in percorsi politici di appositi comitati di quartiere. A Falchera, quartiere costruito negli anni '50 in barriera di milano, si assiste al fenomeno più ampio. Centinaia e centinaia di famiglie arrivano da tutta la città e si organizzano per occupare e amministrare le case non ancora assegnate. La risposta istituzionale non si fa attendere. Immediatamente lo IACP riprende a piena lena le assegnazioni degli alloggi, in modo da mettere assegnatari e occupanti gli uni contro gli altri. Dal canto loro i giornali iniziano subito a spendersi per dipingere il fenomeno come parte della tanto comoda "guerra tra poveri".
Nel comitato di occupazione di Falchera, Tonino Micciché diventa presto una figura tra le più importanti: è lui che va a parlare con le istituzioni quando è necessario, ed è lui che spesso si prende la briga di assegnare gli alloggi alle nuove famiglie di occupanti. E' lui che viene eletto dai suoi compagni "il sindaco di Falchera". Il motivo del suo omicidio va ricercato nel clima di tensione che l'IACP ha tentato di creare tra occupanti e assegnatari. Nonostante la maggior parte degli assegnatari condivida con gli altri le esperienze di lotta e la militanza nei comitati, restano comunque alcuni, pochi, che dal loro status di "privilegati" vogliono trarre il massimo. Tra questi ultimi anche Paolo Fiocco, guardia giurata iscritta alla CISNAL, che si è preso un box auto in più oltre a quello già assegnatogli dall'Istituto. In quel box il comitato per la casa vorrebbe fare le sue riunioni, e non valendo a nulla le richieste di liberarlo fatte a Fiocco, decide di prenderselo quel 17 aprile 1975.