martedì 28 marzo 2017

DEI GRAN CALCI IN FACCIA


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Ormai è assodato che il ministro al lavoro Poletti oltre che essere incapace nel suo mestiere ,qualunque esso sia,è oltremodo infelice e sfortunato nelle sue uscite che se proprio vuole fare battute o provocazioni lo sa solo lui il significato e la convenienza a rendercene partecipi.
Dopo la sequela di cervelli in fuga,del lavoro gratuito,degli agganci e delle conoscenze che certamente hanno fatto la sua fortuna e la nostra sfiga(madn polettila-storia-di-un-paraculo-e-del suo cervello in fuga )cos'altro c'è da aspettarsi da un paraculato che sì di calcetti in culo li ha presi visto che non ha mai fatto un cazzo in vita sua?
Sono sempre più del parare che Poletti maiale debba diventare prosciutto il prima possibile in quanto una nazione dignitosa che si possa rispettare e che soprattutto si rispetti non ha bisogno di simili latrine ambulanti.
E di tutti quelli che lo supportano che sono il vero cancro di questa nazione fatta di posti di lavoro ottenuti e poi in di venire carriere basate solamente sulle conoscenze e le tessere politiche,prima Dc e ora Pd,non escludendo certamente altri partiti come Pdl e Lega e movimenti come Cielle.
Articolo preso da Contropiano(politica-news )cui suggerisco anche questo(infoaut il-culo-di-poletti )e dulcis in fundo ripropongo per intero il curriculum vitae del porco più in basso tratto dal ministero che presiede(www.lavoro.gov.it Curriculum-Poletti ).

Che ne dite di un calcetto a Poletti?

di Alessandro Avvisato
Ogni volta che sento parlare il ministro Poletti – si occupa del Lavoro, lui che viene dal mondo Coop e sa come sfruttarlo fino all’ultima goccia – mi torna in mente il proverbio in uso tra gli avvocati: “studia, figlio mio, sennò mi diventi giudice”.
Non soddisfatto del “successo” ottenuto con altre esibizioni retoriche in pubblico, ieri ha consegnato agli studenti dell'istituto Manfredi Tanari di Bologna un’altra perla della sua saggezza ruspante: "Il rapporto di lavoro è prima di tutto un rapporto di fiducia. È per questo che lo si trova di più giocando a calcetto che mandando in giro dei curriculum".
Non sarebbe giusto estrapolare questa sola frase per crocifiggere un manager prestato alla governance, che spesso ha dimostrato di non comprendere la differenza tra il dirigere un’azienda o un paese. In fondo, stava illustrando la bontà della famosa “alternanza scuola-lavoro”, ossia quella novità introdotta nella cosiddetta “buona scuola” per cui invece di stare ad imparare qualcosa (a ragionare confrontandoti con quello che l’umanità ha appreso in passato e consegnato ai libri, di qualsiasi genere), uno studente può essere spedito a servire ai tavoli di McDonald’s o all’Autogrill. A lavorare gratis, insomma, senza imparare altro che obbedire a un caporale (ci siamo passati tutti, da ragazzi; ma lo facevamo d’estate e venivamo pagati).
Quindi, prendiamo anche qualche altra sua frase memorabile ripresa dai giornali “amici” del governo, come la risposta data a chi ha già sperimentato gli stage finendo a fare operazioni manuali ripetitive il ministro fa notare che "se vai in un bar ti fanno fare un caffè" (si può vedere la scocciata scrollatina di spalle dalle sole parole scritte…). Oppure quella data a chi più modestamente contestava l’assenza di risultati dopo questi esperimenti: “Intanto vedi un mondo”. Come se lavorare gratis fosse una vacanza in paesi esotici…
Le pernacchie online hanno presto sommerso le parole di Poletti, che ha provato la solita, goffa (non ha studiato!), marcia indietro: "voglio chiarire che non ho mai sminuito il valore del curriculum e della sua utilità. Ho sottolineato l'importanza di un rapporto di fiducia che può nascere e svilupparsi anche al di fuori del contesto scolastico. E quindi dell'utilità delle esperienze che si fanno anche fuori dalla scuola".
Anche noi non crediamo molto ai curriculum e, come tutti, li vediamo finire in un attimo nel cestino della carta straccia. Soprattutto in Italia, però, dove le imprese preferiscono – come Poletti teorizza – avere a che fare con dipendenti pre-selezionati come aspiranti schiavi obbedienti. Quindi in base a raccomandazioni, segnalazioni fiduciarie, ecc. Uno stile che dà la misura dell’arretratezza dell’imprenditoria italiana rispetto agli stessi paesi capitalistici con cui dice di voler “competere”.
A metà strada tra il Berlusconi che beatificava i “lavoretti” e il Caimano laido che invitava le ragazze a sposare un uomo ricco, Poletti in realtà propone un modello di “trovar lavoro” che è l’unico da lui sperimentato. Si entra in un “giro di conoscenze” (ai suoi tempi un partito, ora in una clientela strutturata), ci si fa conoscere come “affidabili” (obbedienti ai capi e capetti di tutta la gerarchia interna), si ottengono man mano delle responsabilità superiori, fino all’”uno su mille ce la fa” che lo ha portato alla guida della Coop e di lì alla poltrona ministeriale.
Un “modello relazionale” che ha senso in un partito, non certo per la ricerca di un lavoro dipendente. A meno di non intendere un posto di lavoro come il “munifico dono” di un signorotto medioevale, cui devi baciar le scarpe prima di essere ammesso nel cortile di proprietà…

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Giuliano Poletti è nato a Imola nel 1951. È Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali da febbraio 2014. Eletto Presidente della Legacoop di Imola nel 1989, ha lasciato l'incarico a settembre del 2000 per assumere quello di Presidente Regionale Legacoop e Vicepresidente Nazionale. Dal 1992 al 2000 è stato, inoltre, Presidente di EFESO, l'Ente di Formazione della Legacoop Emilia Romagna. Nel 1975 viene eletto consigliere comunale a Imola. Successivamente ha ricoperto l'incarico di Assessore alle attività produttive e di Consigliere provinciale a Bologna. All'impegno politico-amministrativo ha affiancato quello professionale, esercitato in qualità di presidente dell'ESAVE (Studi e promozione della viticoltura e dell'enologia per l'Emilia Romagna). Conseguito il diploma di perito agrario, in gioventù ha esercitato l'attività di tecnico agricolo.

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