sabato 7 gennaio 2017

IL MOVIMENTO SBANDA A DESTRA

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C'è un problema di fondo nella politica del movimento cinque stelle,ultimamente passato all'esame e mai riuscito a cavarselo con una sufficienza,anzi,con delle gravi lacune in un programma politico sempre più conforme alla destra piuttosto che ad un gruppo di persone che alla prima ora si dichiarava di nessuna ideologia classica.
Nel primo contributo preso da Senza Soste(http://www.senzasoste.it )vi è un editoriale che accusa proprio Grillo in prima persona in quanto vate del movimento e padrone assoluto cui tutti devono prostrarsi,con attenzione all'attacco diretto ai giornalisti ed all'informazione,certamente una bella strigliata la si deve dare visto che siamo al settantasettesimo posto al mondo per libertà d'informazione(madn censura-o-non-censura )
Nel secondo di Contropiano(bufale-malainformazione-cane-si-morde-la-coda )si ribadiscono linee già espresse in un precedente post(madn i-grillini-sono-diventati.garantisti )con un fuggi fuggi di esternazioni e di politiche di tagli e di espulsioni che riguardano sia gli adepti che altre categorie con i migranti per primi.

Codice etico, economia e immigrazione: tutti i problemi del settarismo di Grillo.

Grillo: dall’espulsione degli iscritti a quella degli immigrati.

Sul codice etico recentemente approvato dal Movimento 5 Stelle è stata prodotta una muraglia di commenti che poco ha a che vedere con due temi centrali. Il primo riguarda la politica istituzionale che, ancora come 25 anni fa, si definisce rispetto all’elettorato per il modo con il quale si comporta quando appare un’inchiesta sulla stampa o in tv. Siccome in un quarto di secolo l’asse della politica è cambiato, e di parecchio, non sarebbe male se emergesse l’interrogativo su cosa oggi è veramente centrale. Lo stesso Grillo subisce questa situazione. Nel messaggio di fine anno cita uno studio su cosa potrebbe essere l’Italia nel 2050, qualche giorno dopo riprende la routine di sempre: le manette, gli avvisi di garanzia, gli onesti etc. Delle due l’una: o si colgono gli scenari di enorme novità, citati dallo stesso Grillo, cominciando a cambiare l’agenda della politica italiana giorno dopo giorno, oppure nel 2042, non lontano dal 2050, la centralità della politica sarà quella di oggi, la stessa del 1992: i mariuoli, le manette, l’occhiuta severità del magistrato, la moralità dei partiti, i costi della politica, i codici etici. Auguri, viene da dire.
Il problema è che il Movimento 5 Stelle è espressione di uno choc mai risolto, proveniente da diverse pulsioni, nell’ideologia italiana. Quello choc convulsamente reattivo alle ristrutturazioni degli anni ’80, e alla caduta del muro, che immaginava il ritorno ad una mai esistita società equilibrata tramite un’ondata di moralizzazione, pauperismo della politica, tecnicismi e riforme istituzionali. Se si vanno a vedere i dibattiti dell’epoca, il nucleo ideologico del Movimento 5 Stelle è quell’ideologia italiana, il cui nocciolo duro dell’ideologia milanese della Casaleggio sul né di destra né di sinistra affonda negli anni ’80, lo ritroviamo attorno alle polemiche su come si devono comportare i partiti in caso di avviso di garanzia. In un paese, quello di oggi, che ha perso tutto (ricchezza, tecnologie, sapere, assetto sistemico) i toni del dibattito sulla moralità accendono i più settari, e alla Casaleggio lo sanno, ma non spostano di un millimetro i problemi che l’Italia ha davanti. Nemmeno quelli di funzionamento della politica: quella si risana con il dosato, e innovativo, riequilibrio della distribuzione dal potere e delle risorse verso il basso, qualcosa di più complicato di votare online, non con i codici puntualmente reinterpretati dalle cerchie di potere. Tra l’altro la politica al servizio della democrazia ha bisogno di investimenti, tanti, per poter costruire qualcosa di utile. Non è un caso infatti, che il culmine dell’interesse privato in politica, Donald Trump, abbia rinunciato allo stipendio. L’interesse pubblico richiede investimenti pubblici in politica. Che gli stipendi dei parlamentari vadano diminuiti è chiaro, ed è merito del M5S aver puntato l’indice sul problema, che l’investimento pubblico in politica debba esser potenziato non è chiaro per nulla.
Il M5S è fermo all’ideologia anni ’80 dell’unico investimento produttivo come quello nelle piccole medie imprese. Anche qui, auguri: una politica povera, oppure a costo zero, o è ostaggio dei Trump oppure non ha sviluppato quel livello di competenze complesse, che è diverso dal mondo delle professioni, in grado di sostenere l’innovazione economica e le emergenze sociali.
L’altro punto importante del codice etico di Grillo riguarda la questione del potere decisionale del fondatore del movimento.  E, si badi bene, la cosa non riguarda solo il Movimento 5 Stelle. E nemmeno più di tanto il paragone tra il codice etico pentastellato e quello degli altri partiti (molto meno restrittivo, ad esempio un De Luca non potrebbe essere governatore della Campania o Errani non potrebbe fare il commissario all’emergenza terremoto). Il punto è che il modo con il quale si governa un partito, un movimento, prefigura quello con il quale si governerà un paese. E se il codice etico è quello che si è letto sul blog di Grillo vediamo un movimento governato, per statuto, dall’arbitrio di una volontà superiore. Una volontà che non è regolata da nessuna norma statutaria ed è quindi, anche formalmente, indiscutibile. Insomma, il riconoscimento del potere carismatico, di Grillo, per meriti di spettacolo e di storica audience televisiva.
Dare del fascista a Grillo però significherebbe non conoscere né il suo movimento né la società italiana. Il M5S assorbe tendenze, e linguaggi, molto differenti: è qualcosa che è composto dall’idea di democrazia radicale online che i pentastellati esprimono e dall’arbitrio della volontà del fondatore, dalla presenza egemone di una azienda mediale (la Casaleggio) e dai cicli di mobilitazione dal basso in rete. Certo, in ultima istanza il potere è regolato dal principio del capo ma tra questo e quanto avviene dal basso in un movimento, come sempre, i conflitti non mancano o si riaccendono all’improvviso.
Altro elemento, oltre a questo intreccio tra potere personale e movimento dal basso, che caratterizza il Movimento 5 Stelle è l’approccio settario alla politica. Rappresenta il rovescio del “né di destra né di sinistra”, inclusivo dal punto di vista dei contenuti. Il Movimento 5 Stelle, come è noto, rifiuta infatti alleanze, in un tipico approccio settario rispetto ad altri partiti, movimenti e sindacati. Verso i quali il rapporto non può che essere episodico o strumentale ma mai di piena, pubblica interlocuzione politica. Non stupisca: il settarismo è universalistico. Assorbe i contenuti di tutti, parlando per tutti, e reputandosi l’unica voce in grado di farlo (“nella società italiana noi siamo i migliori”, ha detto lo stesso Grillo nel discorso di capodanno).
Altro elemento tipico di settarismo è la dinamica, a volte forsennata, delle espulsioni: ogni elemento, a torto o a ragione, di differenziazione dall’ordine interno finisce fuori dal movimento. Senza essere moralisti ma clinici, tra principio del potere personale in ultima istanza e settarismo può tutto questo servire a governare questo paese? No. Il Movimento 5 Stelle si sta confermando quello che appariva qualche anno fa: ottimo per distruggere uno scenario istituzionale asfissiante, inutile per governare. Fino a quando, naturalmente, non ci sarà in piedi la speranza di avere un marchingegno elettorale che permetta, ad una forza che al massimo può toccare un terzo dell’elettorato, di vincere un bonus elettorale che regala la maggioranza assoluta. Dopo, per questo settarismo un po’ frutto dell’identitarismo un po’ dell’ingegneria elettorale, i problemi ci saranno, eccome.
Il principio dell’espulsione, come abbiamo visto, ampiamente praticato per iscritti e parlamentati non risparmia poi gli immigrati. Almeno a parole visto che nemmeno la Lega con Maroni ministro degli Interni è riuscita a praticare le parole d’ordine dell’“espulsione immediata dei clandestini” chiesta da Grillo. E non per lassismo: viene da dire che l’unica soluzione praticabile, se si volessero prendere alla lettera le parole di Grillo, sarebbe quella di spedire delle navi in disarmo al largo delle acque internazionali con i cosiddetti clandestini. Naturalmente una cosa del genere non è certo delle corde del Movimento 5 Stelle. Il che fa vedere come, quando Grillo parla, l’unica cosa che conta è l’affermazione che sposta il consenso dell’elettorato. Il resto si vedrà. Intanto parlando di come si potrebbero espellere gli iscritti, e come i clandestini, si preserva un’idea di gruppo autentico, di società liberata dagli intrusi che, come politica di brand, paga.
Intanto, dopo aver registrato l’impraticabilità dell’economia alla Di Battista, registriamo che Grillo non riesce neanche a parlare di una economia in grado di sfruttare positivamente, e socialmente, i flussi migratori. Non solo, rispetto alle retoriche della Lega di diversi anni fa (il peloso “aiutiamoli a casa loro”) Grillo rappresenta una regressione. Non crede nella politica internazionale, non appare interessato nemmeno alla cooperazione come foglia di fico. Vuole solo espulsioni rapide. Magari, come ha scritto sul blog, assumendo migliaia di laureati per certificare prima possibile chi ha diritto di rimanere (in una galera, visto l’approccio) e chi no. Il fatto che i laureati siano, in questo scenario, assunti per operazioni di schedatura, invece che per l’innovazione economica e sociale, qualifica da solo l’approccio al problema.
Al momento il Movimento 5 Stelle esprime un principio settario che non ha gran senso nella società italiana. La nostra è una società differenziata che funziona per alleanze e va in asfissia se qualcuno, a vario titolo, invoca il primato nell’esercizio del potere. O meglio, il settarismo può andar bene ad una parte della società italiana senza farsi carico di un progetto reale di trasformazione, consumandosi nell’immediato della veste identitaria.
Se le cose continuano così, il Movimento 5 Stelle potrà quindi ancora fluttuare come titolo ad alto rischio della politica italiana, gonfiandosi quando tutti scommettono contro i partiti al governo, trovandosi però a sgonfiare di fronte ai problemi veri.  Ottimo quindi per far saltare il banco, inutile per fare qualcosa di nuovo. Un rischio che appare del tutto concreto. Tra una regolazione del principio di espulsione interna ed una proposta di espulsione per “gli esterni”.

redazione, 7 gennaio 2017

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Bufale e malainformazione. Il cane si morde la coda.

Tutti i media mainstream, con l'immancabile Repubblica a guidarne le fila, si sono scagliati contro le ultime dichiarazioni-boutade di Grillo su una "giuria popolare" per controllare la veridicità delle notizie pubblicate – appunto – dai media.
Questo attacco durissimo è l'esempio perfetto dello stato di salute dell'informazione italiana, schiacciata tra spirito di corpo e funzione propagandistica del potere esistente.
Infatti, tralasciando per un momento la “qualità” della dichiarazione di Grillo, non si può certo estrapolarla dal contesto in cui è stata fatta, cioè una critica (e per questo presumibilmente più una provocazione che un'intenzione seria, anche se delle intenzioni del comico non si può mai essere sicuri) all'idea di Pitruzzella di una legge europea “anti-bufale”, che prevederebbe una sorta di “Ministero della Verità”, di un'agenzia che monitori il web e censuri le notizie non idonee.
La notizia si è così magicamente trasformata: non è più Grillo che reagisce (alla sua maniera, cioè totalmente confusionaria) a quello che potrebbe essere un attacco alla libertà di informazione, essendo evidentemente più che ambigua un'agenzia con il potere di decidere cosa è bufala e cosa no, ma sarebbe Grillo stesso a proporre una sorta di censura dell'informazione.
Questo episodio mostra chiaramente quale sia il cortocircuito informativo, e propone molte riflessioni su diversi punti caldi.
Primo punto, nessun giornale si è preoccupato del fatto che una task-force anti-bufala possa avere degli effetti deleteri per la libertà di informazione. Secondo punto, quando una persona fa notare con una provocazione questo problema, diventa lui il pericolo della libertà di informazione.
Perché questo? Una semplice reazione di difesa del corpo giornalistico, che si vede da una parte rubare il lavoro da giornali on-line più o meno attendibili, e dall'altra parte venire anche accusati dai "populisti cattivi" di fare malainformazione?
Ma la “bufala” è propriamente l'altra faccia della medaglia di una cattiva informazione: meno sono credibili i media “istituzionali” o mainstream, tanto più le persone saranno portate a cercare fonti di informazioni alternative, non sempre riuscendo a discernere fra quelle vere e quelle false.
Prima di lanciarsi in una crociata per la vittoria del vero contro il falso l'apparato giornalistico tutto dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Infatti, come tra le altre cose ricorda il cattivissimo Grillo, l'Italia si trova ancora al 77mo posto nella classifica mondiale per la libertà di informazione: se durante il periodo berlusconiano questo misero piazzamento veniva infatti imputato all'enorme conflitto di interessi del Cavaliere e il suo totale controllo della televisione, oggi bisognerebbe interrogarsi più seriamente sul ruolo dei giornali e i loro inestricabili rapporti con la politica.
D'altra parte la malainformazione si può notare nelle notizie che ci vengono fornite ogni giorno e che sono in così netta contraddizione con quello che poi i lettori vivono sulla loro pelle: come quando i giornali riportano le entusiastiche stime del governo su crescita e occupazione, senza analizzarle né spiegarle; salvo, qualche giorno, dopo fornendone altre assai diverse ma più veritiere fornite da un'altro istituto statistico e, anche qui, senza problematizzare minimamente il perché di questi dati diversi; quando censurano completamente scioperi e manifestazioni che pure tantissime persone vivono sulla loro pelle, per poi dare eccessivo risalto a ogni striscione appeso da questo o quel gruppuscolo neofascista; quando, nella copertura di drammatiche vicende come le guerre che ci circondano, prediligono la narrazione emotiva attingendo da fonti ampiamente inattendibili rispetto a una visione più ampia sulle cause del conflitto e, soprattutto, stando sempre bene attenti a omettere qualsivoglia responsabilità del nostro governo (o dei nostri alleati).
Spesso viene definito il ruolo del giornalismo come “cane da guardia del potere”, cioè come cane da guarda che controlla il potere. Interessante però che l'espressione possa avere anche il significato opposto: il cane da guarda di proprietà del potere.
Chi dovrebbe controllare chi, dunque? I media di oggi sono controllori del potere o per il potere? Cosa succede se il potere si erge a controllore dell'informazione?
Lo stato di salute dell'informazione riflette quello del funzionamento democratico, e ad oggi è terribilmente preoccupante, ma ancora più preoccupante è chi fa squillare le trombe a favore una cura volta a restringere ulteriormente le libertà di espressione e partecipazione.

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