domenica 13 dicembre 2015

AFFARI DI FAMIGLIA

 
I due articoli presi da Senza Soste parlano del decreto salva banche emanato dal Governo Renzi e che tanto ha fatto indignare la maggioranza degli italiani che per l'ennesima volta si sono sentiti prendere in giro con un uso improprio del denaro europeo che al posto di salvare le persone salva gli istituti finanziari.
Le disposizioni urgenti per il settore creditizio,il giro di parole per giustifica questo scippo di milioni di Euro che potevano finire in altri settori più urgenti e primari come la sanità o l'istruzione,hanno visto nella figura del ministro delle riforme Boschi la solita faccia di bronzo che privilegia gli affari della sua famiglia.
Perché il padre è un'ex direttore di una delle quattro banche salvate da tale decreto,un vecchio modo di fare politica guardando i propri interessi e si vede che il ventennio berlusconiano(per intenderci anche prima la solfa era simile ma non così alla luce del giorno)non ha insegnato nulla e che gli attori recitano sempre le stesse trame.
Chi paga alla fine sono i piccoli e medi risparmiatori che vedono decenni di fatiche sparire all'improvviso perché raggirati dalle stesse banche che ingannano soprattutto anziani e chi non ha dimestichezza in materia,proponendo loro investimenti che in realtà non sono coperti in caso di fallimento della banca stessa.
Forse ci saranno dei risarcimenti che sono allo studio e che devono necessariamente riguardare i reali casi di quelle che sono vere e proprie truffe di criminali in giacca e cravatta:aggiungo anche un altro link dove si suggerisce un'idea per tali rimborsi(http://contropiano.org/politica/item/34285-come-risarcire-i-truffati-espropriare-gli-amministratori-delle-banche-fallite ),cioè l'esproprio totale dei milioni di Euro intascati dagli amministratori delle banche fallite,una categoria di nuovi,pericolosi e finora intoccabili criminali.
 
Salvate le banche di famiglia (con i soldi della Bce).
Andrea Fumagalli - tratto da http://effimera.org
 
Due fatti rilevanti hanno caratterizzato le ultime due settimane. Due fatti apparentemente distanti e decisamente di diverso spessore, ma accomunati, nella loro diversità, dalla stessa logica di potere e di dominio.
Nel CdM del 22 novembre, il governo del premier Renzi e della ministra Boschi ha dato il via libera al decreto, denominato “Disposizioni urgenti per il settore creditizio”, con l’unico scopo di salverà quattro istituti di credito già posti in amministrazione straordinaria: Cassa di risparmio di Ferrara, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio (il cui direttore era il padre della ministra Boschi), Banca delle Marche e Cassa di Risparmio della provincia di Chieti (cd. Decreto “Salvabanche”).
CariFerrara era stata la prima a essere commissariata, nel maggio 2013, dopo aver perso poco meno di 105 milioni di euro. Poi è stato il turno di Banca Marche, il cui commissariamento è arrivato ad agosto dello stesso anno, dopo due bilanci che hanno registrato perdite per 232 e 526 milioni di euro. Ma è con il fallimento di Banca Etruria e CariChieti (commissariate nel 2015 per “gravi perdite di patrimonio”) che si decide di intervenire a salvaguardia degli interessi del credito (e della famiglia Boschi?). Secondo gli analisti, il costo dell’operazione è pari a circa 730 milioni di euro e sarà a carico degli azionisti e dei possessori di obbligazioni subordinate delle quattro banche, cioè dei risparmiatori: coloro che avevano incautamente acquistato i titoli emessi dall’ente creditizio, consapevoli o meno che a fronte di rendimenti maggiori non avrebbero avuto alcuna tutela in caso di fallimento dell’istituto, essendone il rimborso subordinato a quello dei creditori ordinari (da qui la dizione di “obbligazioni subordinate”, a maggior intensità di rischio)
Il resto è stato posto a carico del Fondo di Risoluzione, approvato giusto quattro giorni prima del decreto e amministrato dalla Banca d’Italia. L’impegno del Fondo di Risoluzione ammonta complessivamente a circa 3,6 miliardi di euro, anticipati dalle tre principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi Banca), che hanno apportato la liquidità necessaria all’avvio dell’operatività del Fondo neocostituito, con scadenza a 18 mesi: in sintesi, si sono ripartite le perdite, sia pure in via temporanea. Tale anticipazione viene garantita con fideiussioni dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp), quindi ultimamente dallo Stato, per un ammontare che si calcola intorno a miliardo di euro (che verrà effettivamente speso in caso di inadempienze delle tre principali banche private italiane).
Qualunque sia il soggetto prestante, è necessario sottolineare che la liquidità cortesemente messa a disposizione per i salvataggio è la stessa che proviene, direttamente o indirettamente, dalle politiche di Quantitative Easing della Bce.
In questo caso, per lo meno, sappiamo dove si indirizza e per quali scopi è utile la moneta creata dalla Bce.
Le prime conseguenze sono state l’azzeramento del valore dei titoli, obbligazionari e non, legati a queste quattro banche, con effetti negativi notevoli sul risparmio di circa 130.000 famiglie, ovvero le meno avvedute che spesso in modo ingenuo cadono nella spirale della promessa del facile guadagno o del mito patriarcale del politicismo localistico (una banca ancorata al territorio non può fallire).
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Giovedì 3 dicembre, il board della Bce capitanato da Mario Draghi ha deliberato di estendere le misure di Quantitative Easing sino a marzo 2017, di voler acquistare anche titoli pubblici emessi da amministrazioni locali e di ridurre il tasso d’interesse sui depositi delle Banche centrali nazionali presso la Bce dal -0,2% al -0,3%.
Le ragioni – ha spiegato Draghi – sono essenzialmente due: cercare di far aumentare l’inflazione (oggi allo 0,1% su scala europea) e iniettare liquidità per finanziare e potenziare l’attuale debole crescita europea.
Così come evitare il crack di alcune banche (soprattutto se piccole) con soldi sia pubblici che privati (cd. meccanismo della bad bank) non serve a rendere più trasparente e efficiente il mercato del credito e proteggerlo dalla trappola della speculazione, altrettanto perpetuare politiche monetarie espansive in un contesto di debole domanda aggregata e di smantellamento e privatizzazione del welfare state (riduzione della domanda pubblica: vedi, in Italia, la recente privatizzazione di Poste Italiane e ora quella delle ferrovie di Stato) risulta del tutto inutile.
Da questo punto di vista l’Europa si trova ostaggio di diverse “trappole”.
A livello macroeconomico, la politica monetaria diventa inefficace se opera in una situazione di “trappola della liquidità”. Cosa significa? In economia politica per trappola della liquidità s’intende quella situazione per la quale, anche di fronte a tassi d’interessi prossimi allo zero e quindi in presenza di un costo di finanziamento degli investimenti irrisorio, non si registra nessuno stimolo alla domanda aggregata, a causa di aspettative imprenditoriali e di consumo negative.
In un simile contesto, le imprese non investono. Anche se l’accesso al credito fosse gratuito o, – come sta avvenendo oggi con la diffusione del lavoro non pagato e dell’istituzionalizzazione della precarietà grazie al Jobs Act – il costo del lavoro si riducesse ai minimi termini, perché mai un’impresa sana di mente dovrebbe aumentare la propria produzione se le aspettative sulla domanda finale del proprio bene sono negative? E infatti, nel terzo trimestre del 2015, gli investimenti sono calati ulteriormente dello 0,4%, nonostante le condizioni più favorevoli e gli incentivi introdotti da Jobs Act con lo scopo di istituzionalizzare il lavoro “usa e getta”. Le aspettative sulla domanda interna rimangono negative e l’effetto “svalutazione euro” sull’export è oramai cosa passata (- 0,4% anch’esso).
Ne consegue che la liquidità immessa dalla Bce rimane all’interno del circuito finanziario-speculativo senza “gocciolare” (trickle-down) sull’economia reale. Essa serve a rimettere i conti a posto delle principali banche europee, a finanziare il salvataggio di quelle più in difficoltà (come il recente decreto “salva banche” in Italia ci mostra) e promuovere l’attività speculativa. Nonostante le turbolenze internazionali e l’instabilità generata dal rallentamento economico dei paesi Brics (Cina in testa, Brasile in recessione), le borse europee godono di buona salute. Dal giugno 2012 (2068 punti), l’indice Eurostoxx50, una media ponderata delle diverse borse europee, ha cominciato una ascesa che lo ha portato al massimo di 3816 punti nell’aprile 2015 (+ 84,5%), per poi calare a 3.088 nell’ottobre 2015 (in pieno scoppio della bolla cinese) e risalire ai valori attuali di 3.450 punti.
Tale andamento dimostra inoltre che gli effetti del QE sono stati più che positivi nel periodo precedente alla sua ufficializzazione e che dopo gli effetti di allargamento del mercato finanziario sono divenuti più contenuti.
La politica monetaria espansiva di Draghi si sta dunque rilevando fallimentare Essa può al limite solo alimentare una bolla speculativa con il rischio che, quando questa scoppia (e ci sono già delle avvisaglie che provengono dalla Cina), gli scarsi effetti del moltiplicare finanziario sul reddito delle fasce più ricche della popolazione si annullano, la distribuzione del reddito si è oramai sempre più polarizzata, le aspettative crollano e si rientra di nuovo in una fase recessiva.
Tale situazione è l‘esito della “trappola della speculazione finanziaria” e spiega l’attuale situazione di impasse macroeconomico: trappola della speculazione e trappola della liquidità si alimentano a vicenda in un perverso e distorto circolo vizioso.
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Tale congiuntura economica rischia di produrre una stagnazione di lungo periodo, dal momento che è alimentata da fatti strutturali che oramai si sono sedimentati nella governane del mercato del lavoro e nelle forme di dominio del capitale produttivo e finanziario sullo stesso lavoro.
Facciamo qui riferimento alla “trappola della precarietà”, ovvero a quella condizione per la quale la condizione di precarietà, di incertezza, di instabilità, di insicurezza di reddito è talmente diventata strutturale e generalizzata non solo da coinvolgere l’intera vita degli individui ma a occupare qualsiasi spazio economico, sino a divenire irreversibile, a prescindere al tipo di professione e dall’età.
Non si esce più dalla condizione precaria, oggi, per lo più se essa, come già ricordato, diventa norma.
La trappola della precarietà, se a livello individuale consente alla gerarchia economica di tenere in ostaggio il lavoro e soprattutto il lavoro a più alto valore aggiunto (quello cognitivo-relazionale) grazie a nuovi dispositivi di sussunzione vitale al capitale (dal debito, al ricatto sul reddito, all’immaginario), a livello aggregato rappresenta il più grande ostacolo alla ripresa economica. È all’origine della trappola della liquidità e favorisce l’ampliamento della trappola della speculazione. Si tratta così di una situazione di perenne instabilità e quindi di perenne crisi.
10 dicembre 2015
 
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La criminalità vera è ai vertici delle banche.

Claudio Conti - tratto da http://contropiano.org 
 
Non è facile trovare su un giornale un articolo così tranchant nei confronti dei poveri disgraziati che hanno accettato di trasformare i propri soldi sul conto corrente in “obbligazioni subordinate” delle quattro banche salvate dal governo, perdendo tutto.
Poi si guarda meglio, si vede che il giornale in questione è La Stampa – organi di casa Fiat, con grandi punti di contatto con IntesaSanPaolo – e ci si rende conto che questo articolo è una difesa a spada tratta del diritto di una banca a prendere per i fondelli i propri clienti.
Sul caso ci siamo già espressi, e se fossimo dei cretini potremmo limitarci a dire – come fa mr. Manacorda - “v'è piaciuto giocare con la finanza? Ben vi sta”.
Cos'è che non funziona in una posizione del genere? In primo luogo il fatto che accetta tutti i presupposti fasulli che il capitale stesso propone. Ossia che tutti i soggetti in campo siano sullo stesso piano, possiedano tutte le informazioni indispensabili e agiscano dunque nella piena consapevolezza dei propri interessi e dei relativi rischi.
Basta guardare i protagonisti della vicenda per capire che così non è mai, né in questo caso, né in altri. In cima a tutti stanno i dirigenti delle banche, gli stessi che le hanno fatte fallire concedendo a se stessi e a pochi altri clienti “pregiati” prestiti milionari trasformatisi in “sofferenze”, insomma soldi che non tornano indietro. Costoro hanno deciso freddamente di “promuovere” presso tutti i correntisti la trasformazione dei liquidi in obbligazioni emesse dalla stessa banca. Prima in obbligazioni ordinarie, poi – al rinnovo – in obbligazioni subordinate, ovvero rimborsabili solo eventualmente, dopo aver soddisfatto altri soggetti con diritti superiori. Un po' come avviene nei fallimenti, dove si usa distinguere tra creditori privilegiati e “chirografari”. I primi ricevono qualcosa dalla svendita degli asset, i secondi – in genere – nulla.
In mezzo ci sono gli impiegati della banca, quelli che hanno ricevuto un incentivo monetario – tanto più appetibile dopo il sostanziale blocco degli aumenti contrattuali in atto da quasi un decennio – per suggerire ai clienti “la dritta” giusta, presentando l'investimento in termini assolutamente sicuri, con guadagni facili.
Sotto a tutti, come si dice in borsa, il “parco buoi”. Ossia persone di cultura e competenza diversissima, dal piccolo commerciante al pensionato ottuagenario, attirati con la promessa verbale di piccole cedole annuali. Ovvio che nel parco buoi ci sia qualcuno che ha gli strumenti per comprendere cosa sia un'obbligazione subordinata, mentre la maggior parte in questi casi sente parlare una lingua aliena.
Ma in ogni caso tra i tre livelli non c'è alcuna parità. Nè formale, né – tantomeno – sostanziale. Diciamo che siamo al limite, ed oltre, della circonvenzione di incapace.
Dunque i dirigenti di tutte le banche che abbiano rifilato ai correntisti le proprie obbligazioni – è prassi comune, generalizzata, non tipica di quelle quattro banche – andrebbero perseguiti penalmente, espropriati di ogni avere per rimborsare almeno in parte i turlupinati (capiamo che questo ridurrebbe di molto il patrimonio futuro di Maria Elena Boschi, il cui padre era vicepresidente di Banca Etruria, ma ci sembra che possa reggere la botta, no?).
Non arriva a tanto Jonathan Hill, commissario Ue ai servizi finanziari, ma ci si è avvicinato dicendo che quelle banche "hanno venduto prodotti inappropriati a persone che forse non sapevano cosa compravano". E non sembra una approvazione della formula del "salvataggio" scelta dal governo Renzi...
Se un intero sistema bancario è arrivato al punto di saccheggiare i conti correnti dei clienti, vuol dire che siamo un po' oltre i crimini ordinari delle banche. E che tutti i discorsi sulla “solidità” del sistema stesso, così come quelli che considerano i piccoli risparmiatori alla pari con i dirigenti delle banche, sono propaganda da rapinatori.
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Sul Bianco in ciabatte: è giusto salvare gli investitori che hanno perso i soldi?
FRANCESCO MANACORDA
Se domattina uno qualsiasi di noi si avventurasse in costume e infradito sul Monte Bianco non potrebbe certo sperare in unsalvataggio rapido e garantito. Perché allora alcuni investitori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate di quattro piccole banche dell’Italia centrale salvate dal fallimento dovrebbero avere un trattamento privilegiato?
Perché dovrebbero usufruire di quella che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha chiamato «un’operazione di natura umanitaria»?
Chi ha messo i soldi nelle obbligazioni subordinate (si chiamano così proprio perché il loro rimborso è subordinato al rimborso di altre categorie di creditori) lo ha fatto in cerca di rendimenti migliori di quello che potevano garantire obbligazioni più sicure o semplici titoli di Stato. Una scelta legittima, a patto che ad essa si accompagni anche la chiara percezione del fatto che a rendimenti maggiori corrispondono - senza eccezioni - rischi più alti di perdere parte o totalità del proprio capitale. Se la scelta è stata fatta con questa coscienza non c’è alcun intervento umanitario da fare; se invece la scelta è avvenuta per scarse o - peggio ancora - false informazioni da parte delle banche, allora siamo di fronte a un’ipotesi di reato. Anche perché, in base alle leggi, proprio le banche devono controllare se l’alpinista è abbastanza vestito. Fuor di metafora, devono valutare il grado di esperienza e conoscenza dell’investitore e in base a quello consentirgli solo gli investimenti a lui adatti.
La tragica notizia di un pensionato di Civitavecchia  che si sarebbe suicidato proprio per una perdita di centomila euro in obbligazioni subordinate di Banca Etruria sembrerebbe confermare che siamo di fronte a una sorta di darwinismo economico: chi se la cava di fronte al linguaggio spesso cifrato dei contratti bancari sopravvive; chi resta in trappola, magari per mancanza di cultura finanziaria, soccombe.
Ma muoversi sull’onda di questa emozione sarebbe un errore. I cittadini vanno considerati come adulti responsabili, che eventualmente vanno tutelati prima degli incidenti di percorso attraverso regole uguali per tutti; non poveri incapaci da soccorrere dopo gli incidenti, con soluzioni inevitabilmente discrezionali e destinate a creare nuove discriminazioni. Se venissero rimborsati in parte gli obbligazionisti delle quattro banche affondate - i primi che hanno provato sulla loro pelle le nuove regole sui salvataggi bancari, che sia a livello europeo sia a livello italiano sono state approvate in molti casi dagli stessi politici che oggi gridano allo scandalo - perché non dovrebbero essere aiutati altri investitori in difficoltà?
E poi il paternalismo governativo rischia di alimentare i peggiori sospetti: ci sarebbe stata tanta solerzia di dichiarazioni ministeriali se invece degli obbligazionisti di banche marchigiane e aretine - zone ad alta concentrazione di elettori Pd - lo scivolone finanziario avesse colpito ad esempio i leghisti veneti coinvolti in un qualche tragicomico esperimento bancario modello Credieuronord?
Se gli investitori hanno le loro responsabilità, questo non vuol dire però che le banche ne siano esenti. Se è vero che la maggior parte degli istituti stanno attenti a non piazzare ai loro correntisti prodotti anche potenzialmente tossici, è anche vero che chiunque abbia un amico o parente bancario sa che le reti di vendita sono spesso sottoposte a una forte pressione per piazzare ogni mese una certa quantità o un certo tipo di prodotti finanziari. Evitare possibili conflitti d’interesse rischia di essere difficile, specie per prodotti più complessi come sono appunto le obbligazioni subordinate. Per questo ieri la Banca d’Italia ha proposto che questo tipo di prodotti non possa più essere venduto ai clienti privati. E per questo bisognerebbe forse pensare che se per alcune banche è così difficile resistere alla sirena del conflitto d’interessi, allora si debbano prendere per tutti misure anche più drastiche, come il divieto di vendere obbligazioni proprie ai correntisti. Se in alta montagna arrivano troppi alpinisti male attrezzati e si moltiplicano gli incidenti o gli addetti ai controlli si danno una regolata o qualcuno penserà che sia meglio chiudere la funivia.
11 dicembre 2015

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