sabato 30 aprile 2016

INOR EZ DA HILTZEN,AHAZTEN EZ BADUGU

La morte di Inigo Cabacas,tifoso dell'Athletic Bilbao morto il 9 aprile 2012 dopo quattro giorni di coma per essere stato colpito in testa da un proiettile di gomma sparato dall'ertzaintza ore dopo la fine della partita casalinga di Europa League tra i bilbaini e lo Schalke 04,ancora non conosce un colpevole.
Si sa come sia avvenuta la sua morte ma manca ancora il nome di chi ha sparato per motivi ormai avvezzi anche a noi dove l'omertà e indagini insabbiate e deviate di casi simili sono un modo vergognoso di come lo Stato gestisca questi avvenimenti.
L'articolo preso da Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/varie/item/16884-bilbao-stanno-coprendo-il-poliziotto-che-ha-assassinato-pitu )mette la data del 7 giugno come un limite a quello che potrebbe accadere,cioè l'archiviazione del caso se non dovessero sussistere altri supplementi d'indagine.
Che visto l'andazzo dello Stato fascista spagnolo nei confronti dei Paesi Baschi sarebbe anche un fatto molto vicino e per loro naturale e preventivato:nell'articolo sono spiegate le modalità della morte di Inigo Cabacas cui aggiungo pure questo post del 2012(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/04/morte-di-stato-in-euskal-herria.html ).
Inor ez da hiltzen,ahazten ez badugu(Le persone che non vengono dimenticate non muoiono).
 
Bilbao, stanno coprendo il poliziotto che ha assassinato Pitu.
 
«Chi ha sparato sa di aver sparato, chi gli stava vicino pure». A quattro anni dall’omicidio di Inigo Cabacas, Pitu, continua la lotta dei genitori contro l’archiviazione che potrebbe essere pronunciata a giugno.
 
Non è solo l’Italia ad aggiungere capitoli al libro sul calcio e le sue miserie extracalcistiche. A 2000 km dai dintorni dello stadio “Barbera” di Palermo dove ieri sono avvenuti gli scontri tra tifosi di Palermo e Lazio, c’era dell’altra tensione tra tifosi di calcio. Una tensione diversa però, la tensione di chi si è visto ammazzare un amico dopo una partita di calcio senza che questi abbia avuto giustizia. Un folto corteo sfilato per le calles di Bilbao è giunto fino al punto in cui quattro anni fa Pitu – questo il nomignolo di Inigo Cabacas – veniva assassinato tragicamente dopo una partita di calcio della sua squadra del cuore, l’Athletic Club che avendo battuto lo Shalke 04 in Europa League approdava alle semifinali della competizione. Quattro anni, millequattrocentosessanta giorni sono passati. «Quattro anni di lotta» ha detto a margine del corteo Manu Cabacas, padre di Inigo, che con la moglie Fina Liceranzu sta portando sulle spalle non solo il peso di avere perso il loro figlio, ma anche quello di non avere ancora avuto giustizia. E sta lottando per averla.

Dopo quattro anni dall’assassinio, rispetto al punto di partenza di questa indagine, i passi avanti per trovare i colpevoli sono stati meno dei passi indietro. Sono anche le dinamiche dell’accaduto a logorare dentro chi a Inigo voleva bene. Perché l’assurdità è che il ventottenne tifoso dell’Athletic, quella sera di aprile 2012, stava solo bevendo una birra in una Herriko Taberna. Non era colpevole di alcunché se non di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La Ertzaintza – la polizia autonoma basca – fece irruzione nella via a due passi dallo stadio San Mames, in cui si trovavano Inigo e altre decine di persone, dopo che una prima volante era accorsa per sedare un alterco tra alcune persone. Uno degli agenti giunti in seconda battuta sul posto sparò ad altezza d’uomo colpendo Inigo che morì in ospedale pochi giorni dopo.

L’azione della Ertzaintza, l’accorrere di altre tre volanti dopo la prima, la carica ed i colpi sparati, vennero successivamente giudicati come inutili e sproporzionati. Ma tant’è che ora c’è un morto ma non c’è il suo assassino. Se di assassino si vuol parlare, visto che da fonti istituzionali si continua a chiamarlo “incidente”. Non si trova chi abbia sparato ma ci sono degli indagati, ovvero gli agenti che con passamontagna e casco d’ordinanza fecero irruzione nella via caricando e sparando. Nessuno di loro però dice di avere premuto il grilletto, ognuno di loro dice di non sapere chi abbia premuto il grilletto: niente di più facile per portare le indagini ad un punto morto e garantirsi l’impunità.

Omertà, reciproche coperture e silenzi che fanno infuriare i genitori e gli amici di Inigo. Qualche giorno fa al quotidiano spagnolo Publico, Manu Cabacas ha enunciato quello che per lui è più che un sospetto: «Stanno coprendo il poliziotto che ha assassinato mio figlio» – ha detto il papà di Pitu – «Chi ha sparato sa di aver sparato, chi gli stava vicino pure». Una denuncia che il comitato che chiede giustizia per Inigo ha alternamente trasformato in appello, sollecitando che chi sa cosa è accaduto, parli.

Il procedimento non ha mancato di riservare anche colpi bassi: come la richiesta di indennizzo di 777mila euro che è stata notificata alla difesa dei Cabacas e al quotidiano basco Gara per aver diffuso la registrazione audio nella quale si provava l’ordine via radio dato dal comando di polizia di caricare, nonostante la prima volante accorsa alle 23.30 avesse già comunicato che la situazione era tranquilla e che il diverbio per cui era intervenuta si era già acquietato. Una testimonianza, quella diffusa dal quotidiano e dal documentario “Cronaca di una ferita aperta”, che risulta decisiva per inchiodare il comando di polizia bilbaino alle sue responsabilità su una gestione folle dell’ordine pubblico.

E il prossimo 7 giugno, se il giudice non ordinerà nuovi supplementi di indagine, il caso potrebbe chiudersi con una istanza di archiviazione. Perché finora non se n’è cavato un ragno dal buco, e in molti pur non accettandolo paiono credere che a nessuno degli indagati verrà l’idea di “sputare il rospo”. Un altro caso di malapolizia finora rimasto impunito. Miserie extracalcistiche appunto, perché qui il calcio – quel gioco che era la più gran passione di Pitu – non c’entra proprio nulla.

da popoffquotidiano

venerdì 29 aprile 2016

PRIVATIZZARE REGALANDO AUTOSTRADE PER LA GIOIA DEGLI IMPRENDITORI

L'articolo odierno parla di autostrade e del fatto che le concessioni già generose di quarant'anni per gestire la rete delle strade a pagamento in Italia ai privati siano state prorogate per altre sette anni,dal 2038 al 2045.
Non che se ne sia parlato molto in questi giorni,perché la notizia circola in rete ormai da qualche tempo,solo che penso sia stata insabbiata perché questo è l'ennesimo regalo del governo Renzi agli imprenditori privati che acquisiscono a prezzi relativamente stracciati alcuni tratti di strada relativamente in ordine.
Tutto è infatti subordinato ad una quota non indicata di investimenti e di miglioramenti,e naturalmente dei pezzi di autostrada troppo in dissesto non sono appetibili e rimarranno nel degrado solito,ed altri come la Salerno-Reggio Calabria che sento dire dopo decenni sia stata ultimata per ora è considerata di già più un debito che una fonte di facili guadagni.
Perché è questo il fatto che fondamentalmente interessa alle cordate imprenditoriali,primi i Benetton,che vogliono investire in modo facile milioni di Euro che daranno i loro frutti a breve termine visti gli incassi sicuri ed i continui aumenti delle tariffe.
E se poi ti capita di costruire privatamente con denaro pubblico delle Brebemi allora il vantaggio parte già dai primissimi anni di investimento:articolo preso da Il fatto quotidiano(http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/18/autostrade-il-regalo-ai-signori-del-casello-mezzo-secolo-di-concessione/2637316/ ).

Autostrade, il regalo ai signori del casello: mezzo secolo di concessione.

I Benetton, a cui fa capo Autostrade per l'Italia, stanno trattando l'allungamento dal 2038 fino al 2045. Una proroga che vale 30 miliardi di euro. L'escamotage? “Fare come i francesi”, che stanno trattando con la commissaria Ue alla Concorrenza Margrete Vestager per ottenere prolungamenti in cambio di investimenti

Se 40 anni vi sembran pochi per dare in concessione ai privati le autostrade, eccovi accontentati: il governo italiano e Autostrade per l’Italia (Aspi) dei Benetton stanno brigando in sintonia per sfondare quel tetto con una proroga. Non più il 2038 come era stato generosamente concesso alla fine del secolo scorso quando furono privatizzate l’Autostrada del Sole e le altre che appartenevano all’Iri, ma il 2045. Sette anni in più, 47 in totale, quasi mezzo secolo. Di questo passo solo i giovanissimi avranno forse la soddisfazione di assistere all’evento di autostrade date in gestione con una gara, sempre ammesso che allora non ci sia in giro un qualche governo Renzi nuovo modello, benevolo, come l’attuale, con i signori delle autostrade. La manovra di allungamento è in pieno svolgimento e nei piani del governo e dell’amministratore di Aspi, Giovanni Castellucci, dovrebbe consentire ai Benetton di vendere Autostrade per l’Italia (come anticipato dal Fatto) arricchite dalla dote di una prolunga della concessione.
Per Aspi che gestisce 2.800 chilometri di autostrade, metà della rete nazionale, l’allungamento vale potenzialmente una trentina di miliardi di euro, cioè il ricavo annuale ai caselli (nel 2015 circa 4 miliardi e mezzo di euro) moltiplicato per il numero di anni previsti (7). Nel solco che Autostrade per l’Italia sta aprendo si stanno infilando altre due concessionarie: il gruppo Toto che gestisce l’Autostrada dei Parchi (280 chilometri tra Roma e l’Abruzzo) e il gruppo Gavio che controlla alcune autostrade soprattutto nel Nordovest. Insomma, bocciato dall’Unione Europea il tentativo di allungare le concessioni con l’articolo 5 del renziano Sblocca Italia di 2 anni fa, il governo ripropone per altre vie il regalo ai signori delle autostrade. Il ministro dei Trasporti Graziano Delrio ha prima usato come un cavallo di Troia il Sieg (Servizio economico di interesse generale) voluto dai tedeschi per il porto di Amburgo, per allungare di 30 anni le concessioni autostradali in mani pubbliche (la A22 Brennero-Modena e le Autovie Venete). Ora il nuovo slogan è “Fare come i francesi” che stanno trattando per le loro autostrade allungamenti delle concessioni di 7 anni in cambio di investimenti, con la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrete Vestager.
Anche i tre concessionari italiani promettono investimenti, pure se in misura e per motivi diversi. Gavio è alle prese con la Asti-Cuneo, autostrada con volumi di traffico modesti, ma fortemente richiesta dagli industriali piemontesi che Gavio è ben felice di accontentare in cambio di un allungamento della concessione per tutte le sue autostrade dal 2017 al 2024. Toto, invece, si fa forte di una legge, la 288 del 2012 che impone il rifacimento parziale dell’Autostrada dei Parchi (gallerie, raggi di curvatura etc..), ritenuta un’arteria strategica per la protezione civile dopo il terremoto dell’Aquila. Anche Toto in cambio della promessa di 5 miliardi di euro di investimenti rivendica il prolungamento della sua concessione dal 2038 al 2045.
Sarebbero però soprattutto i Benetton a fare il colpo grosso con l’allungamento alla francese. Gli investimenti che Aspi promette sono quelli per la cosiddetta Gronda di Genova, 3,2 miliardi di euro. La Gronda è tra le grandi opere inserite nel Piano economico finanziario di Aspi e in un primo tempo pensavano di finanziarla con una specie di tassa nazionale autostradale, cioè aumenti ai caselli dell’1,875 per cento l’anno per 8 anni in aggiunta agli aumenti annuali «normali» concessi ad Autostrade per l’Italia. Poi devono essersi resi conto che si trattava di un percorso minato e ora salutano come manna dal cielo il provvidenziale ingresso francese nella partita autostradale. Nel frattempo, però, Aspi non costruirà più il Passante di Bologna, grande opera autostradale che avrebbe comportato un investimento di 1,3 miliardi di euro. I lavori riguarderanno solo l’ampliamento della Tangenziale e del tratto urbano della A14 e costeranno molto, ma molto meno del Passante. Nessuno ha pensato però che tra Gronda genovese e Passante bolognese potesse esserci una compensazione. Governo e Benetton preferiscono marciare uniti per la proroga della concessione.

giovedì 28 aprile 2016

ASPETTATIVA DI MORTE

Diversi post si sono succeduti negli ultimi mesi sui tagli alla sanità che stanno influendo negativamente sulla qualità della vita e i dati emersi negli scorsi giorni fanno sì che anche la quantità numerica del vivere,ovvero l'aspettativa di vita,da quest'anno comincia a decurtarsi di pochi mesi.
Il frutto non deve vedersi solo per le ultime sforbiciate del governo Renzi ma è frutto anche di quelle dei precedenti esecutivi e soprattutto da quelli di berlusconiana memoria cioè da quando la privatizzazione è subentrata alla pubblica utilità del servizio socio sanitario nazionale.
Da quel momento la salute è diventata obiettivo del profitto capitalista che lucra su chi sta male,facendo sì che solo chi ha il denaro può permettersi di curarsi,e non mi riferisco solo al modo di poter usufruire di cure migliori ma solo al fatto della minima possibilità di guarire tramite l'assistenza sanitaria pubblica.
Perché il titolo dell'articolo di Contropiano(http://contropiano.org/news/politica-news/2016/04/26/gliassassini-sono-tra-noi-078373 )non è quello di un film di fantascienza o di un thriller anche lo può essere,è solo la pura verità.
Vedi anche:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/12/mortalita-misteriosa.html e links correlati che parano non solo dell'Italia ma di una situazione europea comune a quasi tutti gli Stati.
 
Gli assassini sono tra noi.
 
di Giorgio Cremaschi.
Il presidente del consiglio Renzi è in questo periodo è solito dire: “È finito il tempo in cui….” e poi prosegue con l’obiettivo del momento, siano i diritti del lavoro, la salvaguardia dell’ambiente, il ruolo della magistratura, quello del parlamento e quanto altro.
Ora potrebbe ben affermare: È finito il tempo in cui si continuava a maturare una aspettativa di vita sempre più alta.
Infatti, secondo il meticoloso rapporto 2015 di Osservasalute, quest’anno per la prima volta dal dopoguerra la popolazione italiana subirà un calo nell’ aspettativa di vita. Nel 2014 essa era di 80,3 mesi, l’anno dopo è scesa a 80,1 mesi. Due mesi in meno a persona, che moltiplicati per i sessanta milioni di italiani fanno 120 milioni. 10 milioni di anni rubati a tutta la popolazione del nostro paese. Il più grande furto di vita dalla fine della guerra. La notizia dovrebbe avere i titoli a cinque colonne su tutti giornali, dominare telegiornali e talkshaw, essere al centro di ogni confronto politico ed economico. Ma sappiamo già che non sarà così, perché parlare sul seri di questo dato terrificante costringerebbe a discutere sul serio della sue cause.
Il calo dell’aspettativa di vita è il più semplice e brutale segno del fallimento di un sistema. Se questo sistema ci fa morire prima vuol dire che sta andando contro gli interessi naturali di fondo della specie umana. Una specie che ha raggiunto con la scienza, la tecnica, le conoscenze economiche e sociali, gli strumenti per vivere di più, e che improvvisamente si trova di fronte all’inversione di un percorso di secoli. Secondo gli autori della ricerca negli ultimi 15 anni abbiamo consumato tutti i progressi dei 40 anni precedenti. Guarda caso abbiamo l’Euro e le politiche che lo sostengono proprio da 15 anni.
Purtroppo quanto accaduto in Italia non è un caso isolato, ha un precedente più vasto e terribile. Quando è crollata l’Unione Sovietica e in quel paese si è abbattuto il saccheggio liberista, l’aspettativa di vita è crollata, e ancora oggi, nonostante anni di recupero, non ha ripreso i livelli persi. D’altra parte immagino che un’analoga ricerca in Grecia darebbe gli stessi, anzi peggiori, risultati.
Il furto di vita che stiamo subendo ha una sola semplice causa: le politiche liberiste di taglio dei servizi pubblici, a partire da quello sanitario, e di aumento della disoccupazione. Sono le politiche liberiste la causa criminale della riduzione della vita umana. Sono i patti di stabilità, le politiche di rigore, il pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, sono quelle banalità sui costi dello stato sociale che ogni giorno entrano nelle nostre teste come verità naturali, sono tutte le normali e corrette regole di una oculata gestione economica secondo i dettati Di Maastricht, che uccidono. Uso proprio questa terribile parola perché come si sa l’aspettativa di vita media è una convenzione statistica. Non è infatti che tutti vivremo due mesi in meno. Molti anzi continueranno a usufruire di tutti gli avanzamenti della società moderna e vivranno più a lungo. Ma altri, sempre più poveri, sempre più esposti a disagi a e malattie, impossibilitati a pagarsi cure e soprattutto prevenzione dei mali, altri vedranno la loro vita reale ridursi di ben più di due mesi. Quei 10 milioni di anni di vita rubati non saranno sottratti a tutti, ma solo alla parte più povera della società. Che si ammalerà di più e morirà prima: già oggi l’ISTAT non riesce a far quadrare i conti per alcune decine di migliaia di morti in più, che non sono spiegabili in alcun modo se non con un improvviso drammatico peggioramento delle condizioni di vita.
Non perderemo tutti due mesi di vita, i poveri perderanno anni, i più ricchi niente. Del resto nel Medio Evo la vita media era 40 anni, ma i nobili vivevano quasi come noi oggi è per i servi della gleba 30 anni erano già tanti. Lì stiamo tornando. Questa è la diseguaglianza sociale quando diventa biologia.
Di fronte a questa strage da capitalismo ci sono solo due vie. La prima è quella che la nostra società sta già percorrendo, cioè quella di abituarsi e adattarsi ad essa. È la banalizzazione del male che ci circonda, che produce assuefazione mentre alimenta improvvisi e sempre più frequenti scatti di ferocia.
La seconda strada è cambiare tutto. Buttare a mare tutte, ma proprio tutte, le politiche economiche di questi ultimi trenta anni, dichiarandole contrarie agli interessi vitali della specie umana. Rovesciare le classi dirigenti che le hanno amministrate e che se ne sono servite per il proprio potere e riaffermare l’eguaglianza sociale come primo bene comune. Spazzar via, con la stessa forza con cui si distrusse il culto della magia medioevale, le credenze, i tabù, le ciarlatanerie del pensiero unico liberista. Non bisogna più credere a nulla di ciò che viene presentato come vero dal potere, e cominciare a seguire solo ciò che oggi il potere condanna come irrealistico.
Non bisogna avere paura di chiamare rivoluzione tutto questo, anche perché “riforme” sono quelle che ci hanno rubato la vita. Gli assassini sono tra noi o li fermiamo o continueranno al loro opera.

mercoledì 27 aprile 2016

GRAZIANO PEGGIO DEI LADRI?

Doppio contributo odierno dove cito subito il secondo che riguarda ormai le leggendarie dichiarazioni di Piercamillo Davigo("la classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi")che era rimasto per qualche giorno in stand by per agganciarlo ad un fatto di cronaca che prontamente è accaduto.
Che è l'inchiesta che vede tra gli altri indagati ed arrestati il segretario regionale Pd della Campania Stefano Graziano,che si è autosospeso dall'incarico mentre è ancora consigliere regionale,per fatti gravi come il favoreggiamento nell'assegnazione di appalti ai mafiosi.
Ed in questo caso si parla di vicinanze al clan dei casalesi che hanno portato voti all'ex deputato delle legislature Monti e Letta,con gli inquirenti che hanno perquisito le case di Graziano alla ricerca di prove riguardo la sua colpevolezza o meno di ciò che è stato accusato.
Perché si è rei solo dopo la fine delle indagini e dopo l'eventuale processo,in un periodo storico dove il Pd non ha nulla da invidiare agli arresti e le indagini che caratterizzarono quotidianamente Forza Italia,il Pdl e poi nuovamente Forza Italia e simili.
Sicuri che ormai il Pd è un contenitori di tanti casi di persone che vogliono assicurarsi favori e indulti,alcuni componenti potrebbero a breve seguire l'esempio di chi proprio non ce la fa più a sopravvivere all'interno della nuova Democrazia Cristiana che tanto ha fatto(di male)nella prima Repubblica.
Articoli di Contropiano(http://contropiano.org/news/politica-news/2016/04/27/linchiesta-graziano-mostra-pasta-pd-078392 )e Repubblica(http://www.repubblica.it/ ).

L'inchiesta su Graziano mostra di che pasta è fatto il Pd.

di Eduardo Danzet.
Niente da fare. Per il Pd campano è notte fonda, nonostante il disperato sforzo di Renzi di “tirar su” la candidatura di Valeria Valente. La bufera diventa più violenta, abbattendosi sul segretario regionale del partito, nonché consigliere regionale, Stefano Graziano. È da ieri indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nel pomeriggio di martedì 26 aprile ci sono state le perquisizioni dei carabinieri e della guardia di Finanza nelle due abitazioni del consigliere dem, a Roma e a Teverola (Caserta), oltre che negli uffici del Consiglio Regionale, proprio nel Centro Direzionale di Napoli.
In precedenza, Graziano era stato deputato per una legislatura consulente dei governi Letta e Renzi, carica alla quale aveva poi rinunciato per la candidatura nelle ultime elezioni regionali. Le indagini che lo coinvolgono si collegano al filone di inchiesta che ha portato all’arresto di altre nove persone, per favoreggiamento del clan dei casalesi nell’assegnazione di alcuni appalti.
E’ proprio in occasione della tornata elettorale del maggio 2015 che, secondo gli inquirenti, Graziano avrebbe chiesto e ottenuto l’appoggio elettorale del “sistema” in cambio della sua elezione a consigliere. Secondo le ipotesi degli inquirenti, l’esponente PD sarebbe stato assurto a vero e proprio punto di riferimento politico e amministrativo del clan Zagaria, come emerge nelle intercettazioni tra l’ex-sindaco del comune di Santa Maria Capua Vetere, Biagio Di Muro, e l’imprenditore Alessandro Zagaria.
Quest’ultimo avrebbe ricoperto il ruolo di tramite tra l’omonimo clan e l’amministrazione casertana, con Di Muro e i suoi funzionari, finiti agli arresti per l’inchiesta riguardante l’assegnazione dell’appalto del Palazzo Teti Maffuccini, già confiscato al padre dell’ex-primo cittadino, situato nella città calena.
Graziano si sarebbe attivato (anche se tale circostanza non è illecita, secondo la DDA di Napoli) per favorire il finanziamento dei lavori di consolidamento dello storico immobile.
Il gruppo di imprese indagato, che si sarebbe assicurato il sostegno dei casalesi su un appalto dall’ammontare complessivo di 9 milioni di euro, è costituito dall’Archicons dell’ingegnere Guglielmo La Regina, che si occupava dei lavori, e dalla Lande Srl di Marco Cascella, vincitrice della gara.
Con le dimissioni di Graziano dal PD – ma curiosamente non dalla carica di consigliere regionale – si apre di fatto l’occasione di una ricostruzione della Gomorra interna al democratici campani, nonché del perverso intreccio di interessi che affligge localmente Santa Maria Capua Vetere.
Nicola Di Muro fu citato dal pentito Carmine Schiavone come referente sammaritano nel traffico dei rifiuti coi casalesi, e suo figlio Biagio, come dimostra il triste epilogo della sua amministrazione, non ha mai preso totalmente le distanze da ciò che nella politica locale ha rappresentato suo padre.
Ma al tempo stesso non si può non notare come questo dichiarato “neoliberismo del fare”, che sposta uomini, capitali, merci, sembra fatto su misura delle mafie che, come dimostrano le cronache giudiziarie ed economiche campane, si innervano e si ramificano in una Regione martoriata da un disastro su tutti i fronti: ecologico, sociale, morale, economico e politico.
Ad oggi si vede come lo strapotere della camorra in Campania, soprattutto in Terra di Lavoro, cresca di pari passo col processo, in atto, di smobilitazione industriale: nel recente passato la Siemens, proprio a Santa Maria Capua Vetere, la Texas Instruments di Aversa, oggi a Marcianise la Jabil e la Firema, dove si sta consumando il licenziamento di 160 lavoratori, nonostante le condizioni di lavoro disumane che hanno accettato pur di evitare la disoccupazione.
E’ allarmante come non ci sia almeno sdegno per la nascita di un nuovo paradigma economico fondato sullo smaltimento dei rifiuti, sull’edilizia, sull’urbanistica e sui colletti bianchi; un ordine garantito da manager che occupano ruoli chiave anche nei colossi industriali, e che talvolta hanno anche il coraggio (o forse la spudoratezza) di candidarsi a sindaci delle metropoli con liste che ospitavano personaggi in odore di mafia.

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martedì 26 aprile 2016

I CINQUE SAMURAI

Il vertice tra i cinque Stati tra i più papabili e comunque più decisi-invischiati nella prossima guerra libica,o almeno l'ennesima dopo tutte quelle toccata e fuga dal 2011,ha avuto la scaltrezza di riuscire a mettere d'accordo Germania,Francia,Italia,Regno Unito e Usa sul fatto di dover coalizzarsi per difendere i pozzi petroliferi minacciati dalle milizie Isis.
Su accorato invito del premier libico al Serraj che nel suo oggettivo caso è lì a rischiare la vita visto che il suo governo è stato costretto nelle settimane scorse a riunirsi un po' dove capitava,i cinque leader riuniti ad Hannover in credo nemmeno un'oretta hanno fatto quello che in anni non si è riusciti a fare per i migranti che attraversano la Libia per arrivare sulle coste dell'Europa del sud,spesso in Italia.
L'articolo di Contropiano(http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/04/26/guerra-libia-manca-solo-via-ufficiale-078354 )parla di tutto ciò con Renzi che ha già detto pronti novecento soldati dell'esercito per partire per difendere non il popolo o il governo libico oppure i migranti ma solo per difendere gli interessi economici dei soliti noti che hanno in Libia.

Guerra in Libia.Manca solo il via ufficiale.

di Redazione Contropiano.
Se c’è un percorso prevedibile fin nei dettagli più grossolani è quello dei “governi Quisling”, ossia dei governi imposti ad un paese da una o più potenze occupanti. Il nome è dato dal “premier” che i nazisti trovarono per la Norvegia e fu applicato spesso a “governi” dello stesso taglio.
Ma ora siamo in democrazia, no? E quindi il governo quisling si fa prima di invadere, poi lo si porta nel paese che si vuol prendere, poi gli si fa chiedere “aiuto” a chi lo ha messo lì e infine l’”aiuto fraterno” arriva a cavalo dei B52 o similari, per far nascere la “democrazia” (che presuppone una società di individui liberi) in una società tribale (dove, per capirsi, regna una struttura sociale fatta di tribù, in cui dunque i singoli esistono solo in quanto parte di questa o quella “famiglia allargata”).
In Libia siamo ora alla “richiesta di aiuto” da parte di Fayez al Serraj, il “premier” che inizialmente si era dovuto insediare su un gommone al largo della costa patria, poi blindato dentro una base navale controllata dalle forze occidentali già presenti lì per “supporto” al governo locale – quello di Tripoli – che però non accettava di essere esautorato dal quisling scelto a Londra, Parigi e Washington.
Con straordinario e non casuale tempismo, la domanda di essere invaso è stata inoltrata mentre “i cinque” (Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia) erano riuniti in un vertice ad Hannover. Naturalmente hanno risposto “non c’è problema, stiamo per arrivare”, senza neanche lo sforzo di mostrare sorpresa. Del resto ognuno dei cinque capi di stato o di governo aveva ripetuto per mesi che un intervento in Libia sarebbe stato possibile solo in base alla richiesta di un “governo libico unitario”.
Il dettaglio sgradito è che questo governo – unitario – non c’è. Ma non fa niente. L’ex governo di Tripoli è fuggito a Misurata; a Tobruk, in Cirenaica, ce n’è un altro, sostenuto dall’Egitto e sostanzialmente guidato dal generale Khalifa Haftar. Il quale fra l’altro, sta preparando l’offensiva contro l’Isis nella sua roccaforte, Sirte. C’è inoltre un altro pezzo di paese controllato dall’Isis, mentre in ogni parte del paese ci sono milizie tribali (in senso stretto: tribù armate) che naturalmente difendono il proprio territorio da chiunque altro.
La richiesta di Serraj, peraltro non ancora formalizzata, ma solo annunciata, nomina esplicitamente la “difesa dei pozzi di petrolio”, che sono da sempre l’unico oggetto di interesse occidentale per lo “scatolone di sabbia” invaso una prima volta dall’Italia 105 anni fa (la definizione è di Gaetano Salvemini, oppositore di quell’avventura). Per non apparire troppo servile, la richiesta è stata inviata anche all’Onu e ai paesi confinanti (che o stanno nelle stesse condizioni della Libia oppure sono in competizione con gli interessi dei “cinque”, come fa vedere l’Egitto di Al Sisi). I cinque, nell’esprimere “sostegno unanime” al lavoro di Sarraj, si son detti pronti a “fare di tutto perché abbia successo”. Resta la foglia di fico formale, però, perché per dare una parvenza di legalità all’intervento armato qualsiasi iniziativa di guerra “dovrà essere richiesta” da Tripoli.
Sul terreno la situazione è tutt’altro che tranquilla. Due giorni fa i miliziani dello Stato Islamico hanno lanciato una nuova offensiva contro i pozzi di Brega, nell’est del Paese. E anche tra le truppe dei vari governi non ci si limita solo agli scambi di insulti…
La debolezza di Serraj – o più precisamente la sua estraneità alle dinamiche interne della Libia – si sta palesando in questi giorni come il vero problema per l’Occidente, ovvero come l’elemento che rischia di annullare qualsiasi pretesa di “legalità internazionale” per l’intervento armato.
Intervento che è iniziato da tempo, con truppe speciali inviate a sostegno delle forze “alleate”, ufficialmente come “istruttori”, ma che non ha ancora le dimensioni per essere “risolutivo”.
Ma è più che evidente – anche guardando gli elicotteri Chinook da trasporto truppe che da stamattina solcano i cieli del centro Italia – che i motori della guerra sono stati accesi. Manca solo l’ordine finale.
Oppure, come racconta il contafrottole di Palazzo Chigi, si tratta dei primi movimenti per “risolvere” il problema dei barconi carichi di migranti diretti verso l’Italia. «Il presidente degli Usa Barack Obama – ha detto Renzi, ma non Obama –  si è detto disponibile all’impiego di mezzi Nato per bloccare il traffico di uomini e scafisti» nel Mediterraneo.  Com bombardamenti chirurgici, naturalmente…

lunedì 25 aprile 2016

MUSICISTI PERSEGUITATI DURANTE IL NAZIFASCISMO

Oggi voglio ricordare la Festa della Liberazione dall'occupazione nazifascista con un articolo che parla di musicisti e di compositori che loro malgrado hanno subito in Italia o nella Germania il periodo che è stato tra i più bui e tragici dell'intera storia dell'umanità.
Personaggi come Toscanini,Stravinsky e Schoenberg sono dovuti emigrare per la loro religione o per non essersi piegati alle folli ideologie nazifasciste,altri ancora morirono nei campi di concentramento e di sterminio mentre taluni dopo la fine della guerra non tornarono più indietro.
La maggior parte visse negli Usa dove proseguirono la propria opera e mantennero contatti con altri musicisti per poterli far scappare dall'Europa in guerra,e proprio oggi il ricordo dei martiri della Resistenza voglio onorarli tramite la musica che è una delle più alte espressioni dell'intelletto umano che tanto è stato messo alla prova da quei decenni di ordinaria pazzia.
Articolo preso da:http://www.ecn.org/antifa/article/4991/25-aprile-dallo-schiaffo-di-toscanini-alla-fuga-di-stravinsky-e-weill-la-musica-perseguitata-dal-fascismo .

25 aprile, dallo schiaffo di Toscanini alla fuga di Stravinsky e Weill: la musica perseguitata dal fascismo.

La storia dei più grandi compositori e direttori d'orchestra che dovettero lasciare Italia e Germania: qualcuno era ebreo, altri (come Schoenberg) erano considerati autori di musica "degenerata", altri ancora non si piegarono al diktat fascista

Lo schiaffo ad Arturo Toscanini al teatro comunale di Bologna fu solo l’inizio. Su chi, il 14 maggio 1931, colpì il più grande dei direttori d’orchestra italiani è sempre rimasto il mistero: secondo Montanelli fu Leo Longanesi (che poi definì Toscanini “un uomo schifoso”), secondo altri fu Leandro Arpinati, secondo altri ancora lo squadrista Guglielmo Montani, fedele al Duce fino a Salò. Ma quell’aggressione causata dal rifiuto di Toscanini di eseguire Giovinezza e la Marcia Reale alla presenza del ministro Costanzo Ciano è la storia simbolica del rapporto tra i più geniali musicisti e compositori del primo Novecento e il totalitarismo dei regimi, fascista e nazista. Stravinsky, Schoenberg, Hindemith, Kurt Weill sono solo alcuni di quella lunghissima schiera di musicisti che trovarono riparo negli Stati Uniti. Chi perché ebreo, chi perché autore di musica considerata “degenerata”, chi perché rifiutò di sottostare al diktat fascista. In tanti, spinti o costretti, abbandonarono l’Europa. Qualcuno tornò, altri non la rividero più.

Kurt Weill.
Fra i primissimi a lasciare la Germania, nel 1933, fu Kurt Weill, il compositore dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht e autore della Morität von Mackie Messer, diventato un successo mondiale ed eterno – con le voci di Bobby Darin e Frank Sinatra – quando fu tradotto in inglese come Mack the knife. Figlio di un cantore di sinagoga e di convinzioni comuniste, Weill era infatti autore di musiche intrise di stilemi jazzistici, dunque considerate estranee alla “purezza” della cultura musicale tedesca. Così, dopo il divieto di esecuzione delle sue opere, dopo un breve passaggio a Parigi e Londra, troverà dimora negli Usa fino al 1955, anno nel quale, perseguitato dal maccartismo, per ironia della sorte cercherà e troverà rifugio nella Repubblica Democratica Tedesca.

Arnold Schoenberg.
Al massimo grado della “degenerazione musicale” – come la definiva il Terzo Reich – si collocava la dodecafonia di Arnold Schoenberg, compositore la cui musica era già stata oggetto di attacchi da parte del direttore della prestigiosa Nuova Rivista Musicale, Alfred Heuss, e a cui nel 1933 venne revocata la cattedra dell’Accademia Statale di Musica di Berlino. Schoenberg morirà nel 1951 negli Stati Uniti d’America dopo aver composto, qualche anno prima, Un sopravvissuto di Varsavia, opera considerata dai critici il più grande monumento che la musica abbia mai dedicato all’Olocausto.

“Degenerata”, nonostante le proteste del direttorissimo Wilhelm Furtwängler, venne considerata anche la musica di Paul Hindemith, costretto anche lui a riparare negli Usa nel 1940 dove insegnò musica alla Yale University e ad Harvard influenzando le generazioni più giovani di compositori americani. Analoga sorte a quelle di Hindemith, Schoenberg e Weill ebbero musicisti, tra i tanti altri, come Ernst Krenek, Hanns Eisler ed Erich Korngold, laddove a diversi altri toccò un destino ben più nero. Basti pensare a Viktor Ulmann, il compositore austriaco ebreo che, dopo aver tentato di ottenere, senza successo, un visto di espatrio per la famiglia e dopo aver mandato i due figli maggiori a Londra, venne prima trasferito a Theresienstadt, un lager di raccolta e transito, per finire poi ad Auschwitz, dove trovò la morte nell’ottobre del 1944. Come Ulmann anche Erwin Schuloff, compositore e pianista cecoslovacco di origine ebraica, dopo aver tentato invano di rifugiarsi in Unione Sovietica, trovò la morte per mano nazista.

Igor Stravinsky.
Cervelli in fuga furono altri giganti della composizione come Igor Stravinsky, compositore che già era dovuto fuggire dopo la Rivoluzione russa ripiegando in Svizzera e che nel 1939 lascerà definitivamente l’Europa, anche lui con un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti dove vivrà fino alla morte, nel 1971. Identica sorte di Stravinsky ebbe l’ungherese Bèla Bartòk, che dopo essersi fortemente opposto al regime nazista e dopo aver passato più di qualche guaio con la destra ungherese, si convinse anche lui ad andarsene negli Usa: qui la sua musica non riscosse un gran successo e Bartòk visse in condizioni alquanto precarie fino alla morte, sopraggiunta nel 1945.

Ma vi fu anche chi non ebbe modo di fuggire, ma la cui morte non fu indirettamente causata dai nazisti. Ci riferiamo ad uno degli allievi di Schoenberg, Alban Berg: fu vietata l’esecuzione delle sue musiche e questo lo portò pian piano a non avere più nulla con cui sostenersi e dunque a morire di stenti dopo un tracollo economico. Molti altri furono invece i musicisti, i compositori e gli intellettuali che si misero a disposizione del regime, come Richard Strauss o il musicologo Alfred Rosenberg, quest’ultimo autore del Dizionario degli ebrei in musica: comparire in questo volume significava molte cose, dall’interdizione dell’esecuzione delle proprie opere fino alla morte.

In Italia fu tragica la vicenda di Giuseppe Gallignani, il direttore del conservatorio di Milano che nel 1923, a causa del suo scarso entusiasmo nel regime, in seguito a una lunga scia di calunnie e diffamazioni, fu improvvisamente messo a riposo e quindi licenziato. Lui decise di togliersi la vita. Fu Arturo Toscanini, oppositore del fascismo, a difendere l’onore del musicista milanese suicida, abbattendo furiosamente una corona funebre inviata dall’allora ministro della pubblica istruzione, Giovanni Gentile, e impedendo l’ipocrita lettura di un’orazione funebre da parte di un docente responsabile delle calunnie.

Anche Toscanini, come tutti gli altri musicisti e compositori ricordati, trascorrerà tutto il periodo fascista in America, a New York, città dalla quale, con la sua famiglia, si impegnerà non poco a far ottenere i visti e i permessi di soggiorno per tanti altri colleghi in fuga dal massacro totalitarista. L’aggressione subita a Bologna lo aveva portato a rinunciare a dirigere orchestra fin quando il fascismo fosse rimasto al potere. Nel 1936 diresse gratis a Tel Aviv il concerto inaugurale della Palestine Symphony Orchestra (che ora si chiama Orchestra filarmonica d’Israele), destinata ad accogliere i musicisti ebrei in fuga. Albert Einstein ne rimase colpito e gli scrisse una lettera: “Il fatto che esista un simile uomo nel mio tempo compensa molte delle delusioni che si è continuamente costretti a subire”. Toscanini non si fermò, facendo imbestialire fino all’ultimo il Duce: quando anche l’Italia fascista promulgò le leggi razziali, nel 1938, la definì “roba da Medioevo“.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/23/25-aprile-dallo-schiaffo-di-toscanini-alla-fuga-di-stravinsky-e-weill-la-musica-perseguitata-dal-fascismo/2659060/

domenica 24 aprile 2016

LA SOLIDARIETA' RECIPROCA TRA PD E CAGA POVND A FIRENZE

A Firenze c'è stata molta polemica per un'inaugurazione di un giardino avvenuta nel quartiere di San Jacopino alla presenza del presidente del quartiere di zona,l'assessore all'ambiente ed il leader di Ca$$a Povnd fiorentino Saverio Di Giulio.
Una disputa sia interna al Pd fiorentino col sindaco Nardella su tutte le furie ma con anche tutti i rappresentanti della sinistra vera e antagonista che hanno ormai fatto l'abitudine con i continui favori tra i "democratici" ed i fascisti.
Mentre il primo articolo preso dal Corriere nella sezione dedicata al capoluogo toscano parla delle diatribe di cui sopra(http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/politica/16_aprile_17/firenze-pd-inaugura-giardino-insieme-leader-casapound-nardella-furioso-resa-conti-dem-ea65e7d2-04a4-11e6-bb83-c9d162c89906.shtml )quello successivo di Contropiano(http://contropiano.org/news/politica-news/2016/04/24/istituzioni-pd-fascisti-qualcosa-giornali-non-pubblicheranno-mai-078271 )approfondisce di più il legame Pd-Caga Povnd con relativi esempi di solidarietà reciproca.
Non dimentichiamoci che nel dicembre 2011 Firenze fu teatro del più tragico fatto di sangue legato all'estremismo del gruppo di estrema destra quando Gianluca Casseri fece una strage ammazzando due senegalesi al mercato d San Lorenzo e ferendone diversi altri(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/12/caa-pound-fogna-da-chiudere-il-prima.html ).

Firenze, il Pd inaugura un giardino(insieme al leader di Casapound):Nardella furioso, resa dei conti dem.

Una foto su Facebook con gli amministratori di Palazzo Vecchio e il leader di estrema destra fa scoppiare il caso, a pochi giorni dalla Liberazione

di Claudio Bozza

FIRENZE - Il Pd inaugura un giardino, ma lo fa tagliando il nastro assieme a Saverio Di Giulio, leader fiorentino degli estremisti di destra di Casapound. E il sindaco Nardella va su tutte le furie, mentre tra i democratici scatta la resa dei conti. Sabato mattina, per l’apertura dell’area verde di via Felice Fontana, nel quartiere di San Jacopino, sono arrivati il presidente del Quartiere 1 Sguanci, l’assessore all’ambiente Bettini ed il presidente dell’omonima commissione, Ricci. Tutto assieme ad un gruppo di residenti, per una piccola grande festa. Nel gruppo del centrosinistra anche Di Giulio, noto per le sue posizioni non proprio tolleranti verso immigrati ed altro.  
Sorrisi, fotografie e cordialità. Fino a quando la foto di gruppo non finisce su Facebook. Apriti cielo. Perché, pur in tempi di larghe intese, appena qualche esponente dem ha notato la presenza dell’estremista di destra è scoppiato un putiferio. «Vergogna. Sono profondamente indignato», tuona Michele Pierguidi, presidente del Quartiere 2, dirimpettaio di Sguanci. I telefoni del Pd diventano subito bollenti e scatta la resa dei conti interna. Poco dopo la foto delle “larghissime intese” viene pure rimossa da Facebook, ma la frittata è fatta e specie a pochi giorni dall’anniversario della Liberazione diventa impossibile rimediare. Anche con il sindaco Nardella sceso in campo a rimettere ordine.

«Apprendo con stupore la polemica interna al Partito Democratico per una foto che mi ritrae assieme ad alcuni cittadini, al Presidente del Quartiere 1 Sguanci e all’Assessore Bettini durante l’inaugurazione del giardino di via Felice Fontana - dichiara Saverio Di Giulio, Responsabile di CasaPound Firenze -La mia presenza in rappresentanza di CasaPound in quel contesto era non solo normale, ma addirittura dovuta, considerato che CasaPound è una realtà operante nel quartiere da diversi mesi e che personalmente mi ero occupato di quel giardino solo poche settimane fa, quando molti residenti mi avevano segnalato la necessità della realizzazione di un’area cani nel quartiere, ipotizzando a questo scopo proprio quello spazio. Ho quindi presenziato all’inaugurazione innanzitutto per verificare la qualità della riqualificazione di un giardino che sorge a pochi metri dalla nostra sede» continua Di Giulio «ma anche per interrogare i rappresentanti delle istituzioni presenti sulla disponibilità a realizzare, a questo punto in altro luogo, uno spazio esclusivo per gli animali».
 
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Istituzioni, Pd, fascisti e qualcosa che i giornali non pubblicheranno mai!



questi giorni sui media locali ha tenuto banco la polemica interna al Pd fiorentino dopo la foto che immortala alcuni suoi esponenti con il capetto di Casapound Firenze. Chiaramente la notizia è stata trattata con la solita superficialità. Ci sembra il caso di contestualizzarla con alcuni esempi per ricondurre il fatto su un piano più generale.
A Firenze Pd e Casapound si sono espressi solidarietà più volte: il Pd lo ha fatto per condannare le azioni antifasciste contro la libreria il Bargello a Coverciano, Casapound all’indomani dell’approvazione del Jobs Act quando sindacati di base, collettivi e centri sociali organizzarono una manifestazione davanti alla sede del Pd a Novoli. Già nel dicembre del 2011, dopo la strage di piazza Dalmazia avevamo sottolineato questo tipo di convergenza. Renzi, allora sindaco di Firenze, stemperò subito gli animi parlando del “gesto isolato di un folle” e Casapound, sempre per bocca del suo capetto, disse che non poteva esser fatto il test di igiene mentale a tutti coloro che erano simpatizzanti del suo movimento. In ogni caso, anche se per motivi diversi, Pd e Casapound tennero posizioni identiche individuando nella possibile risposta degli antifascisti il solo ed unico problema
da cui guardarsi.
Altro fatto, altro gruppo neofascista: il Progetto Dinamo, legato al circuito Hammerskin, nazisti in odor di malavita ospitati a Firenze in un locale di proprietà dei Gesuiti, organizza un serie di incontri sulla storia toscana con il professor Giacomo Cipriani dell’Università di Firenze e in virtù dei rapporti con Jacopo Alberti, candidato come governatore dalla Lega nord alle ultime regionali, ha ottenuto il patrocinio della Regione Toscana.
Sempre la Regione Toscana, durante l’ultimo consiglio, ha approvato una mozione di Fratelli d’Italia con il voto favorevole di Pd, Lega e Toscana a Sinistra per organizzare gite scolastiche in occasione del Giorno del Ricordo alla foiba di Basovizza, eretta a monumento nazionale nonostante in quella foiba non sia mai stato trovato nemmeno un corpo e questo la dice lunga sull’ “operazione foibe”.
A Firenze a tirare le fila del revisionismo è proprio Casaggí con Fratelli d’Italia e Giani, nel ruolo di presidente del consiglio comunale, è arrivato addirittura a partecipare alle manifestazioni del 10 febbraio organizzate dagli stessi soggetti che il 25 aprile saranno a Trespiano in “onore ai caduti della Repubblica sociale”.
Quella sulle foibe fa parte di un’operazione ben più ampia di riscrittura della storia inaugurata dal vecchio Pds e Alleanza Nazionale per creare un clima di riconciliazione e pacificazione nazionale. Non scordiamo quando Violante, dai banchi del parlamento, intervenne per dire che “in fondo ci saremmo dovuti sforzare di comprendere le ragioni dei ragazzi di Salò perché i morti sono tutti uguali”.
La pacificazione e la riconciliazione non sono elementi che ci appartengono: sono utili solo alla classe dominante per sdoganare ancora una volta chi nella storia ha difeso il capitale nei suoi momenti di crisi più forte e per attaccare i valori e la pratica della Resistenza Antifascista: lotta di classe, solidarietà e internazionalismo, oggi più attuali che mai.
Sempre in questi giorni, stavolta a Bruxelles, il parlamento europeo ha votato un finanziamento di ben 600 mila euro alla “coalizione paneuropea”, un’accozzaglia di partiti e partitini neofascisti, il cui capofila è Roberto Fiore, ex Nar, fondatore di Forza Nuova.
Mettendo insieme questi pochi elementi – ci saremmo potuti dilungare molto di più – crediamo che il vero problema sia il rapporto tra fascisti e istituzioni, il crescente livello di complicità e complementarità specialmente in una fase in cui la propaganda istituzionale e quella neofascista ormai si sovrappongono e parlano la stessa lingua in materia di guerra, repressione, sicurezza e immigrazione.
Alla luce di tutto questo la foto scattata ai giardini di via Felice Fontana sbiadisce, anzi quasi la potremmo considerare “normale” o “naturale”, figlia del clima in cui sono cresciuti e sono stati selezionati dirigenti e quadri del Pd. Il problema è tutto di chi crede ancora che il Pd sia un partito antifascista. E’ ora di aprire gli occhi su questa realtà e attrezzarsi di conseguenza, come fanno quotidianamente coloro che come noi lottano non rassegnandosi a ingiustizie, guerre, sopraffazioni e sfruttamento…
Iniziamo dal 25 Aprile! Alle 17.00 tutti al corteo antifascista in Piazza Santo Spirito, contro fascismo, guerra e repressione!

sabato 23 aprile 2016

I PROFITTI SULL'ACQUA

Come anticipato nel post di metà marzo(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2016/03/sovvertire-un-plebiscito-referendario.html )dove si paventavano gli intenti del governo Renzi con il ministro Madia responsabile naturalmente sotto suggerimenti e forse non solo di aver stravolto l'esito referendario del 2011 dove più di ventisei milioni italiani votarono per avere l'acqua bene comune,la votazione è passata alla camera.
Un'espressione di voto che grazie a emendamenti ha praticamente disatteso un voto popolare che aveva dichiarato illegittimo quello che alla fine è passato in settimana,ovvero l'obbligo di gestione dei servizi a rete,incluso quello dell'acqua,tramite società per azioni reinserendo in tariffa l'adeguatezza della remunerazione del capitale investito(i profitti)proprio come era stato abrogato dal voto referendario.
Tutti i governi prima di quello Renzi,per dirla in breve quelli non eletti dagli italiani,non erano riusciti a sovvertire questo risultato plebiscitario,vuoi per motivi di tempo e per aver avuto altre priorità,e questo,assieme ad altre nefandezze,ci sta riuscendo alla faccia del volere dei cittadini.
Articolo preso da Senza Soste(http://www.senzasoste.it/ambiente/acqua-il-re-e-nudo ).

Acqua:il re è nudo.

Non sono passati più di tre giorni dalla rivendicazione da parte di Renzi dell’astensionismo nel referendum sulle trivellazioni (“referendum inutile”, come certamente hanno capito gli abitanti di Genova), che il governo e il Pd compiono l’ulteriore atto di disprezzo della volontà popolare.
Il tema questa volta è l’acqua e la legge d’iniziativa popolare, presentata dai movimenti nove anni fa, dopo aver raccolto oltre 400.000 firme. Una legge dimenticata nei cassetti delle commissioni parlamentari fino alla sua decadenza e ripresentata, aggiornata, in questa legislatura dall’intergruppo parlamentare in accordo con il Forum italiano dei movimenti per l’acqua.
La legge è stata approvata ieri alla Camera, fra le contestazioni dei movimenti e dei deputati di M5S e SI, dopo che il suo testo è stato letteralmente stravolto dagli emendamenti del Partito Democratico e del governo, al punto che gli stessi parlamentari che lo avevano proposto hanno ritirato da tempo le loro firme in calce alla legge.
Nel frattempo, procede a passo spedito l’iter del decreto Madia (Testo unico sui servizi pubblici locali) che prevede l’obbligo di gestione dei servizi a rete (acqua compresa) tramite società per azioni e reintroduce in tariffa l’”adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, ovvero i profitti, nell’esatta dicitura abrogata dal voto referendario.
Un attacco concentrico, con il quale il governo Renzi prova a chiudere un cerchio: quello aperto dalla straordinaria vittoria referendaria sull'acqua del giugno 2011 (oltre 26 milioni di “demagoghi” secondo la narrazione renziana), sulla quale i diversi governi succedutisi non avevano potuto andare oltre all'ostacolarne l'esito, all'incentivarne la non applicazione, ad impedirne l'attuazione.
Il rilancio della privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici risponde a precisi interessi delle grandi lobby finanziarie che non vedono l'ora di potersi sedere alla tavola imbandita di business regolati da tariffe, flussi di cassa elevati, prevedibili e stabili nel tempo, titoli tendenzialmente poco volatili e molto generosi in termini di dividendi: un banchetto perfetto, che Partito Democratico, Governo Renzi e Ministro Madia hanno deciso di apparecchiare per loro.
Ma poiché la spoliazione delle comunità locali attraverso la mercificazione dell’acqua e dei beni comuni, necessita una drastica sottrazione di democrazia, ecco che lo stravolgimento della legge d’iniziativa popolare sull’acqua e lo schiaffo al vittorioso referendum del 2011 non rappresentano semplici effetti collaterali di quanto sta accadendo, bensì ne costituiscono il cuore e l'anima.
A tutto questo occorre rispondere con una vera e propria sollevazione dal basso, con iniziative di contrasto in tutti i territori e l’inondazione di firme in calce alla petizione popolare per il ritiro del decreto Madia, promossa dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua all’interno della stagione appena aperta dei referendum sociali.
Oggi più che mai, si scrive acqua e si legge democrazia.
Marco Bersani (Forum italiano dei movimenti per l’acqua)

venerdì 22 aprile 2016

BUONANNO FECCIA DELLA SOCIETA'


Gianluca Buonanno più che un politico è un buffone da palcoscenico televisivo e sappiamo bene quanto questo paghi nello show odierno dei palinsesti televisivi,un altro arraffone di sedie e di stipendi nato missino ed ora degno rappresentante della Lega Nord.
Già pizzicato nel blog(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/10/pistole-e-pistola.html )per aver tirato fuori una pistola in una diretta tv e per essere stato ritratto in Libia a fianco di una scritta che diceva(in arabo)"non scaricare qui l'immondizia", ora è stato condannato per un'altra sua apparizione televisiva dove dichiarava senza mezzi termini che i rom erano la feccia della società.
Il primo articolo preso da ecn.org(http://www.ecn.org/antifa/article/4987/defin236-i-romfeccia-della-societ2248221-condannato-buonanno )parla proprio di questo ricorso vinto da due associazioni che hanno vinto la loro causa e che verranno risarciti dal sindaco di Borgosesia ed europarlamentare giudicato colpevole di diffamazione discriminatoria visto che l'immunità parlamentare non difende da questo tipo d'accusa.
Il secondo contributo è preso da Internazionale(http://www.internazionale.it/notizie/2015/05/29/rom-rubano-bambini-stereotipi )e parla degli stereotipi e leggende che infangano il nome della minoranza rom che è l'etnia più vessata in Europa mentre in Italia assieme a quella dei sinti è quella più a rischio di intolleranza.

Definì i rom “feccia della società”. Condannato Buonanno.

Il tribunale di Milano ha accolto il ricorso di due associazioni contro l’europarlamentare e sindaco di Borgosesia.

L’europarlamentare della Lega Nord e sindaco di Borgosesia Gianluca Buonanno è stato condannato dal giudice civile del tribunale di Milano, che ha accolto un ricorso presentato dalle associazione Asgi e Naga, per la sua frase «i rom sono la feccia della società», pronunciata durante la trasmissione televisiva «Piazza Pulita» del 23 marzo 2015 e ritenuta discriminatoria dai magistrati.

L’esponente leghista è stato condannato a un risarcimento di 12 mila euro da corrispondere alle due associazioni ricorrenti. E dovrà pubblicare a sue spese su un quotidiano nazionale il dispositivo dell’ordinanza di condanna.

Il giudice Anna Cattaneo, nella sentenza, sottolinea come Buonanno riguardo le sue dichiarazioni non potesse avvalersi dell’immunità derivante dalle sue funzioni di europarlamentare, che va esclusa in quanto vale solo in caso di «espressioni di opinioni politiche, seppur manifestate con toni aspri e duramente critici», ma non quando le parole hanno come «unica finalità la denigrazione e l’offesa».

http://www.lastampa.it/2016/04/19/edizioni/vercelli/defin-i-rom-feccia-della-societ-condannato-buonanno-PkOZfTVBwrg0ZEVBlCzxWL/pagina.html


RAZZISMO: CONDANNATO EUROPARLAMENTARE BUONANNO PER FRASE CONTRO I ROM

Accolto il ricorso presentato da Asgi e Naga a seguito delle dichiarazioni rilasciate durante la trasmissione "Piazza Pulita" a 2 marzo 2015 dell'europarlamentare della Lega Nord Gianluca Buonanno.

Il giudice ha riconosciuto che associare il termine "feccia" all'etnia Rom "non solo è grandemente offensivo e lesivo della dignità dei destinatari, ma assume altresì un'indubbia valenza discriminatoria". Oltre al pagamento delle spese legali, Buonanno è stato condannato alla pubblicazione dell' ordinanza "in caratteri doppi del normale ed in formato idoneo a garantirne adeguata pubblicità", sul quotidiano "Il Corriere della Sera" entro 30 giorni dalla notifica della stessa.

Inoltre il Tribunale, ritenendo l'ordine di pubblicazione del provvedimento "sanzione non sufficiente e adeguatamente dissuasiva," ha condannato l'europarlamentare ad un risarcimento di 6 mila euro a favore di ciascuna delle due associazioni ricorrenti, difese dagli avvocati Alberto Guariso, Mara Marzolla e Livio Neri.

Non è stato riconosciuto il diritto all'immunità di cui godono i Parlamentari europei che opera nell'esercizio delle funzioni parlamentari : il giudice ha ritenuto che, nel caso in specie, le parole utilizzate non fossero "espressione di opinioni politiche, seppur manifestate con toni aspri e duramente critici", ma, al contrario, avessero "come unica finalità la denigrazione e l'offesa".
Riconosciuto, invece, il diritto al risarcimento del danno a favore delle due associazioni a causa "dell'elevato contenuto discriminatorio delle affermazioni pronunciate da Buonanno, della loro portata diffamatoria e denigratoria, della reiterazione per ben quattro volte della frase offensiva, della assoluta convinzione con la quale sono state pronunciate tanto da non indurre alle scuse malgrado la espressa possibilità offerta dal conduttore, del fatto che le offese sono state pronunciate nel corso di una trasmissione televisiva in onda su di una importante emittente televisiva, con un buon indice di ascolto (4-5% di share ) in prima serata e quindi con ampia diffusione mediatica ed infine del ruolo politico e pubblico del Buonanno e della sua notorietà" .

"Siamo soddisfatti" affermano le due associazioni "L'espressione utilizzata era palesemente lesiva della dignità degli appartenenti all'etnia rom e costituiva discriminazione, perché atta a creare un clima ostile, intimidatorio e di disaggregazione . Rimaniamo molto preoccupati per la continua diffusione di discorsi d'odio, ma la nostra azione dimostra che possiamo e dobbiamo continuare a lottare contro queste violazioni."

 Redazione

 http://www.nelpaese.it/index.php/26-articolo-nazionale/3552-razzismo-condannato-europarlamentare-buonanno-per-frase-contro-i-rom

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I rom rubano i bambini e gli altri stereotipi sulla minoranza più discriminata d’Europa.
29 maggio 2015
            
Secondo il Pew research center

L’Italia è il paese europeo dove l’intolleranza verso i rom e i sinti è più diffusa. L’istituto di ricerca statunitense ha esaminato l’ostilità nei confronti dei rom in sette paesi d’Europa nel 2014, e in Italia l’85 per cento degli intervistati ha espresso sentimenti negativi verso questa popolazione. Nel 2014 l’Osservatorio 21 luglio ha registrato 443 episodi di violenza verbale contro i rom, di cui 204 ritenuti di particolare gravità, e l’87 per cento di questi episodi è riconducibile a esponenti politici.  
Gli stereotipi negativi su questo popolo sono molto diffusi, influenzano la percezione collettiva, le politiche pubbliche e hanno contribuito a fare dei rom un capro espiatorio in molte situazioni. Tuttavia alcune ricerche suggeriscono che la maggior parte della popolazione italiana conosce molto poco i rom. Uno studio di Paola Arrigoni e Tommaso Vitale per l’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione ha mostrato che il 42 per cento degli italiani non conosce la cultura rom.
I rom rubano i bambini. La storia che i rom rubano i bambini è molto antica e di tanto in tanto riaffiora nelle cronache dei quotidiani.
Nell’ottobre del 2014 in Irlanda, a Dublino e ad Althon, una bambina rom di sette anni e uno di due furono sottratti ai genitori perché avevano i capelli biondi e gli occhi azzurri e le autorità pensarono che erano stati rubati. Ma gli esami del dna confermarono che i due bambini erano figli delle famiglie a cui erano stati sottratti. Il ministro della giustizia irlandese aprì un’inchiesta sull’accaduto, ma l’episodio scatenò un’isteria collettiva, commenti razzisti e una serie di false denunce di bambini rubati dai rom.
Episodi come questi sono ciclici in Italia e in Europa. La ricercatrice Sabrina Tosi Cambini nel libro La zingara rapitrice ha analizzato gli archivi dell’Ansa dal 1986 al 2007 e ha preso in considerazione le decine di notizie in cui si denunciavano presunti rapimenti e scomparse di bambini a opera dei rom. Lo studio ha analizzato trenta casi di presunti rapimenti e ha verificato che nessuno di questi casi si è dimostrato vero dopo le indagini della polizia e della magistratura. Ma spesso i mezzi d’informazione, che hanno dato la notizia del rapimento, hanno invece ignorato gli esiti delle inchieste. Quello che si sa poco, invece, è che molti bambini rom vengono sottratti alle loro famiglie dai tribunali dei minori a causa delle condizioni materiali di indigenza delle loro famiglie.
Il rapporto dell’Associazione 21 luglio, Mia madre era rom, ha mostrato che un bambino rom ha il 60 per cento di possibilità in più di altri bambini che sia aperta nei suoi confronti una procedura di adottabilità.
I rom non vogliono abitare nelle case, sono nomadi. Solo il 3 per cento della popolazione rom in Italia è nomade, mentre la maggior parte è stanziale (dati della commissione diritti umani del senato). In Italia, quattro rom su cinque vivono in normali abitazioni, lavorano e conducono una vita perfettamente integrata. Si tratta di almeno 130mila persone. Tutti gli altri (un quinto del totale, circa 40mila persone) vivono nei campi, in una situazione di emergenza abitativa. Si tratta dello 0,06 per cento della popolazione italiana.
L’Italia è l’unico paese in Europa dove esistono i campi, creati dalle autorità per risolvere l’emergenza abitativa dei cittadini rom. L’idea che i rom amano vivere nei campi perché sono nomadi per cultura è priva di fondamento. Più del 90 per cento di quelli che vivono in Italia è stanziale.
In Abruzzo per esempio le famiglie rom vivono in normali appartamenti e conservano la cultura, la lingua e le tradizioni rom. La parola nomadi inizia a essere usata per parlare delle popolazioni rom e sinti alla fine dell’ottocento. Nando Sigona del Centro studi sui rifugiati dell’università di Oxford ha spiegato a Redattore sociale che “l’utilizzo del termine nomadi serve per giustificare la costruzione dei cosiddetti campi nomadi”, dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Secondo Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, “la parola nomade è molto pericolosa” perché giustifica la segregazione delle persone rom in campi speciali isolati dalla città. Nel suo rapporto annuale l’Associazione 21 luglio afferma: “Nel 2014 la costruzione e la gestione dei campi rom continua a essere un’eccezione italiana nel quadro europeo. Tali politiche hanno comportato voci di spesa elevatissime senza far registrare alcun miglioramento nelle condizioni di vita di rom e sinti, ma ne hanno sistematicamente violato i diritti umani. A Roma nel 2013 sono stati spesi più di 22 milioni di euro per mantenere in piedi il sistema dei campi e dei centri di accoglienza per soli rom”.
Sono troppi, devono tornare a casa loro. L’Italia è uno dei paesi europei dove abitano meno rom e sinti, al contrario di quanto percepito dalla popolazione.
In Italia abitano 180mila rom, lo 0,25 per cento della popolazione totale, una delle percentuali più basse d’Europa. La Romania è il paese europeo con la maggiore presenza di rom (circa due milioni), seguita dalla Spagna dove i rom sono circa 800mila. Nonostante il numero dei rom in Italia sia basso, nel 2008 il governo italiano ha dichiarato lo “stato di emergenza nomadi” nel Lazio, in Campania e in Lombardia. Ad aprile 2013 la corte di cassazione ha dichiarato illegittimo il piano di emergenza, perché non ha rilevato nessuna relazione tra la presenza dei rom e i presunti pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica denunciati dal governo.
I rom e i sinti sono presenti in Italia da più di sei secoli. Infatti il 50 per cento dei rom che abitano nel paese è di nazionalità italiana. Le regioni dove la presenza rom è più significativa sono il Lazio, la Campania, la Lombardia e la Calabria. In Emilia Romagna più del 90 per cento dei rom è italiano. I rom di più recente insediamento provengono dai Balcani, sono profughi della guerra nella ex Jugoslavia, molti di loro sono apolidi di fatto, non hanno i documenti, perché il loro paese d’origine non esiste più.

giovedì 21 aprile 2016

PALADINO DELLA DIFESA DELLE DONNE AMMAZZA LA MOGLIE

femminicidio roma
Il retroscena dell'omicidio avvenuto ieri a Corcolle nella periferia romana fa davvero pensare in quanto l'uxoricida colpevole della morte della moglie ammazzata come un cane in un bar dopo essere stata inseguita aveva avuto i suoi due minuti di gloria televisiva nell'ottobre del 2014 durante la trasmissione di La7 Piazza Pulita.
Intervistato dopo la falsa notizia di un'aggressione ad una donna autista dell'Atac da presunti immigrati,aveva fatto sfoggio di una stupidità da coatto oltre che mostrare i propri tatuaggi legati al simbolismo nel nazifascismo.
Altra e nuova icona oltre che della scemenza e della schiavitù di un'ignoranza da alta classifica,questo personaggio,tale Augusto Nuccetelli,si ergeva da paladino della giustizia a tutti i costi contro gli immigrati che toccavano le "loro" donne e più volte ha dichiarato di non essere razzista(!?)si è dimostrato come tutti i fascisti,irrispettoso verso la donna arrivando addirittura ad uccidere la moglie che l'aveva cacciato di casa per i suoi tradimenti.
Senza scordarci che sempre ieri una giovane madre è stata presa a martellate dal convivente che poi si è suicidato mentre lei è in gravissime condizioni.
Articolo preso da Senza Soste(http://www.senzasoste.it/genere/roma-un-femminicidio-da-fascista-non-per-caso ).

Roma. Un femminicidio da fascista, non per caso.

tratto da Contropiano

Una donna uccisa in un bar, a Corcolle, Roma, periferia così lontana dalla capitale che quasi non sembra Roma. Assunta Finizio, 50 anni, aveva cacciato di casa l’uomo, Augusto Nuccetelli, mercoledì scorso, dopo aver scoperto un tradimento.
Come racconta l’agenzia Ansa, matrice di ogni articolo che uscirà su questo “episodio di cronaca nera”, si tratterebbe “soltanto” di un uxoricidio come tanti, fruto di una mente malata che non accettava una separazione dopo una convivenza.Non voleva rassegnarsi alla fine della relazione. Non aveva alcuna intenzione di interrompere quel rapporto come invece voleva lei, così l’ha seguita nel bar e l’ha freddata con quattro colpi di pistola, davanti agli occhi increduli di clienti e passanti, ancora sotto shock. E’ quanto successo questa sera alla periferia est di Roma, in via di Lunghezza, all’interno di un bar tabacchi che si è poi affollato d agenti della Squadra Mobile e della Scientifica al lavoro per ricostruire con esattezza quanto avvenuto. Secondo le prime informazioni, l’uomo, un 51enne italiano con piccoli precedenti, avrebbe seguito la convivente, coetanea ed italiana anche lei, all’interno del bar. Lì avrebbe estratto la pistola esplodendo quattro colpi raggiungendo la compagna alla mano, all’addome e al petto.
L’omicida, stando alle testimonianze di chi si trovava sul posto, avrebbe poi tentato la fuga sbarazzandosi dell’arma in una stradina limitrofa. Passanti e clienti, però, hanno allertato immediatamente la polizia che è intervenuta fermando l’uomo e portandolo in questura dove avrebbe ammesso le proprie responsabilità. Secondo quanto si apprende, la coppia abitava in zona. La donna era una cliente abituale del bar. Stando alle testimonianze di chi li conosceva, i due erano spesso protagonisti di litigi. I clienti del bar ed i passanti che in quel momento si trovavano in zona sono ancora sotto shock, terrorizzati da quell’uomo e da quella pistola estratta davanti a tutti. Il suono dei colpi esplosi risuona ancora nelle loro orecchie, mentre il cadavere della donna giace a terra in un lago di sangue, ennesima vittima della furia di un assassino.
Quel che le agenzie non riportano, invece, ve lo raccontiamo noi, dalla viva voce degli abitanti del posto:
In questo video, esattamente al minuto 8:30, trovate l’assassino che parla di convivenza, integrazione, rispetto e giustizia, intervistato da Piazza Pulita, in un reportage di Salvatore Gulisano da Corcolle. L’occasione era stata fornita da una montatura organizzata: una aggressione – mai verficatasi – ai danni di una autista dell’Atac, donna, da parte di presunti “immigrati”. I fascisti si erano subito lanciati sulla vicenda e scatenando tentati pogrom, che avevano quindi spinto alcune troupe televisive a cercare di documentare “la sensazione di invasione causata dall’emergenza immigrati che si trasforma in odio e reazioni violente…”
C’è anche un’interessante descrizione dei molti tatuaggi fascisti, esibito con orgoglio e strafottenza.
Una piccola notazione politica aggiuntiva: il futuro assassino, grazie alle sue evidenti doti intellettuali, era stato poi candidato in circoscrizione col Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo.
Buona visione.

mercoledì 20 aprile 2016

ARRESTI IN NAVARRA

Immagine incorporata 1
Fortunatamente la redazione di Contropiano è vicina e solerte nell'informazione riguardo a quello che accade in Euskal Herria,e quando si parla di questa terra il parallelismo con la repressione viene spontaneo ed infatti l'articolo odierno non può che parlare di una nuova ondata di soppressione della politica propria dell'izquierda abertzale,la sinistra che affonda politicamente nella storia basca da decenni e che nulla ha che vedere con sinistre di altre nazioni europee compresa la nostra.
Si fa il punto su una serie di arresti avvenuti a Pamplona e in altre località dei paesi baschi e che ha fatto notizia in tutta la Spagna,ma in Italia fanno più clamore il ginocchio di Marchisio o le litigate di Totti...quindi avvocati,artisti e politici sono stati presi di mira ed in particolar modo la famiglia di Txelui Moreno,portavoce di Sortu in Navarra visto che sono stati arrestati pure la moglie ed il figlio appena liberato e ritornato in manette per aver denunciato le torture durante la sua detenzione.
E proprio il murale disegnato sui muri di Burlata(vedi sopra)è stato il pretesto per l'accusa di diffamazione nei confronti delle forze di sicurezza dello Stato di loro e di altre quattro persone,mentre avvocati erano stati già arrestati(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/01/avvocati-baschi-in-arresto.html )lo scorso anno e due burattinai hanno avuto la medesima sorte solo per via di un gioco di parole in un loro spettacolo.
Massima solidarietà a tutti gli arrestati e agli indagati e soprattutto a Txelui Moreno che ho avuto modo di conoscere e che reputo una gran brava persona,l'articolo è preso da qui:http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/04/20/torturati-avvocati-artisti-vizietto-madrid-la-repressione-078121 e che è stato segnalato dai compagni di Euskal Herriaren Lagunak.

Torturati,avvocati,artisti.Il vizietto di Madrid per la repressione.
Le cronache dei distratti e provinciali quotidiani italiani non se ne occupano, ma nella Spagna che probabilmente dovrà tornare presto al voto visto che il Parlamento eletto a dicembre non è riuscito a trovare la quadra per formare un nuovo governo, la repressione colpisce duramente e indiscriminatamente. Sembra non siano necessarie neanche delle scuse, delle giustificazioni, per riempire le carceri e i tribunali di dissidenti politici, di avvocati, di artisti. La lotta armata dell’Eta e dei Grapo – che per decenni ha legittimato arresti, torture, illegalizzazione di partiti e organizzazioni popolari, chiusure di giornali e radio, censura – non c’è più ormai da qualche anno, ma non sembra faccia una gran differenza. Basta dare un’occhiata veloce ai quotidiani iberici degli ultimissimi giorni per imbattersi in diversi casi.
Ieri all’alba, ad esempio, una retata compiuta da diversi corpi di Polizia ha portato all’arresto di sette attivisti della sinistra basca in Navarra, con l’accusa di “diffamazione nei confronti delle forze di sicurezza dello Stato” (!). Tra i sette c’erano il portavoce di Sortu (sinistra indipendentista basca) in Navarra Txelui Moreno, sua moglie Julia Ibáñez e il figlio Ibai. Perché un tale spiegamento di forze e ben sette arresti? Perché i sette sono accusati di aver dipinto su un muro di Burlata, località a pochi chilometri da Pamplona, un murale in cui la parola ‘tortura’ si affianca al termine ‘laguntza’ (aiuto, solidarietà in euskera) scritto al contrario, cioè ‘atzunagal’; una iniziativa del tutto simbolica che rientra nella campagna che alcune realtà politiche e sociali stanno conducendo per denunciare la tortura alla quale cinque giovani navarri, tra i quali Ibai Moreno, furono sottoposti nel 2011 al momento del loro arresto per motivi politici.
I cinque furono arrestati per ordine dell’Audiencia Nacional, il tribunale speciale antiterrorismo di Madrid (ereditato di sana pianta dal regime franchista) che li ha accusati e processati in quanto membri della rete ‘Ekin’, considerata dagli apparati repressivi dello Stato Spagnolo “l’apparato internazionale dell’ETA”. In ossequio al nuovo corso della sinistra basca – contestato dagli ambienti più radicali del movimento indipendentista e di classe – i cinque ragazzi, dopo aver scontato 18 mesi di carcere preventivo, sono stati recentemente rimessi in libertà dopo aver accettato di dichiararsi colpevoli di ‘appartenenza a una organizzazione terrorista” e aver siglato un accordo con l’accusa. Ma la vendetta dello Stato, da queste parti, è per sempre… e ieri mattina Ibai Moreno è finito nuovamente in manette con l’unica colpa di aver denunciato il trattamento brutale e inumano al quale è stato sottoposto dalla polizia cinque anni fa. Anche il sindaco di Burlata, accusato di aver sostenuto la realizzazione del murale contro la tortura sulla facciata di un edificio di proprietà del comune, è stato interrogato dalle forze dell’ordine.
Ma quello di Pamplona non è che uno dei tanti episodi di repressione degli ultimi giorni.
Sempre all’inizio di questa settimana ad essere oggetto delle attenzioni della repressione di Madrid sono anche un consistente gruppo di avvocati baschi, arrestati nel corso di una retata realizzata dalla Guardia Civil il 14 aprile del 2010, ordinata anche in quel caso, come nel precedente, dal giudice dell’Audiencia Nacional Fernando Grande Marlaska. Secondo l’accusa, che ha chiesto nei confronti dei legali baschi tra i 6 e i 19 anni di carcere per ‘appartenenza a organizzazione terroristica’ e ‘detenzione di armi ed esplosivi’, gli avvocati non solo difendevano i membri dell’organizzazione armata, ma ne erano loro stessi parte integrante. Non è un caso che quando l’Unione Europea o qualche governo continentale critica il trattamento che il regime turco infligge ai propri dissidenti, giornalisti o attivisti politici Ankara risponda invitando Bruxelles a guardare a quanto accade in casa propria…
Sempre all’inizio di questa settimana alcune organizzazioni attive nella difesa dei diritti civili a Madrid e nel Paese Basco – Asociación Pro Derechos Humanos de España (APDHE), Amnesty International, Asociación Libre de Abogadas y Abogados (ALA), IRÍDIA-Centro por la Defensa de los Derechos Humanos, Rights International Spain (RIS), Behatokia,  Asociación de Abogados Europeos Demócratas (AED) e Fair Trials – hanno inviato al Gruppo di Lavoro sulla detenzione Arbitraria delle Nazioni Unite un invita ad aprire un’inchiesta urgente sul caso dei due burattinai arrestati e incarcerati lo scorso 6 febbraio a Madrid con l’accusa di “apologia di terrorismo e incitamento all’odio” mentre rappresentavano con i propri pupazzi la opera satirica “La bruja y Don Cristobal”. I due sono stati sbattuti in cella per ordine del giudice dell’Audiencia Nacional Ismael Moreno e addirittura nei loro confronti la Direzione Generale delle Istituzioni Penitenziarie spagnola ha ordinato l’applicazione del regime di massima sicurezza (Ficheros de Internos de Especial Seguimiento – FIES). Un arresto e una incarcerazione – durata per ben sei giorni prima che fossero rimessi in libertà in attesa del processo – ingiusti e arbitrari, denunciano le organizzazioni per i diritti umani.
Di fatto Raúl García e Alfonso Lázaro sono stati sbattuti in galera e sulle prime pagine dei giornali iberici perché all’interno del loro spettacolo di burattini ad un certo punto compariva un cartello che recitava: “Gora Alka-Eta” esposto da uno dei personaggi per accusare un altro protagonista di essere un terrorista. Un gioco di parole – che in italiano suona come “Viva Alka-Eta” – che richiama sia l’ETA basca sia al Qaeda ma che i magistrati del tribunale speciale di Madrid non hanno preso affatto bene, anche perché in altri momenti della rappresentazione si invitavano il pubblico – per la maggior parte bambini e adolescenti – ad occupare le case vuote e a ribellarsi all’autorità.
Se i due burattinai fossero iraniani, o russi, o venezuelani i loro volti sarebbero comparsi immediatamente sulle prime pagine dei nostri quotidiani, di loro sapremmo vita, morte e miracoli, i nostri talk show inviterebbero le mogli o le figlie a parlare delle loro sventure. Ma sono soltanto spagnoli, e quindi la stragrande maggioranza di voi lettori non ne ha neanche mai sentito parlare.