lunedì 29 settembre 2014

70 ANNI DALLA STRAGE DI MARZABOTTO

Oggi ricorre l'anniversario del più terribile e grande come numero di vittime,eccidio perpetrato dai nazisti in Italia supportati dai collaborazionisti fascisti,la strage di Marzabotto in cui perirono 1830 persone tutte civili in quanto di partigiani nella località e negli altri paesini limitrofi nell'Appennino bolognese non ce n'erano.
In quei mesi i nazisti stavano arretrando verso nord sotto la minaccia degli alleati e della lotta partigiana sempre più insistente,e dopo i massacri in Versilia e in Lunigiana cominciarono quelli a ridosso dell'Appennino toscoemiliano in una escalation di orrore e di violenza.
Qui sotto preso dal sito del Centro studi della Resistenza italiana(http://www.storiaxxisecolo.it/DOSSIER/dossier1b.htm )un breve resoconto di quei giorni dove trovarono la morte neonati,bimbi e ragazzi,donne e anziani:vi furono vittime indirette fino a metà degli anni sessanta dovute alle mine piazzate dai tedeschi in fuga(55)e come in molti altri casi la verità è emersa solo dopo decenni ed i carnefici non vennero puniti a dovere.
A piè pagina una riflessione di Giorgio Diritti su quello che è stato Marzabotto raffrontato ai giorni nostri preso da Repubblica.it.

La strage di Marzabotto.

La strage di Marzabotto del 29 settembre 1944 fu la tragica tappa finale di una «marcia della morte» che era iniziata in Versilia. L'esercito alleato indugiava davanti alla Linea Gotica e il maresciallo Albert Kesserling, per proteggersi dall'«incubo» dei partigiani, aveva ordinato di fare «terra bruciata» alle sue spalle.
Kesserling fu il mandante di una strage che nessun'altra superò per dimensioni e per ferocia e che assunse simbolicamente il nome di Marzabotto anche se i paesi colpiti furono molti di più.
L'esecutore si chiamava Walter Reder. Era un maggiore delle SS soprannominato «il monco» perché aveva lasciato l'avambraccio sinistro a Charkov, sul fronte orientale. Kesserling lo aveva scelto perché considerato uno «specialista» in materia.
Al comando del 16° Panzergrenadier «Reichsfuhrer», il «monco» iniziò il 12 agosto una marcia che lo porterà dalla Versilia alla Lunigiana e al Bolognese lasciando dietro di sé una scia insanguinata di tremila corpi straziati: uomini, donne, vecchi e bambini.
In Lunigiana si erano uniti alle SS anche elementi delle Brigate nere di Carrara e, con l'aiuto dei collaborazionisti in camicia nera, Reder continuò a seminare morte. Gragnola, Monzone, Santa Lucia, Vinca: fu un susseguirsi di stragi immotivate. Nella zona non c'erano partigiani: lo dirà anche la sentenza di condanna di Reder: «Non c'erano combattenti. Nei dirupi intorno al paese c'era soltanto povera gente terrorizzata...».
A fine settembre il «monco» si spinse in Emilia ai piedi del monte Sole dove si trovava la brigata partigiana «Stella Rossa». Per tre giorni, a Marzabotto, Grizzana e Vado di Monzuno, Reder compì la più tremenda delle sue rappresaglie. In località Caviglia i nazisti irruppero nella chiesa dove don Ubaldo Marchioni aveva radunato i fedeli per recitare il rosario. Furono tutti sterminati a colpi di mitraglia e bombe a mano.
Nella frazione di Castellano fu uccisa una donna coi suoi sette figli, a Tagliadazza furono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara vennero rastrellati e uccisi 108 abitanti compresa l'intera famiglia di Antonio Tonelli (15 componenti di cui 10 bambini).
A Marzabotto furono anche distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, quindici strade, sette ponti, cinque scuole, undici cimiteri, nove chiese e cinque oratori. Infine, la morte nascosta: prima di andarsene Reder fece disseminare il territorio di mine che continuarono a uccidere fino al 1966 altre 55 persone. Complessivamente, le vittime di Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno furono 1.830. Fra i caduti, 95 avevano meno di sedici anni, 110 ne avevano meno di dieci, 22 meno di due anni, 8 di un anno e quindici meno di un anno. Il più giovane si chiamava Walter Cardi: era nato da due settimane.
Dopo la liberazione Reder, che era riuscito a raggiungere la Baviera, fu catturato dagli americani. Estradato in Italia fu processato dal Tribunale militare di Bologna nel 1951 e condannato all'ergastolo. Dopo molti anni trascorsi nel penitenziario di Gaeta fu graziato per intercessione del governo austriaco. Morì pochi anni dopo in Austria senza mai essere sfiorato dall'ombra del rimorso.
(in il Resto del Carlino, 12 aprile 2002)

I sopravvissuti
A Marzabotto gli unici sopravvissuti furono due bambini, Fernando Piretti, di otto anni, e Paolo Rossi di sei, e una donna, Antonietta Benni, maestra d'asilo delle Orsoline. Per 33 ore finse di essere stata abbattuta anche lei e quando finalmente potè alzarsi, commentò ad alta voce: «Tutti morti, la mia mamma, la mia zia, la mia nonna Rosina, la mia nonna Giovanna, il mio fratellino... Tutti morti». Anche a Marzabotto alcune SS parlavano un italiano perfetto: erano italiani.

I collaborazionisti italiani
Per i fatti di Marzabotto ci fu anche una coda processuale italiana. Prima della condanna del maggiore Reder, nel 1946, la corte d'assise di Brescia aveva giudicato Lorenzo Mingardi e Giovanni Quadri, due repubblichini (il primo, reggente del Fascio di Marzabotto, nonché commissario prefettizio durante la carneficina), per collaborazione, omicidio, incendio e devastazione. Mingardi ebbe la pena di morte, poi trasformata in ergastolo. Il secondo, 30 anni, poi ridotti a dieci anni e otto mesi. Tutti e due furono successivamente liberati per amnistia.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Cambia solo la lingua.

Giorgio Diritti.

Quanto è distante Marzabotto?
Settant'anni…?
Settanta miglia prima che lo scafista butti a mare i suoi naviganti "clandestini," settanta giorni di prigionia prima che il combattente rivendichi la gloria di esporre al mondo la morte per decapitazione del suo prigioniero inerme, settanta bombe, settanta razzi prima che una, due, tre cadano sulla scuola, nel mercato, prima di vedere i brandelli di sangue come a Casaglia o Cerpiano. È molto vicina la stage di Marzabotto, ha cambiato lingua, territorio, ma poco altro nello scempio di vita altrui che certi uomini continuano a fare.
Nello scempio di un società evoluta dove la ricchezza si fonda anche sul mercato delle armi, sullo sfruttamento dei simili, sulla schiavitù, e dove il confine dello spettacolo televisivo mischia ogni sera la realtà drammatica e violenta a quella effimera della pubblicità. Il pianto cammina ancora sui sentieri di Monte Sole nell'animo di chi c'era o di chi ha ascoltato la voce di chi c'era. Credo sia fondamentale nella vita un giorno andare lì.
La memoria è il più importante patrimonio da difendere.
E forse un giorno, finalmente, il progresso non sarà solo un nuovo oggetto tecnologico ma il bene per l'umanità.


(L'autore nel 2009 ha diretto il film "L'uomo che verrà" sulla strage di Marzabotto).

Nessun commento: