mercoledì 13 luglio 2016

BLAIR BLIAR

La notizia non è di primo pelo in quanto sono anni che  risaputo che la guerra in Iraq o seconda guerra del golfo voluta principalmente da Bush figlio e da Tony Blair sia stata scatenata secondo accuse e motivazioni fasulle,e che ha provocato migliaia di morti su tutti i fronti e costi per i soli Stati Uniti di centinaia di miliardi di Dollari.
Tra nefandezze compiute da entrambe le parti,abusi,torture,la cattura e l'esecuzione di Saddam Hussein non si è mai trovata una minima traccia di armi di distruzioni di massa che era il motivo ufficiale per il quale si era fatta quella guerra.
Ma stando in Uk i rapporti dell'inchiesta ufficiale sull'attacco britannico all'Iraq svela quello che già si sapeva ed è stato detto qui sopra e sotto nei due articoli presi da Senza Soste(bliar-e-gli-altri e commissione-accusa-blair )avvalorando le tesi dei detrattori di quel conflitto voluto fortemente dal primo ministro di allora.
Oltre a Blair(ora stipendiato dalla Jp Morgan)e Bush sono da condannare tutti gli altri governi complici di questo ennesimo massacro durato anni e che ha visto colpevoli governi di tutti i generi:i due articoli si addentrano ulteriormente in una vicenda che passerà alla storia come uno degli ennesimi conflitti nati dalle bugie.


Nei giorni scorsi è stato presentato alla Camera dei deputati inglese e reso pubblico il “Report of the Iraq inquiry”, più noto come Chilcot report, frutto dei lavori della commissione d'inchiesta sulla decisione di attaccare militarmente l'Iraq nel 2003 da parte del governo di Tony Blair.
Indubbiamente la pubblicazione e i contenuti di questo rapporto sono molto interessanti e importanti e rappresentano - in un certo qual modo - una conferma delle denunce e proteste del movimento contro la guerra di allora. Solo in parte, però, e poi vedremo perché.
E' estremamente importante che una commissione ufficiale di un paese in prima fila in quell'aggressione militare sveli le bugie dell'allora Primo ministro britannico (soprannominato per questo "Bliar", cioè B/bugiardo...), bugie necessarie per vendere all'opinione pubblica quella guerra, così come gli “errori” di strategia e comportamento militare da parte delle forze armate britanniche, che hanno provocato conseguenze mortali ancora visibili in Iraq e in tutta la regione.
Qualcosa però in questo stesso rapporto, e nel modo in cui è stato ripreso da parte della stampa in tutto il mondo, lascia perplessi. Dicevamo che il Report restituisce, con 13 anni di ritardo, le ragioni di chi si era opposto a quella guerra crudele e che già allora sapeva bene che non esisteva alcuna “smoking gun". Ma soprattutto che quella ricerca di “prove” era essa stessa una bugia, una cortina fumogena che serviva a distrarre e non permettere di ragionare sulle vere intenzioni dietro quella stessa guerra.
Diciamocelo, in fondo Bush e Blair con le loro “bugie” hanno convinto solamente chi voleva essere convinto; le loro risibili prove, sono state prese sul serio da chi voleva farlo, sia da parte di esponenti politici che del sistema dell'informazione. Davvero qualcuno è stato “ingannato”? Davvero qualcuno aveva creduto in “buona fede” (come Blair sostiene abbia fatto egli stesso) che Saddam Hussein rappresentasse un pericolo planetario e che la guerra fosse motivata da questo?
E' evidente che chi oggi cade dal pero e si accorge di essere stato “ingannato” o è in totale malafede oppure non è mai stato in grado di fare il proprio mestiere (giornalistico o politico) in forma critica e onesta. E comunque propendiamo per la prima ipotesi.
Il limite del rapporto (da un sua prima lettura) è quella di prendere sul serio le giustificazioni di Blair (e Bush jr) dichiarandole in parte come false e in parte non confermate.
Si legga per esempio il punto 796 del rapporto: “ Dal 2009 è stato dimostrato che alcuni elementi degli obiettivi britannici del 2003 per l'Iraq sono stati mal valutati (corsivo mio). Nessuna evidenza è stata portata sul possesso di armi di distruzione di massa da parte dell'Iraq, che avrebbero potuto minacciare i suoi vicini e la comunità internazionale nel suo complesso. Ma tra il 2003 e il 2009 gli avvenimenti in Iraq hanno minato la stabilità regionale, avendo persino permesso ad Al Qaeda spazio libero in cui operare e frontiere insicure attraverso le quali i suoi membri potessero spostarsi.”
Mal valutati? L'errore di valutazione da parte di Bush Jr e Blair è stato quello rispetto alla capacità militare di stabilizzare in forma diversa l'Iraq e la regione intera attraverso un intervento militare che è sostanzialmente fallito per diverse ragioni. Ma certamente non è stata mal valutata la presenza di armi di distruzione di massa che sapevano benissimo non esistere.
Ancora, al punto 798 del rapporto si legge: “La commissione non è stata in grado di identificare approcci alternativi che avrebbero potuto garantire un maggiore successo nel marzo 2003. Vogliamo dire che non sono state identificate opportunità per una seria riconsiderazione della politica messa in campo che avrebbero potuto meglio allineare obiettivi e risorse. Non ci sono serie evidenze di possibili opzioni più radicali o di un ritiro rapido o al contrario di un sostanziale incremento dell'impegno. La commissione ha identificato una serie di momenti, specialmente durante il primo anno, nei quali sarebbe stato possibile quel riesame, ma in nessuno di essi è stato fatto”.
In sostanza, si dice, non è chiaro se si fosse potuto operare in maniera differente. Ma che significa?
La questione che si dovrebbe porre è invece chiaramente un'altra: la guerra contro l'Iraq, come quella del 1991 e il conseguente embargo che ha provocato la morte di centinaia di migliaia di iracheni (con la complicità di tutti i governi occidentali – compresi quelli italiani guidati da Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema.....), non aveva nulla a che fare con le presunte armi di distruzione di massa.
Quelle erano semplicemente giustificazioni pubbliche per vendere la guerra - che aveva motivazioni politiche, strategiche, economiche assolutamente chiare, evidenti e ampiamente rese note non solo nelle denunce dei movimenti contro la guerra, ma anche da moltissimi media che scelsero di non essere embedded.
Il Report rischia – forse suo malgrado - di avere un effetto di distrazione di massa, nascondendo ancora una volta le motivazioni di quella guerra, come se queste fossero quelle dichiarate e solamente mal gestite.
E in fondo Blair non mente oggi quando dichiara di aver agito in “buona fede” e che “lo rifarebbe ancora”: lui e i suoi sodali erano perfettamente in buona fede a fare una guerra per garantire i propri interessi nazionali (e personali, vista la carriera profumatamente retribuita come “esperto di medioriente” da allora intrapresa da Blair). E lo rifarebbero ancora – perché le conseguenze nefaste non sono mai,state un problema per loro.
Come rispose Madeline Albright, allora Ambasciatore Usa all'Onu prima di diventare Segretario di Stato, alla Cbs che le chiese “Abbiamo sentito che mezzo milione di bambini sono morti in conseguenza all'embargo. Ne valeva la pena, era necessario?” “Penso che questa sia una scelta molto dura, ma la posta in gioco... we think the price is worth it”. Pensiamo che per quella posta ne sia valsa la pena.
Questi non sono bugiardi senza gloria. Sono criminali, e chi li ha appoggiati, chi ha loro creduto senza porsi domande evidenti, sono loro complici – anche quelli che oggi fingono di cadere dal pero.
10 luglio 2016

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Commissione accusa Blair: invadere l’Iraq fu una scelta avventata.

Il Regno Unito invase in maniera precipitosa l’Iraq nel 2003 senza aver vagliato attentamente “tutte le alternative pacifiche”, sulla base di informazioni di intelligence “scorrette” che non furono verificate e senza una preparazione adeguata in vista del dopo-guerra: è quanto ha dichiarato Sir John Chilcot, consigliere della Regina e presidente della commissione d’inchiesta britannica sul conflitto iracheno voluta nel 2009 dall’allora premier Gordon Brown, presentando un rapporto frutto di un lavoro durato sette anni.
Il rapporto traccia soprattutto un severo bilancio dell’azione del Primo ministro Tony Blair, ribadendo prese di posizione già emerse negli scorsi anni da parte di tecnici e analisti britannici: secondo il rapporto Chilcot, l’ex capo del governo britannico ed ex leader laburista si impegnò ad affiancare militarmente il presidente statunitense George Bush “ad ogni costo” senza soppesarne la politica.
“Abbiamo concluso che il Regno Unito decise di partecipare all’invasione dell’Iraq prima di vagliare tutte le alternative pacifiche per ottenere il disarmo del Paese”, ha detto Chilcot, sostenendo che “l’azione militare all’epoca non era inevitabile”.
Secondo il rapporto l’allora capo del governo di Londra presentò all’opinione pubblica prove sul fatto che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa «con una certezza che non era giustificata». «Nel marzo 2003 non c’era una minaccia imminente di Saddam Hussein» contro l’Occidente e quindi, secondo il rapporto, si poteva usare una «strategia di contenimento» sebbene non si potesse escludere la necessità di un conflitto «ad un certo punto».
Chilcot ha criticato il fatto che Londra si sia basata su delle informazioni di intelligence “scorrette” che non furono verificate adeguatamente, tralasciando l’ipotesi, assai probabile, che quelle informazioni furono fabbricate proprio per fornire a Blair e a Bush la giustificazione per una delle tante guerre di aggressione capitanate da Gran Bretagna e Stati Uniti. A detta del coordinatore della Commissione Blair avrebbe contribuito a minare l’autorità delle Nazioni Unite, sottolineando che il Consiglio di sicurezza dell’Onu sostenne all’epoca di proseguire le ispezioni e la sorveglianza ma non fu ascoltato dai due capi di stato.
Chilcot ha poi criticato la mancanza di preparazione del governo britannico: “Nonostante gli avvertimenti, le conseguenze dell’invasione sono state sottovalutate. La pianificazione e i preparativi per un Iraq del dopo Saddam furono completamente inadeguati”, ha aggiunto Chilcot riferendosi tra le altre cose al fatto che nell’invasione morirono 179 soldati britannici.
“Il governo ha fallito nel non tenere nel debito conto le dimensioni del necessario compito di stabilizzare, amministrare e costruire l’Iraq e le responsabilità che avrebbero pesato sul Regno Unito”, ha proseguito il presidente della commissione, che anche in questo caso si è limitato ad una critica di natura ‘tecnica’, non arrivando ad affermare che era proprio la destabilizzazione del Medio Oriente ciò che Usa e Gb cercavano di imporre attraverso l’invasione dell’Iraq e il suo spezzettamento in tre entità. Gli sforzi profusi da Londra “non sono mai stati all’altezza della sfida” presentata, ha aggiunto.
Pur rimanendo all’interno del recinto ideologico secondo il quale le potenze occidentali vanno comunque considerate i legittimi gendarmi del mondo, Chilcot ha preso di mira la gestione della missione bellica, affermando che le risorse militari impegnate in Iraq sono state deboli e inadatte. “Abbiamo constatato che il ministero della Difesa si mostrò lento nel rispondere alla minaccia rappresentata dai congegni esplosivi improvvisati e che i ritardi registrati per fornire mezzi blindati adeguati non avrebbero dovuto essere tollerati”, ha detto.
Più dura la critica a Blair per quanto riguarda le terribili conseguenze della destabilizzazione dell’Iraq dopo la fine ufficiale della guerra: «Era stato messo in guardia che un’azione militare avrebbe aumentato la minaccia di Al Qaeda al Regno Unito e agli interessi britannici – ha detto Chilcot – Era stato avvertito che un’invasione avrebbe potuto far finire le armi e le capacità militari irachene nelle mani dei terroristi». «Sono morti più di 200 cittadini britannici come conseguenza di quel conflitto, e molti di più sono rimasti feriti – ha sottolineato Chilcot – l’invasione e la conseguente instabilità hanno causato, dal 2009, la morte di oltre 150mila iracheni, probabilmente molti di più, la gran parte civili. Più di un milione hanno dovuto lasciare le loro case. E tutto il popolo iracheno ha sofferto enormemente».
Dopo la pubblicazione del rapporto, comunque, questa mattina un gruppo di manifestanti ha accolto a colpi di slogan Tony Blair davanti alla sua abitazione di Londra. “Blair ha mentito, migliaia di persone sono morte”, “Tony Blair, criminale di guerra”, hanno gridato alcuni dei manifestanti che non hanno dimenticato il reale ruolo di Tony Blair. La richiesta unanime nei cori e nei cartelli esposti è stata quella di «incriminare» l’ex premier laburista per crimini di guerra commessi entrando in un conflitto che non aveva basi legali. Su cartelli e striscioni la scritta «Bliar», un gioco di parole col cognome dell’ex premier fuso col termine inglese «liar», ovvero bugiardo. Altre centinaia di persone hanno manifestato sempre contro Blair e la guerra davanti al centro conferenze in cui sono stati rivelati i risultati della Commissione di inchiesta, durata sette anni.
L’ineffabile e arrogante Tony Blair, da parte sua, ha diffuso un comunicato nel tentativo di difendere la sua sempre più debole posizione, anche rispetto al precedente rapporto che già lo aveva messo in cattiva luce. Nel documento l’ex premier insiste di aver preso la decisione di invadere l’Iraq “in buona fede” e “per quelli che ritenevo fossero i migliori interessi del Paese” e promette di “assumersi la piena responsabilità di eventuali errori”. “Ritengo di aver preso la giusta decisione e il mondo è migliore e più sicuro”, ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa l’ex primo ministro britannico che ha affermato di non essersi pentito per aver rovesciato Saddam Hussein nel 2003 e di non aver affatto ingannato il parlamento. “Indipendentemente dall’esistenza o meno delle armi (di distruzione di massa, ndr), è stato comunque meglio rimuovere Saddam Hussein perché il mondo è un posto migliore senza di lui. Inoltre, nel 2010 l’Iraq era relativamente stabile, l’Is è nato dalle rivolte iniziate in Siria” ha detto l’ex primo ministro mentendo spudoratamente.
Pochi giorni fa Tony Blair, impegnato in una strenua battaglia per rimuovere dalla leadership del Partito Laburista il suo rivale Jeremy Corbyn, aveva sollecitato il coinvolgimento di un “serio statista” per negoziare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. In un articolo sul Telegraph, l’ex premier britannico ha ribadito che “un ministro per la Brexit” euroscettico sarebbe la scelta sbagliata per portare avanti negoziati con l’Ue. E naturalmente, seppur in maniera implicita, Blair ha proposto sé stesso nella veste del ‘serio statista’.
7 luglio 2016

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