mercoledì 31 gennaio 2018

AFRIN SANTIFICATA E SUBITO DIMENTICATA


Nessun testo alternativo automatico disponibile.
Il carrozzone mediatico nella guerra siriana fa un'altra tappa,ma stavolta solamente toccata e fuga,nella città prossimale al confine con la Turchia di Afrin,santificata dopo la strenua difesa e la vittoria contro l'Isis da arte dei curdi e subito dimenticata quando Erdogan ha cominciato la sua campagna repressiva contro chi è contro il suo regime,medici e giornalisti(ancora)compresi.
E dopo Kobane,Raqqa ed Aleppo(e Mosul in Iraq),strappate a Daesh in qualche anno e a prezzi altissimi in termine di sacrifici umani a carico del popolo curdo(madn la-solidarieta-per-aleppo-arriva-tardi )ecco che i media mondiali tacciono sull'operazione"ramo d'ulivo"voluta da Erdogan che è tutto al di fuori di una missione di pace nelle zone a confine con la Siria.
Nell'articolo(left curdi-sotto-lattacco )il piano di guerra turco e del suo califfo,le denunce dei giornalisti e dei medici,le centinaia di arresti per le critiche allo stesso regime di Ankara per l'offensiva di Afrin e la condanna al popolare calciatore curdo Deniz Naki(madn attentato-politico-deniz-naki )per tre anni e mezzo per propaganda"terroristica"cui sarà vietato calcare i campi di gioco turchi.

Curdi sotto l’attacco. Erdogan ha lanciato l’offensiva ramo di ulivo.

di Michela Iaccarino
Più di 300 persone sono state arrestate dalle autorità turche per aver criticato sui social media l’offensiva ad Afrin in Siria. È accaduto solo un giorno dopo che il presidente turco Erdogan ha accusato i medici che si oppongono alla campagna militare di “tradimento”, di essere “sudici, amanti del terrorismo”. Il giudice che si occupa della vicenda ha ordinato che gli 11 membri del TTB, associazione medici turchi, che avevano apertamente denunciato l’operazione in corso ad Afrin, venissero arrestati.
L’avvocato dell’associazione, Ziynet Ozcelik, ricorda che il loro messaggio, – quello che gli è costato la detenzione e l’accusa di tradimento – , era semplice: “no alla guerra, pace immediata. Siamo membri di un ordine professionale che ha giurato di prendersi cura della salute della gente, ricordiamo che sostenere la vita e la ricerca della pace è nostro dovere primario. Ogni scontro, ogni guerra, causa problemi fisici, psicologici, ambientali alla salute e tragedie umane. Il modo per contrastare la guerra è difendere la vita pacifica, egualitaria, democratica. No alla guerra, pace subito”.

Mentre i turchi avanzano nell’enclave curda in Siria e a Sochi cominciano i colloqui di pace sotto egida russa, da Ankara alle province, la polizia di Erdogan ha dato il via alle operazioni di ricerca e detenzione. Giro di vite per la Siria anche fuori dalla Siria: i quattro giornalisti turchi Hayri Demir , Nurcan Baysal, Ihsak Karakas, Sibel Hurtas, sono stati arrestati nei giorni scorsi in varie zone del Paese, anche loro dopo aver criticato l’incursione. Il CPJ, il Comitato protezione giornalisti, ha condannato l’ultimo capitolo “dell’attuale saga dei tentativi turchi di censurare la copertura delle azioni militari e politiche”, la Turchia “intimidisce i giornalisti, il governo non può arrestarli solo perché non ama i loro editoriali”.

Mentre i missili cadono sulle milizie curde siriane – “ramo d’ulivo” è il nome scelto dall’esercito turco per l’operazione che ha avuto inizio dieci giorni fa – le autorità di Ankara ordinano l’arresto di tutti quelli che osano criticare o si oppongono all’incursione: sono 311 le persone che hanno le manette ai polsi per “aver diffuso propaganda terroristica” sui social media nell’ultima settimana. Tra di loro ci sono attivisti, reporter, politici. La loro accusa è simile a quella rivolta ai medici: “provocazione pubblica e propaganda a favore di un’organizzazione terroristica”.

Gli attivisti, i medici, i cittadini che chiedono pace per Erdogan sono “servi dell’imperialismo, una gang di schiavi, non intelligenti per niente, questo no alla guerra è nient’altro che il tradimento delle loro anime”, come ha detto ad una manifestazione nella provincia di Amasya. Ahmet Demircan, ministro della Salute, ha detto che i medici “hanno fatto un grande errore, le azioni necessarie verranno prese secondo la legge”. Intanto si è mobilitata la WMA, World Medical Assotiation, che riunisce 111 associazioni mediche mondiali, per condannare gli arresti con una dichiarazione: “chiediamo alle autorità turche l’immediato rilascio dei medici e la fine della campagna intimidatoria contro di loro”.

Sono centinaia i no alla guerra della società civile turca: 170 artisti hanno sottoscritto una lettera pubblica per chiedere l’immediata fine dei bombardamenti. Il no si leva in coro dagli ospedali da campo fino ai campi di calcio. Adesso anche Deniz Naki è stato bandito dalla TFF, la Federazione calcistica turca. L’atleta aveva incoraggiato le persone a partecipare alle proteste contro Ankara a Colonia, condividendo un video sui social media, rivolto ai curdi e non curdi che abitano in Germania, per mettere fine all’operazione ad Afrin,. La condanna è stata immediata, la pena è una multa di 273mila lire turche e un divieto di gioco che durerà tre anni e sei mesi per “propaganda ideologica separatista”.

lunedì 29 gennaio 2018

IL ROGO NEL RIFUGIO DEI NUOVI SCHIAVI


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Il rogo avvenuto a San Ferdinando nel reggino ella notte tra venerdì e sabato e che è costato la vita a Becky Moses,giunta da pochi giorni nel ghetto dei braccianti agricoli e rifugio di altri nuovi schiavi,ha avuto un risalto a livello nazionale mentre stamattina c'è stata una marcia di protesta pacifica organizzata da Usb e molto partecipata.
Nell'articolo(left.it )alcune considerazioni su questo tragico ma annunciato evento caduto nel giorno della memoria,che pare non abbia ancora insegnato molto all'umanità visto che in certi campi sociali sembra di essere ancora come più di settant'anni fa.

Bruciata nel ghetto. Nel giorno della Memoria.

di Giulio Cavalli
La memoria non si commemora. non basta. La memoria si esercita: si esercita riconoscendone i tratti nel mondo che ci circonda, si esercita declinandola in altri tempi e in altri luoghi come se fosse sempre nuova, si esercita tenendo levigato il rigore morale, si esercita allungando il muscolo della curiosità.

Forse con una memoria ben allenata non ci saremmo persi questo 27 gennaio, mentre commemoravamo la memoria di quello che fu, non accorgendoci che una donna bruciata nel ghetto è stata qui, da noi, proprio nella notte tra venerdì e sabato a San Ferdinando, pochi passi da Rosarno. Auschwitz nel 2018 è in provincia di Reggio Calabria. Ma l’indifferenza non fa scalpore.

Becky Moses aveva ventisei anni e aveva trovato rifugio nel ghetto da appena tre giorni. Avrà pensato che era una bella fortuna trovare un po’ di ristoro dal freddo, in mezzo ad altra gente, con un tetto sulla testa anche se fatto di niente. Era stata ospite di un centro d’accoglienza, aveva una casa e stava imparando un mestiere: da quando è arrivata due anni fa dalla Nigeria (c’è bisogno davvero di ricordare cosa subiscano le donne, in Nigeria? No, vero?), fino a qualche settimana fa, quando ha ricevuto il rifiuto alla sua richiesta di asilo politico. Ha dovuto cercare un riparo. Alcuni suoi connazionali l’hanno ospitata nel ghetto. L’incendio dei giorni scorsi non le ha dato scampo.

Il ghetto di Rosarno, tra l’altro, meriterebbe anche lui una di quelle pompose giornate alla memoria che piace tanto ai sepolcri imbiancati. È stato “scoperto” dall’opinione pubblica quasi dieci anni fa per la rivolta dei braccianti sottopagati che dormono lì. Ed è sempre lì.

Il fumo dal camino nel 2018 ha l’odore della plastica che si fa cenere per un braciere acceso per scaldarsi. E ha l’odore di Becky Moses.

Buon lunedì.

sabato 27 gennaio 2018

INFORMATIVA ANTIFASCISTA A LIVORNO SU CHI FORAGGIA L'ESTREMA DESTRA


Il blitz antifascista pacifico avvenuto negli scorsi giorni a Livorno con attacchinaggio di manifesti presso i luoghi commerciali che finanziano direttamente l'estrema destra italiana,è stato un atto informativo che deve svegliare le coscienze dei cittadini e farli ragionare e capire che dietro a nomi anche famosi si celano in realtà sostenitori dei movimenti più beceri del neofascismo e neonazismo italiano.
Nel breve comunicato dei compagni livornesi(senzasoste.it livorno-blitz-antifascista )un monito a boicottare tali attività e mantenere sempre alta l'allerta antifascista stroncandone le basi sia dal punto di vista economico che pratico partito nella città che è stata quella che ha visto nascere il Partito Comunista in Italia,allego anche il link con le inchieste sotto riportate de L'Espresso(madn affascinati-dal-crimine-2 ).

Livorno, blitz antifascista con manifesti attaccati sui muri dei marchi che finanziano i gruppi di estrema destra

I manifesti antifascisti sono stati attaccati sui muri della Pam, di StroiliOro, di Arcaplanet e di Eurospin con invito al boicottaggio come emerge da questo comunicato che pubblichiamo.

Un fantasma si aggira per l’Europa, è il fantasma del fascismo.

La ripresa recente del destrismo politico, la demagogia irrazionale e disumana, i vari capri espiatori, immigrati in testa, disegnano un quadro allarmante.
Oggi, in città si commemora la nascita del PCd’I. Fascismo e comunismo, due visioni del mondo che confliggono, si dice. Chiamiamo a dare senso quotidiano allora alle proprie idee, a fare di questa giornata, un’occasione di lancio verso un impegno concreto e non solo un’occasione mancata, una sfilata ideologica.
Trasformare la società resta il nostro difficile imperativo, ma la nostra mera esistenza resta ancora il principale problema del fascismo reazionario. Qualsiasi maschera indossi il fascismo, combatterlo per noi oggi è sempre premessa al cambiamento stesso. Ed esso non è solo soggettività politica, ma anche tendenza trasversale presente nelle istituzioni, nel senso comune, nell’economia come in molti altri ambiti sociali, tutti fronti di un’unica battaglia. Come questi esercizi commerciali che andiamo a colpire: secondo il dossier recentemente pubblicato da L’Espresso, essi finanziano i gruppi politici di estrema destra. Per questo invitiamo al loro boicottaggio.

VIA I FASCISTI DALLA NOSTRA CITTA’

ASSEMBLEA ANTIFASCISTA LIVORNESE

venerdì 26 gennaio 2018

PARISI IL MERCENARIO DELLE POLTRONE


Risultati immagini per stefano parisi
Dopo aver perso la poltrona di sindaco a Milano ecco che Stefano Parisi ci riprova con quella da Presidente della regione Lazio al termine(ma non è ancora realmente finita)di continui incontri e scontri con le"menti"del centrodestra che fanno il gioco per Zingaretti(Pd e qualcosa di pseudosinistra)e la Lombardi(M5s).
Come"Il poltronissimo"Franco Carraro ecco che questo ricercatore di scranni abbassa la latitudine di qualche grado spostandosi man mano verso l'equatore alla ricerca spasmodica di un posto da occupare,cosa che era almeno riuscita benissimo al sovra citato Carraro fino a quando gli avevano commissariato il comune di Roma perché i consigli comunali li dovevano fare a Rebibbia o Regina Coeli.
Nell'articolo(www.huffingtonpost.it stefano-parisi-candidato-presidente )si delinea una quasi sconfitta per il centrodestra in quanto la candidatura unica di Pirozzi(madn pirozzi-sorpassa-gasparri )è quasi andata a farsi benedire,in un quadro che vedono Berluscojoni,Meloni e Salvini essere in disaccordo su tutto,dai dazi alla soglia del 3% fino alla riforma Fornero,carta straccia o solo da rivedere:da notare che anche la creatura nata il primo aprile(uno scherzo più che un parto)Energia per l'Italia è ufficialmente deceduta.
E questo a carattere nazionale per inciso,vanno d'amore e d'accordo solamente quando parlano di migranti da cacciare,tutto quello che concerne i temi razzisti e qualcosina di materia fiscale,per il resto sono la classica cloaca di spartitori di poltrone,puttane e puttanieri e conta balle.

Un milanese a Roma. La candidatura di Parisi nel Lazio rivela lo stallo del centrodestra.
Scelta che ha una ricaduta sui collegi, frutto di errori e veti da parte di una non-coalizione.

di Alessandro De Angelis,Vicedirettore L'Huffpost 
E dunque, alla fine, il candidato del centrodestra a governatore del Lazio sarà Stefano Parisi, già candidato sconfitto a Milano contro Sala e già oggetto, in queste ore, di qualche sfottò sui social per un curriculum presentato, allora, in milanese. L'accordo prevede questo: Parisi, che non ha trovato nella famosa quarta gamba di Fitto e Cesa, non presenterà la sua lista (parliamo dello zerovirgola) alle politiche e, in cambio, riceverà tre collegi di fascia intermedia, di quelli dove te la devi giocare, né blindati né persi in partenza. Un milanese a Roma contro Zingaretti, la Lombardi, ma anche contro lo Scarpone del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi. Questo il quadro.

La scelta certo riguarda il Lazio, ma ha, al tempo stesso, una ricaduta e un significato politico "nazionale". Perché il 4 marzo c'è, come noto, l'election day e il voto sulla Regione, inevitabilmente, si intreccia con quello per le politiche. Più di un sondaggista dice questo: "È evidente che la candidatura di Pirozzi toglie voti al centro centrodestra sul piano nazionale. Il sindaco farà una campagna tutta contro i partiti, da uomo nuovo, grillino di destra. Chi lo vota poi che fa, vota Berlusconi? Una parte sì, ma non tutti". Ecco, è difficile quantificare se in dieci, venti, o trenta ma il Lazio può diventare l'Ohio d'Italia per il centrodestra in testa nei sondaggi. Insomma, è difficile che senza un pieno nel Lazio possa ottenere la maggioranza, o quasi, a livello nazionale.

E qui siamo al significato politico di questa cosa. A Roma l'operazione Marchini impedì alla Meloni di andare al ballottaggio (e chissà magari vincere), questa volta l'incapacità di trovare un candidato unitario si rivelerà altrettanto fatale. La verità è che l'esito finale è un raro esempio di superficialità, imperizia, assenza di strategia politica. Il sindaco di Amatrice, appoggiato da vecchie volpi della ultradestra come Storace e Alemanno, e appoggiato per mesi anche da Salvini, ha raccontato come ha ricevuto incoraggiamenti ad andare avanti (non era forse Tajani a stimarlo al punto da volerlo come commissario per il terremoto?). Poi, quando la regione è entrata nella trattativa nazionale, è stato impossibile farlo tornare indietro, nonostante l'offerta di un collegio sicuro o della vicepresidenza.

Andando al dunque, il Lazio è metafora di una coalizione bugiarda che sta assieme per spartirsi il bottino elettorale, ma senza un vincolo politico, programmatico, e uno straccio di idea comune. La verità è che, per mesi, Berlusconi che ha più in testa il Nazareno che la Pisana non ci ha mai messo la testa, mentre Salvini ha sostenuto Pirozzi, senza parlarne con i potenziali alleati secondo una prassi che lo vede avvezzo ad essere concreto nel Nord, dove governa, e a giocare le partite del sud (Sicilia e Lazio) per una visibilità a scapito degli alleati. E alla fine era prevedibile che arrivasse il veto di Giorgia Meloni, che nel Lazio rappresenta il partito più forte.

E allora, facciamo l'elenco per voci, in questo inizio di campagna elettorale: le Fornero (chi la vuole abrogare chi rivedere), il tre per cento (chi lo vuole sforare, chi rispettare), i dazi di Trump (chi li apprezza, chi li critica), il Lazio buttato via. La sensazione è che la coalizione di centrodestra, frettolosamente data per vincente, sia in una situazione di stallo, perché non è più (da tempo) una coalizione politica, ma un accrocco per prendere voti con questo sistema elettorale. E col passare dei giorni emerge sempre di più la sostanza di una coalizione dei separati in casa. Poi, il 5 marzo si vedrà. In regione, probabilmente, il problema neanche si porrà. Nell'ultimo sondaggio, con Pirozzi in campo, il resto del centrodestra era dato al venti per cento.

giovedì 25 gennaio 2018

INCONVENIENTI POLITICI


Risultati immagini per deragliamento treno pioltello
Ennesima strage sulla rete ferroviaria italiana provocata quasi certamente da un cedimento dovuto alla poca manutenzione effettuata per il trasporto pubblico,in questo caso su di una linea prevalentemente utilizzata da pendolari,la tratta Cremona-Treviglio-Milano.
Infatti il treno regionale di Trenord(la società pubblica partecipata fra Trenitalia e Ferrovie Nord Milano che ha parlato di inconveniente tecnico)è deragliato nella zona di Pioltello dopo che i vagoni centrali del convoglio sono usciti dai binari un paio di chilometri prima per un cedimento strutturale della rotaia:c'è da indagare se è questo il principale motivo del disastro o se questa rottura è stata successiva a un guasto delle carrozze.
Il bilancio è grave con tre donne morte e molti feriti,alcuni dei quali ricoverati in condizioni gravi negli ospedali della zona,su di una tratta da sempre nel mirino sia per i ritardi cronici che per le pessime condizioni dei vagoni,e di risposte politiche mai arrivate o giunte solo come promesse.
Situazione travagliata quella di Trenord,nata nel 2009 e foraggiata da denaro pubblico che diciamo non è gestito al meglio sia per colpa degli amministratori che della politica(vedi:madn biesuz-christ-superstar ).
Da anni Crema e i suoi pendolari lamentano disguidi e ritardi,soppressioni di treni e fatiscenza dei convogli tant'è che è nato un comitato per cercare di far sentire la propria voce che prontamente non viene ascoltata dai vari consiglieri ed assessori di turno,gli ultimi tra i quali sono Malvezzi e Sorte,che non vanno oltre le promesse.
Sempre parlando degli ultimi nomi anche la giunta locale al di là di unirsi al coro del comitato d'altra parte lavora dal suo ultimo insediamento alla privatizzazione di tutti i settori pubblici,non escluso quello dei trasporti e delle gravose condizioni in cui versa,anche per quanto riguarda il settore stradale.
Da nord a sud(madn lannunciata-strage-ferroviaria-pugliese e madn la-prima-sentenza-per-la-strage-di viareggio )un paese alle prese con sanità,educazione e trasporto pubblico sempre più nelle mani private,spesso e volentieri pagate ancora dalla collettività,che è totalmente allo sbando con infrastrutture inadeguate mentre si vuole guardare ancora alla Tav ed il resto della rete è un colabrodo.
Articolo di:milano.corriere.it/notizie/cronaca .

Pioltello, treno Trenord deragliato: «Fuori dai binari per due chilometri»
Morti 3 passeggeri, 5 feriti gravi. Ritardi di 3 ore e rete in tilt

L’incidente nello stesso punto in cui un treno era uscito dai binari il 23 luglio scorso. Una delle vetture centrali ha impattato contro un palo della luce e si è accartocciata. La procura di Milano ha aperto un’inchiesta per disastro colposo ferroviario.

di Rossella Burattino e Sara Regina
La procura di Milano ha aperto un’inchiesta per disastro colposo ferroviario in relazione all’incidente di giovedì mattina a Seggiano di Pioltello, che ha provocato quattro vittime e numerosi feriti. Sono state tre le vetture del treno regionale 10452 Cremona - Treviglio - Milano Porta Garibaldi uscite dai binari ad alcuni chilometri dalla stazione di Pioltello. L’incidente è avvenuto nello stesso punto in cui il 23 luglio scorso un altro treno era uscito dai binari, in quel caso per fortuna senza conseguenze. Il direttore territoriale di Rete Ferroviaria italiana, Vincenzo Macello, presente sul luogo dell’incidente, ha dichiarato che a provocare il deragliamento è stato il cedimento strutturale di una rotaia. La rottura della rotaia si è verificata 2,3 km prima della stazione di Pioltello. Il treno - secondo una prima ricostruzione di Rete Ferroviaria Italiana, che gestisce l’infrastruttura - ha percorso con alcune ruote fuori dalle rotaie circa due chilometri prima che una delle tre vetture impattasse un palo della trazione elettrica e si accartocciasse. A quel punto il treno si è scomposto.

Il cedimento

«C’è stato un cedimento su una rotaia, non sappiamo se è la causa o l’effetto del deragliamento, lo sapremo tra qualche ora, i nostri esperti sono sul posto», ha detto Umberto Lebruto, direttore Produzione di Rete Ferroviaria.

«Scambi funzionanti»

I tecnici di Rete Ferroviaria Italiana hanno svolto verifiche lungo i binari e hanno escluso qualsiasi malfunzionamento degli scambi della stazione di Pioltello. Al contrario, è risultato che i sistemi di sicurezza della rete hanno funzionato: i sensori posizionati sugli scambi hanno rilevato il passaggio anomalo di alcune vetture del treno ed hanno disposto a «via impedita» tutti i sistemi di segnalamento, bloccando di fatto la circolazione nell’area.

Le responsabilità

Del caso si è occupato subito in prima battuta il pm di turno Stefano Civardi e l’inchiesta è poi passata in mano al procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, che la assegnerà ai pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti. Da quanto si è appreso, la polizia giudiziaria quando ha segnalato il fatto alla procura ha parlato subito di un problema che si sarebbe verificato poco prima del deragliamento. La procura prima di effettuare iscrizioni nel registro degli indagati dovrà avere un quadro più preciso sulle cause del deragliamento e sulle figure eventualmente coinvolte. Il treno è della società Trenord, mentre dei binari è responsabile Rete Ferroviaria Italiana.

«No problemi al materiale rotabile»

«Sembrano esclusi problemi legati al materiale rotabile, che non era particolarmente vecchio. È difficile capire cosa è successo ma faremo di tutto per accertare se e quali sono i responsabili»: così l’assessore della Regione Lombardia Alessandro Sorte ha riferito parlando ad Agorà su Rai3. «In un incidente come questo ci possono essere 20-30 motivi diversi», ha aggiunto. «La macchina dei soccorsi è stato pronta ed efficiente, stiamo facendo un lavoro per dare immediata risposta per chi è ferito ed ha avuto traumi. Chi pensa di avere un parente su quel treno può chiamare l’ospedale più vicino».

I soccorsi

Il convoglio 10452 di Trenord, deragliato alle 7 a Seggiano di Pioltello, alle porte di Milano, era partito da Cremona alle 5.32 e sarebbe dovuto arrivare a Milano Porta Garibaldi alle 7.24. Il convoglio era composto da sei vagoni e a bordo, dato l’orario, c’erano centinaia di pendolari. Sul posto sono giunti tutti i mezzi di soccorso disponibili dalla regione e anche da fuori. Dall’Emilia Romagna è giunta una eliambulanza. Presenti, oltre ai vigili del fuoco e personale di Rfi e di Trenord, i carabinieri, personale della polfer e della Questura di Milano.

«Cedimento» tra vagoni

«Abbiamo individuato un cedimento tra vagoni ma sono ancora in corso tutti gli accertamenti per chiarire il quadro», lo ha affermato il questore Marcello Cardona, arrivato sul luogo del deragliamento del treno. L’ipotesi è che si tratti di un problema allo scambio. Le parole del questore sono una prima conferma rispetto a quanto raccontato da alcuni soccorritori. A molti, infatti, è risultato strano lo slittamento di soltanto due vagoni, mentre, gli altri, in testa e in coda, sono rimasti in asse.

mercoledì 24 gennaio 2018

NUMERI E PERSONE


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Durante questo periodo dell'anno i potenti del mondo si ritrovano sempre a Davos a darsi le pacche sulle spalle e a dichiarare frasi fatte per quanto riguarda la società e l'economia,con appelli ai mass media che cadono nel vuoto e accordi a porte chiuse che li fanno assumere ancora più ricchezza e (pre)potenza.
Snocciolando i numeri presenti nell'articolo proposto da Popoff(oxfam-mondo-disuguale )che provengono dalle ricerche Oxfam,ecco l'analisi sulla ricchezza prodotta e la diseguaglianza sociale che attanaglia un mondo sempre più diviso in classi e sempre più povero per i poveri,che aumentano a dismisura a fronte della ricchezza accumulata da sempre meno persone che sono però sempre più piene ed avide di denaro.
Per approfondire anche questi due articoli:madn sempre-piu-differentilodio-di-classe aumenta e madn la-prorompente-poverta che sanciscono che gli ultimi anni sono stati i peggiori per quanto riguarda la diseguaglianza in tutto il mondo,nessuno è escluso cambiano solo i protagonisti,con appelli elettorali che fanno ingolosire tutta la plebaglia ma che come al solito premiano i più ricchi(vedi la flat tax al 23% del Berluscojoni).

Oxfam: mondo disuguale, Italia iniqua. E le donne le più sfruttate.

Oxfam, nuovo rapporto choc alla vigilia del forum di Davos: le lavoratrici le più misere. Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri.

di Checchino Antonini
Sono le lavoratrici le più misere e maggiormente schiacciate dalla disuguaglianza sociale e economica. A rilevarlo è il nuovo rapporto choc di Oxfam «Ricompensare il lavoro, non la ricchezza», diffuso oggi alla vigilia del Forum economico mondiale di Davos.

«Negli ultimi gradini della piramide sociale troviamo spesso le lavoratrici: in tutto il mondo guadagnano meno degli uomini», rileva il dossier. Le lavoratrici, riferisce il Rapporto di Oxfam, «operano frequentemente in ambiti sottopagati e privi di sicurezza per chi lavora». Anche in questo settore, la disparità tra top manager e lavoratori ha raggiunto livelli estremi: in 4 giorni, l’Amministratore delegato di uno dei 5 più grandi marchi della moda può guadagnare quello che una lavoratrice della filiera dell’abbigliamento in Bangladesh guadagna in un’intera vita. «In ogni parte del mondo – segnala Maurizia Iachino, presidente di Oxfam Italia – abbiamo raccolto testimonianze di donne schiacciate dall’ingiustizia della disuguaglianza. In Vietnam le lavoratrici del settore dell’abbigliamento non vedono i loro figli per mesi, perché non possono tornare a casa per colpa delle lunghissime giornate lavorative e delle paghe da fame che percepiscono». Iachino riferisce ancora che «negli Stati Uniti abbiamo scoperto che alle lavoratrici dell’industria del pollame non era consentito di andare in bagno ed era imposto di indossare i pannolini. Sia in Canada sia in Repubblica Dominicana, molte donne di servizio nel settore alberghiero di lusso ci hanno raccontato di aver deciso di non denunciare le molestie sessuali di cui sono vittime per paura di perdere il lavoro».

Nel mondo un nuovo miliardario ogni due giorni

E il rapporto conferma il dato della dilatazione della forbice tra i più ricchi e i poveri del mondo. L’82% dell’incremento di ricchezza netta registrato tra marzo 2016 e marzo 2017 è andato all’1% più ricco della popolazione globale, mentre a 3,7 miliardi di persone che costituiscono la metà più povera del mondo non è arrivato un solo centesimo. Il dossier rivela come «il sistema economico attuale consenta solo a una ristretta élite di accumulare enormi fortune, mentre centinaia di milioni di persone lottano per la sopravvivenza con salari da fame». Da marzo 2016 a marzo 2017, segnala il dossier, il numero di miliardari è aumentato al ritmo impressionante di 1 ogni 2 giorni. Su scala globale, tra il 2006 e il 2015 la ricchezza a nove zeri è cresciuta del 13% all’anno, 6 volte più velocemente dell’incremento annuo salariale, di appena il 2%, che ha riguardato i comuni lavoratori. Il Rapporto segnala che i due terzi della ricchezza dei ‘paperoni’ di tutto il mondo non deriva dal loro lavoro ma è ereditato o arriva da rendite monopolistiche, cioè sono il risultato di rapporti clientelari.

Il dato italiano: il 20% più ricco detiene il 66% della ricchezza

E la disuguaglianza desta seria preoccupazione anche in Italia. A metà 2017 il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta, il successivo 20% ne controllava il 18,8%, lasciando al 60% più povero appena il 14,8% della ricchezza nazionale. La quota di ricchezza dell’1% più ricco degli italiani superava di 240 volte quella detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione. Nel periodo 2006-2016 la quota di reddito nazionale disponibile lordo del 10% più povero degli italiani è diminuita del 28%, mentre oltre il 40% dell’incremento di reddito complessivo registrato nello stesso periodo è fluito verso il 20% dei percettori di reddito più elevato. Nel 2016 l’Italia occupava la ventesima posizione su 28 paesi Ue per la disuguaglianza di reddito disponibile.

«L’attuale sistema economico -osserva Iachino- crea miseri e disuguali, offrendo lavori rischiosi, sotto-retribuiti e precari e abusando sistematicamente dei diritti di chi lavora. Basti pensare che oggi il 94% degli occupati nei processi produttivi delle maggiori 50 compagnie del mondo è costituito da persone ‘invisibilì impiegate in lavori ad alta vulnerabilità senza adeguata protezione». «Le persone che confezionano i nostri abiti, assemblano i nostri cellulari, coltivano il cibo che mangiamo vengono sfruttate per assicurare la produzione costante di un gran volume di merci a poco prezzo e aumentare i profitti delle corporation e degli investitori», avverte il presidente di Oxfam Italia. «Fino a quando per il sistema economico globale la remunerazione della ricchezza di pochi rimarrà un obiettivo predominante rispetto alla garanzia di un lavoro dignitoso per tutti, non sarà possibile arrestare la crescita di questa estrema e ingiusta disuguaglianza» è il j’accuse di Iachino.

Come ridurre la disuguaglianza?

In tutto il mondo, la stragrande maggioranza delle persone è a favore di un’azione immediata per contrastare la disuguaglianza tra i più ricchi del mondo e i più poveri. Intervistando 70.000 persone in 10 paesi, nel suo Rapporto «Ricompensare il lavoro, non la ricchezza», Oxfam ha rilevato che circa 2/3 degli interpellati ritengono che il divario tra ricchi e poveri debba essere affrontato con urgenza. Per questo Oxfam chiede ai governi di «adottare una serie di misure atte a contrastare l’estrema disuguaglianza e costruire opportunità di lavoro ben retribuito e tutelato». La confederazione internazionale di organizzazioni non profit propone quindi di «incentivare modelli imprenditoriali che adottino politiche di maggiore equità retributiva e sostengano livelli salariali dignitosi; introdurre un tetto agli stipendi dei top-manager, così che il divario retributivo non superi il rapporto 20:1 (Rifondazione una ventina di anni fa aveva provato a promuovere in Italia un’azione simile con un rapporto di 10 a 1) ed eliminare il gap di genere; proteggere i diritti dei lavoratori, specialmente delle categorie più vulnerabili: lavoratori domestici, migranti e del settore informale, in particolare garantendo loro il diritto di associazione sindacale. Tra le proposte avanzate da Oxfam anche «assicurare che i ricchi e le grandi corporation paghino la giusta quota di tasse, attraverso una maggiore progressività fiscale e misure solide di contrasto all’evasione ed elusione fiscale; aumentare la spesa pubblica per servizi come sanità, istruzione e sicurezza sociale a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione. Anche le imprese potrebbero già mettere in campo autonomamente azioni per promuovere un’economia dal volto più umano: una tra tutte l’assicurare un salario dignitoso a tutti i lavoratori, come azione prioritaria rispetto alla distribuzione dei dividendi agli azionisti o al pagamento di mega bonus ai top manager».

«Difficile trovare oggi un esponente del mondo politico o economico che non sia preoccupato per la disuguaglianza, ma ancora più difficile è trovarne uno che stia agendo concretamente per porvi rimedio», commenta Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia. «Al contrario, osserviamo l’adozione di provvedimenti irresponsabili, come il taglio delle tasse ai più facoltosi o la rottamazione dei diritti in materia di lavoro». Misure che, chiarisce Barbieri, «esasperano i livelli di disuguaglianza, proprio mentre, in tutto il mondo, i cittadini reclamano un salario dignitoso e pari diritti per lavoratori e lavoratrici, chiedendo che multinazionali e ricchi individui paghino la loro giusta quota di imposte e che venga posto un limite alla concentrazione di potere e ricchezza in così poche mani».

martedì 23 gennaio 2018

LILIANA SEGRE SENATRICE A VITA


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La notizia della nomina a senatrice a vita di Liliana Serge da parte del Presidente della Repubblica Mattarella ha fatto parlare molto,sia dal punto di vista prettamente politico con un Renzi che non molto tempo fa era restio a concedere queste onorificenze e diciamo una sorta di premio a persone importanti per l'Italia,che dal punto di vista sociale in quando questo fatto ha avuto ed avrà ripercussioni sulla campagna elettorale per le elezioni.
Mattarella ha voluto dare un forte segnale di memoria storica in un periodo difficile in quanto le formazioni fasciste o neofasciste,le destre tutte e movimenti violenti e lesivi della democrazia,stanno avendo degli sponsor potenti all'interno e al di fuori della politica,se ne parlerà meglio a breve termine.
E la Segre,sopravvissuta quand'era bambina all'orrore di Auschwitz e delle leggi razziali,ne è testimone d'eccezione come detto sotto nell'articolo che ripercorre la sua travagliata esistenza(milano.repubblica.it ).
Aggiungo pure che questa scelta rimane allo stato delle cose molto legato all'Italia e a tutte le nefandezze compiute nel ventennio fascista,una sorta di riparare ad errori e orrori che sono passati e che solamente la memoria deve allontanare per sempre dalla storia dell'umanità presente e futura.
Quindi ritengo riferimenti alla situazione mondiale e soprattutto mediorientale troppo lontani da questo singolo avvenimento che ricorda gli ebrei come perseguitati e ammazzati per il solo fatto di essere differenti dagli altri per la loro religione.

Chi è Liliana Segre nominata da Mattarella senatrice a vita.

A 8 anni fu costretta ad abbandonare le scuole elementari a causa delle leggi razziali fasciste e a 14 anni la deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Il ritratto della senatrice a vita nominata dal presidente Mattarella.

Liliana Segre, 88 anni, sopravvissuta al campo di concentramento Auschwitz-Birkenau e reduce dell'olocausto, è stata nominata senatrice a vita per volere del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Nata a Milano il 10 settembre 1930 da Alberto Segre e Lucia Foligno, Segre ha perso la madre in tenera età, quando non aveva ancora compiuto un anno e ha vissuto insieme al padre e ai nonni paterni. Vedova di Alfredo Belli Paci, sposato nel 1951, e madre di tre figli,  risiede a Milano.

Liliana Segre rimase vittima delle leggi razziali fasciste all'età di 8 anni, quando nel settembre del 1938 fu costretta ad abbandonare la scuola elementare. Il 7 dicembre 1943, con il padre e due cugini, cercò invano, con l'aiuto di alcuni contrabbandieri, di scappare in Svizzera. Venne tuttavia catturata dai gendarmi del Canton Ticino e rispedita in Italia dove, il giorno successivo, fu tratta in arresto a Selvetta di Viggiù, Varese. Dopo sei giorni di carcere venne trasferita prima a Como e alla fine nel carcere di San Vittore a Milano, dove rimase detenuta per 40 giorni.

 Il 30 gennaio 1944 venne deportata con il padre in Germania, partendo dal 'Binario 21' della Stazione Centrale di Milano. Raggiunto il campo di concentramento di Birkenau-Auschwitz, fu internata nella sezione femminile. Non rivedrà mai più il padre, che morirà ad Auschwitz il 27 aprile 1944. Anche i suoi nonni paterni, arrestati a Inverigo, Como, il 18 maggio 1944, furono deportati ad Auschwitz, dove furono uccisi il giorno stesso del loro arrivo, il 30 giugno dello stesso anno.

Alla selezione, le venne imposto e tatuato sull'avambraccio il numero di matricola 75190. Durante la sua permanenza nel capo di concentramento fu impiegata nei lavori forzati nella fabbrica di munizioni 'Union', di proprietà della Siemens, lavoro che svolse per circa un anno.

Il 27 gennaio 1945, sgomberato il campo di concentramento di Birkenau-Auschwitz per sfuggire all'avanzata dell'Armata Rossa, i nazisti trasferirono 56.000 prigionieri, tra cui anche Liliana Segre, a piedi, attraverso la Polonia, verso nord. La Segre, non ancora 15enne, fu condotta nel campo femminile di Ravensbrück e in seguito trasferita nel sotto campo di Malchow, nel nord della Germania. Fu liberata il 1° maggio 1945, dopo l'occupazione del campo di Malchow da parte dei russi. Tornò a Milano nell'agosto 1945.

Liliana Segre è una dei 25 sopravvissuti dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati nel campo di concentramento di Auschwitz. Nel 1990, dopo 45 anni di silenzio, si rese per la prima volta disponibile a partecipare ad alcuni incontri con gli studenti delle scuole di Milano, portando la sua testimonianza di ex deportata. Attività che prosegue tuttora.

È insignita dell'onorificenza di Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana, conferitagli con motu proprio del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 29 novembre 2004; della Medaglia d'oro della riconoscenza della Provincia di Milano,assegnatagli nel 2005. Il 27 novembre 2008 ha ricevuto la Laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università degli Studi di Trieste, mentre il 15 dicembre 2010 l'Università degli Studi di Verona le ha conferito la Laurea honoris causa in Scienze pedagogiche.

 È Presidente del Comitato per le 'Pietre d'inciampo' - Milano, che raccoglie tutte le associazioni legate alla memoria della Resistenza, delle deportazioni e dell'antifascismo.

SE SON DI LORO SONO FOLLI


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Basta guardare di sfuggita in un'edicola le prime pagine di giornalacci legati alla destra sia per simpatie politiche ma soprattutto per approvvigionamenti economici,che sbattono sempre il mostro in prima pagina,anzi meglio una categoria di presunti tali(migranti,clandestini,comunisti)apostrofandoli con termini indegni unendoli nell'insieme dei criminali,per capire che non c'è controllo e non c'è verità divulgata.
Nel redazionale di Contropiano(fascista-strage-media-minimizzano )le gesta dell'ex guardia giurata che nel casertano ha ammazzato la moglie,già vittima di violenze negli anni precedenti,per poi sparare all'impazzata dal balcone e che infine ha avuto almeno la buona idea di spararsi(in altre soluzioni era già probabile presenza di talk show).
Naturalmente fascista,fatto che è stato suggerito dalla foto con alle spalle il vessillo di Fogna Nuova che naturalmente si dissocia dai fatti,come Cagapovnd fece a Firenze(madn caa-pound-fogna-da-chiudere-il-prima.possibile )con l'assassinio di due senegalesi da parte di un loro adepto.
Solo che i mass media hanno taciuto su questo piccolo episodio,in un periodo dove la recrudescenza fascista assieme alla sua violenza ed ignoranza sta avendo troppa visione soprattutto in chiave elettorale,perché quando capitano queste stragi se guardi a fondo dietro ci sono sempre loro.

Se il fascista fa strage, i media minimizzano…

di  Redazione Contropiano 
Non ci occupiamo quasi mai di episodi di cronaca nera, ma a volte diventa necessario. La sparatoria di Bellona, in provincia di Caserta, ha tenuto impegnati i tg e le versioni online delle principali testate italiane per tutto il pomeriggio e la tarda serata di ieri. Fin quando Davide Mango – che aveva già ucciso la moglie e ferito altre cinque persone – non ha deciso di farla finita sparandosi alla testa.
Fin qui il classico episodio di “follia”, come si usa dire quando non si riesce a trovare una motivazione razionale o una causa comprensibile di un gesto estremo.
Silenzio pressoché totale, per parecchie ore, sul “profilo” di Mango. Si comincia col dire che si tratta di una guardia giurata, il che giustificherebbe le numerose armi detenute in casa. Poi si aggiunge che la moglie voleva lasciarlo. Che ha tentato di uccidere anche la figlia, che per fortuna ha fatto in tempo a fuggire mentre Mango si accaniva sulla madre.
Solo con molto ritardo – e non da tutti i media – trapela che Mango, oltre che guardia giurata, era anche “vicino a Forza Nuova”.

Un fascista, insomma, perlomeno a livello di convinzioni radicate. Un particolare tipo di fascista, oltretutto, perché Forza Nuova si caratterizza per il forte integralismo cattolico, i “valori tradizionali della famiglia”, secondo la vecchia triade dio-patria-famiglia. Al confronto, i cugini di CasaPound esibiscono spesso un’etica più lassista e superomista, ricalcando in parte le SA naziste, quelle sterminate dalle SS nella “notte dei lunghi coltelli”.
In un contesto valoriale fascio-integralista, a occhio, sembra un po’ meno incomprensibile la motivazione del “gesto causato dalla follia”: se la moglie ti lascia rompe il guscio dei “valori tradizionali” e ti impone di fare i conti con le stronzate che ti frullano nel cervello. Se non sei in grado di razionalizzare “l’incomprensibile” o addirittura il “vietato da dio”, sbrocchi e dai di matto, uccidendo. Uno psichiatra normale muoverebbe i primi passi della sua analisi partendo da questi dati.
Colpisce invece la “discrezione” dei media – pressoché tutti – nel minimizzare invece la fede fascista dell’assassino e il ruolo che questa fede può aver avuto nel “gesto di follia”.

L’organizzazione politica diretta da Roberto Fiore si affretta a minimizzare a sua volta la frequentazione di Mango con il gruppo, riducendola a contatto casuale:
“Davide Mango è stato sì per un periodo nostro sostenitore ma mai militante attivo. I suoi rapporti con Forza Nuova si limitavano al presenziare a qualche cena di finanziamento; non ha mai agito né fatto parte dei quadri militanti. Detto ciò è giusto precisare che si parla di un periodo di tempo superiore ai 6 anni trascorsi. Che non si usi una tragica vicenda personale per tirare fango e menzogne su tutto il Movimento e su tutti i nostri militanti”.
Tutto perfettamente logico, mica vorrai caricarti uno che ha quasi fatto una strage…
Tutto perfettamente uguale all’autodifesa di CasaPound quando, quattro anni fa, un suo “occasionale frequentatore” – tal Gianluca Casseri – uccise due senegalesi a Firenze, sparando a casaccio su un gruppo di immigrati colpevoli di avere la pelle scura. Anche il quel caso uno dei capi dell’organizzazione fascista, Gianluca Iannone, aveva rilasciato dichiarazioni praticamente identiche: “questo è un folle gesto di cui non siamo responsabili, c’è in atto una caccia alle streghe, un tentativo politico di delegittimare il nostro movimento, e questo porterà a spargere altro sangue”. Tipica autodifesa fascista, in cui il vittimismo aggressivo si esplicita in evocazione del “complotto” ed esibizione della minaccia (“spargere altro sangue”).

La narrazione è scontata: “noi fascisti non facciamo niente, se uno di noi fa quello che andiamo dicendo, e ammazza qualcuno, è matto e noi non c’entriamo”.
Il problema non è la loro menzogna, ma la condiscendenza dei media mainstream nei loro confronti. Provate a pensare come sarebbe stata raccontata questa follia se a compierla fosse stato un “comunista” (“drogato”, “frequentatore dei centri sociali”, ecc). Quanta condiscendenza o umana pietà avrebbero messo in mostra?
In ogni caso, a smentire Forza Nuova (che parla di contatti casuali risalenti a più di sei anni fa) è uno dei loro attivisti – tale Vincenzo – che spiega “Ci eravamo conosciuti cinque anni fa a Caserta nel corso di un’iniziativa di Forza Nuova ed era nata una bella amicizia”.
Non ci interessa sostituirci agli inquirenti, questo caso. Ci basta e avanza segnalare certe “discrepanze”, oltre al comportamento politicamente ignobile di quegli stessi media che – un giorno sì e l’altro anche – strepitano contro il “pericolo del populismo di destra”. Sono proprio loro a proteggerlo, coltivarlo, coccolarlo.

venerdì 19 gennaio 2018

UN GIORNALISMO CHE STRIZZA L'OCCHIO AI SOSTENITORI DELL'EUROPA

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Lasciando da parte quotidiani politici che sono direttamente la voce dei vari partiti,pur essendocene sempre,meno ma in quota salgono i vari giornali monnezza tipo Il giornale o Libero per la destra del padrone Berluscojoni e La Repubblica per il Pd che perde colpi ogni giorno che esce,un giornalismo fatto di onestà intellettuale che presenta senza pregiudizi i punti di una campagna elettorale latita.
Certo il commento e un'analisi ci stanno,di solito le fanno i direttori e gli opinionisti,chi urlando o chi lo fa più sommessamente e sapientemente,ma la tirata fino alle prossime elezioni,fortunatamente più vicine di quanto si possa credere,è questione di cambiamenti che arrivano ogni ora.
Ce ne accorgiamo tutti,le reti Mediaset e i suoi notiziari ma farciture politiche ci sono pure in show televisivi,per quanto tenda a non seguirli parlano da mesi di un incandidabile che viene proiettato costantemente sulle tv del biscione,resuscitato da Renzi,anch'egli in bella mostra assieme ai grillini.
Per il resto poche apparizioni se non nessuna,e l'articolo preso da Contropiano(giornalismo-pig-del-corriere-della-sera )prendendo spunto da uno dei quotidiani più autorevoli(una volta forse),il Corriere della Sera,parla dell'andazzo giornalistico di questo periodo.
Innanzitutto diciamo che i tre pretendenti al trono del prossimo governo,la destra,il M5s e il Pd(messi in ordine di favoritismo elettorale almeno al giorno d'oggi)sono tutti per l'Europa unita e per l'Euro,da quando l'incandidabile ha messo a tacere tirando il guinzaglio i post fascisti Salvini e Meloni,il Pd da sempre è favorevole all'austerità europea mentre nonostante tentativi di voci fuori dal coro anche i Cinquestelle sono dalla parte dell'Ue.
Poi c'è Gori che apprezza dell'Utri,la new entry leghista Bongiorno che loda Andreotti(lo difese pure da avvocato),un Fiscal Compact che è ormai una garanzia perenne(gli unici"onesti"sul tema delle tasse sono quelli del Pd,nel senso che se le cose stanno così è dura fare miracoli)ed il gioco è fatto:chiunque andrà al potere avrà tra i coglioni ancora l'Europa.
Poi c'è chi di Bruxelles non vuole proprio sentire tipo Potere al Popolo,mina vagante che però sarà impossibile vederla al Parlamento perché progetto troppo giovane e come tutto quello che di buono può esserci nella sinistra vera si autosopprimerà alquanto a breve termine(sperando di essere smentito).


Il giornalismo “pig” del Corriere della Sera.

di  Dante Barontini 
Da tempo immemorabile, se uno vuol capire cosa sta covando nei “salotti importanti” dell’establishment nazionale, bisogna leggere con attenzione il Corriere della Sera.
Volete un esercizio di lettura? Facciamolo, allora, sul numero in edicola oggi, 19 gennaio.
Titolo principale: “Collegi, ecco le previsioni”, per rassicurare che in fondo non ci sarà alcun cambiamento reale come conseguenza del voto. Il centrodestra, infatti, viene spiegato come una forza ormai pienamente affidabile sul piano europeo e dei mercati. C’è “l’intesa sul programma” tra Berlusconi, Salvini e Meloni; che significa silenziatore alle sparate anti-Ue dei due monelli, finalmente tornati alla corte dell’anziano nonno. A confermare l’addomesticamento sostanziale del verro leghista c’è anche un’intervista all’avvocato delle cause da prima pagina, Giulia Buongiorno, che dopo aver sperimentato la politica con Gianfranco Fini ora si candida con la Lega giurando che Salvini “è concreto, come Giulio Andreotti”. Un nome, una garanzia…

A dare il tono rassicurante c’è il retroscena dell’informatissimo Federico Fubini, “La quiete dei mercati: basta che l’Italia resti nell’euro”. Contrariamente a quanto avvenuto in Olanda e Francia, dove alle recenti elezioni erano in campo formazioni euroscettiche piuttosto forti (quelle di Melenchon e Le Pen, su fronti completamente contrapposti, e quella di Geert Wilders), oggi in Italia questo pericolo non c’è. In fondo, domata la Lega, anche il Movimento 5 Stelle in versione Di Maio appare molto più appecoronato verso i poteri che contano (non si cambia il simbolo e non si va per caso negli Usa, a Cernobbio e da San Gennaro, prima delle elezioni). Ci sarebbe una forza potenzialmente pericolosa, ma sta muovendo solo ora i primi passi (Potere al Popolo, ovviamente); quindi è meglio non parlarne proprio, secondo il più antico precetto dell’autentico media di regime.
Il clou ideologico del Corsera è, come spesso accade, affidato a Giavazzi e Alesina, economisti della cattedra, sostenitori della teoria dell’”austerità espansiva” anche e soprattutto a dispetto delle verifiche empiriche negative. Nessun paese sottoposto a un regime di tagli di spesa e investimenti, privatizzazioni, ecc, è riuscito a rialzarsi. L’ultimo esempio viene dal Portogallo, che ha fatto alcune delle cose che sarebbero vietate da questa teoria, sorprendendo e perplimendo persino gli austeri censori de IlSole24Ore.

I due ideologi firmano un editoriale dal titolo apodittico: “Il rigore non è un freno”. Non è un un tema scelto a caso. In questi giorni tutte le coalizioni in lizza per le elezioni – tranne la solitaria Emma Bonino – hanno mostrato preoccupazioni per l’ingresso in vigore, con la legge di stabilità di quest’anno, del Fiscal Compact come “legge europea ordinaria”. Significa, in poche parole, che scomparirà anche quel margine di “flessibilità” contrattato annualmente tra i singoli governi nazionali e la Commissione Europea; e soprattutto che bisognerà metter su una manovra da minimo 50 miliardi l’anno per venti anni consecutivi allo scopo – onirico – di ridurre il debito pubblico.
Con un salasso così imponente, anche il più venduto dei politicanti nostrani si rende conto che avrà parecchie difficoltà di gestione, sia nel ripartire le amputazioni ai capitoli di spesa pubblica, sia nel “nutrire” le proprie clientele.
Dubbi che i due provano a fugare subito: “Quelle regole europee che vengono presentate come una rigida camicia imposta ai nostri conti pubblici, regole che sembrano esigere solo sacrifici, sono invece quelle che oggi possono permetterci di guardare al futuro con sufficiente tranquillità. Troppo spesso si confonde il rigore sui conti pubblici come un freno allo sviluppo. Non è vero. È grazie alla prudenza fiscale seguita quando l’economia va bene che, nel momento in cui arriva una recessione, si possono usare tasse e spesa per attenuarne gli effetti sulle famiglie”.

Non è mai avvenuto da nessuna parte, ma non fa niente. Questo è il Verbo, questo è il testo su cui bisogna fare professione di fede…
La voce più forte e radicale contro il Fiscal Compact arriva, come detto, da Potere al Popolo, che ieri ha presentato la lista nella Sala stampa della Camera. Logicamente, un giornale come il Corsera preferisce non dare neanche la notizia.
Non ce ne stiamo affatto lamentando. Ogni giornale si distingue in primo luogo per la selezione delle notizie da offrire al suo pubblico, e in secondo luogo per come le “cucina”. E’ perfettamente legittimo e un principio fondamentale del pluralismo politico-informativo.

Ma il Corsera fa qualcosa di più che censurare un notizia sgradita. Sceglie infatti proprio la giornata della “presentazione in pubblico” per far parlare invece… Marco Ferrando. Ovvero il capo assoluto del Pcl, piccola formazione troskista a suo tempo uscita da Rifondazione, che difficilmente riuscirà a raccogliere le firme per presentarsi in solitaria a queste elezioni. Cosa aveva di così fondamentale da dire, il buon Ferrando, secondo il Corsera? Nulla di serio. Lui stesso, dichiarando “L’obiettivo? La rivoluzione d’ottobre”, ammette di scherzare. E allora? Al Corsera basta quella frasetta velenosa contro Potere al Popolo, messa proprio in chiusura: in Potere al Popolo “c’è Rifondazione Comunista”. Ovvero proprio quel che serve, al giornale dei padroni, per derubricare la coalizione sociale delle situazioni di lotta – supportata anche da formazioni politiche molto diverse (Prc, Pci, Eurostop, Rete dei Comunisti, ecc) – a banale lifting dei soliti noti.

Il giornalismo pig si manifesta anche così, utilizzando competitor – per quanto improbabili, quantitativamente – per combattere il nemico principale…

mercoledì 17 gennaio 2018

MOSCOVICI E LA LETTERA PER L'ITALIA


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La presa di posizione del Commissario europeo per gli affari economici e monetari,il socialista Pierre Moscovici,ha come il suono di una sveglia verso la campagna elettorale italiana,nel senso che stiamo(stanno per dirla meglio)promettendo ciò che non si può soprattutto per la questione delle tasse,ma c'è stata una doverosa tirata d'orecchi per Fontana(madn fontana-il-moderatto )e una strigliata per gli stessi leghisti e all'altro partito populista,il M5s,che un giorno vuole l'Euro e l'altro no.
Praticamente in tutta Europa guardano con molta attenzione il voto italiano del 4 marzo,e lo stesso Moscovici sostiene il discorso del collega Padoan(ministri economici)che,entrambe sostenitori dell'Europa Unita,dicono che sia inutile promettere tagli quando poi l'Ue chiede il conto.
E questo calcolo sarà subito richiesto per chiunque vinca a primavera e con gli interessi:infatti c'è già pronta nel cassetto la letterina di richiamo per l'Italia visto che la legge di stabilità 2018 non piace al Commissario e ai poteri forti europei,per non parlare del debito pubblico che è ancora troppo alto per i diktat di Bruxelles.
Ovvio che la soluzione più facile sia quella di uscire dall'Euro e dall'Europa,ma gli altrettanto poteri forti italiani non hanno per ora intenzione minima di ottemperare alle richieste che via via si stanno sempre facendo più insistenti da parte del popolo,articolo di Contropiano(monito-moscovici-allitalia ).

Il monito di Moscovici all’Italia: “Votate pure, vi aspettiamo a Primavera”.

di  Stefano Porcari 
Italia, Catalogna e Germania turbano i sonni delle oligarchie europee. Il Commissario Europeo Moscovici nella sua conferenza stampa per il nuovo anno, ha parlato di tre rischi che incombono sull’Unione Europea e che “potrebbero portare nel maggio del 2019 a delle elezioni europee più difficili del previsto”, e fra questi rischi in primo piano segnala quello di avere un esito incerto o non gradito alle imminenti elezioni politiche in Italia.

“Il primo rischio è politico: l’Europa – ha osservato Moscovici – ha per sua natura orrore del vuoto, che è ancora più paralizzante della mancanza di consenso. Non ci nascondiamo che governare diversi grandi paesi dell’Ue è oggi complicato. L’Italia – ha ricordato – si prepara a delle elezioni incerte: su quale maggioranza, su quale programma europeo sfoceranno, mentre la situazione economica del Paese non è certamente la migliore nella zona euro? Felice chi può dirlo oggi”.

E’ bene non dimenticare mai che la Commissione Europea ha messo nel mirino la legge di stabilità 2018 varata dal governo italiano, perché rischia di non rispettare le ferree regole del Patto di Stabilità ed ha annunciato già per primavera “una lettera di richiamo” sul debito pubblico, troppo alto, e sul deficit strutturale che migliora solo marginalmente come indicato già nelle previsioni economiche. Il Governo italiano deve fare di più per abbattere il debito, e deve farlo entro la primavera perché ci sarà un nuovo esame. Con il rischio, come l’anno scorso, che si apra una procedura d’infrazione se la deviazione dei conti continuerà ad essere giudicata eccessiva. La Commissione ha informato l’Italia che in primavera verrà riesaminato il rispetto dei criteri del debito sulla base dei dati finali del 2017 e della manovra approvata dal Parlamento a dicembre. Un modo per rinviare la palla al prossimo governo che uscirà dalle elezioni del 4 marzo ed evitare misure lacrime e sangue durante la campagna elettorale.

Il commissario ha poi citato le altre ipoteche che incombono sul dogma della stabilità delle oligarchie europee.  C’è quella in cui si trova “il governo minoritario spagnolo, che deve fronteggiare la crisi catalana, archetipo di tutte le crisi regionali in Europa”. Infine, ma non certo per importanza, la vicenda del tormentato processo per la formazione di una coalizione di governo in Germania, che ha visto luce – nel tempio della stabilità – solo quattro mesi dopo le elezioni dello scorso 24 settembre.

“La rotta verso un nuovo governo è ancora lunga, ma voglio salutare il senso di responsabilità dei miei amici della Spd”, ha detto Moscovici, aggiungendo che “entrare in una nuova grande coalizione per i Socialdemocratici non è facile, dopo dei risultati che non sono stati i più brillanti della loro storia, Ma credo che sappiano che la Germania ha bisogno di un governo stabile, che loro ne sono la chiave, e che l’Europa ha bisogno di una Germania ambiziosa”, ha concluso “der Kommissar”.

PIROZZI SORPASSA GASPARRI?



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Dopo aver parlato della schifezza umana Fontana come candidato alle regionali della Lombardia ecco che nel Lazio il centrodestra unito potrebbe schierare Sergio Pirozzi come possibile Presidente,anche se c'è giusto da limare qualche poltrona,ops accordo tra i vari schieramenti che fanno parte dello stesso calderone di menzogneri razzisti e ladri.
L'articolo di Left(pirozzi-e-la-sua-epica-di plastica )non traccia un profilo lusinghiero di Pirozzi,non tanto per la sua retorica fascista propria dell'italiano medio che vede il Dvce costruttore di strade e di palazzoni ma che ha avuto la sciagura di allearsi con Hitler(come dire se non l'avesse fatto saremo stati ancora piccoli Balilla),ma per la sua oggettiva incapacità ad essere a capo di una regione molto importante per il paese.
Verrà scelto perché spacca la televisione forse,o perché parla come un machista ed ha saputo incarnare la disperazione dei terremotati di Amatrice in qualità di portavoce di tutte le nefandezze che hanno passato le persone colpite dal terremoto e che purtroppo le attenderanno.
Ma in fondo rimane un fascistello in una terra che è abitata da molti nostalgici del ventennio,senza offesa per chi ha combattuto contro il nazifascismo,una vittima degli eventi ma sui quali si è costruito un'immagine vincente anche se tanti sono i dubbi sulle scelte da sindaco soprattutto su questioni di edilizia che hanno comportato a disgrazie che potevano essere tranquillamente evitate.
Ecco perché molto probabilmente sarà lui il contendente al Presidente uscente Nicola Zingaretti del centrosinistra e Roberta Lombardi dei Cinque Stelle,certo che una trombatura di Gasparri sarebbe tosta...vedi anche un breve estratto del Pirozzi pensiero(liberoquotidiano sergio-pirozzi-fascismo-mussolini-duce-leggi-buone-sciagure-predappio-hitler ).

Pirozzi e la sua epica di plastica che rivende come nuova.

di Giulio Cavalli
Alzi la mano qualcuno che sappia esattamente quali siano le competenze politiche e amministrative di Sergio Pirozzi. Qualcuno ci dica esattamente quali siano i programmi politici che avrebbe intenzione di proporre nella Regione Lazio con la sua candidatura (non valgono le frasi “aiutare la povera gente”, “pretendere giustizia” o “risolvere i problemi della gente” altrimenti ognuno di noi potrebbe avere almeno un dozzina di amici pronti a scalare la presidenza del consiglio) e qualcuno ci spieghi esattamente quale sia la temperatura della sua sensibilità politica, la sua storia, il suo percorso e la sua meta (alla luce di quello che lui stesso ha dichiarato domenica a Il Messaggero: «Prima ero il sindaco montanaro inadeguato a guidare la Regione Lazio. Poi ero il candidato con i fascisti accanto. Poi sono diventato Zingarozzi, il comunista travestito da uomo di centrodestra, che vuole aiutare Zingaretti. Adesso sembra che sono di nuovo fascista, con il busto del duce anche in bagno, e i veri amici di Zingaretti mi attaccano. Domani chissà. Con me viene usato lo stesso metodo usato ossessivamente per ventiquattro anni con Silvio Berlusconi»).

Nessuno gli pone (e si pone) queste domande perché in fondo Pirozzi va bene così, in un tempo di politica che è solo una quotidiana e lunghissima trasmissione televisiva: è popolare, dicono. Eppure è popolare anche l’influenza in certi periodi dell’anno, è popolare la povertà, è popolare l’ignoranza, sono popolari le strisce pedonali, è popolare il formaggio sopra la pasta, è popolare il guardrail ma nessuno ha pensato di candidarli.

Pirozzi invece si inserisce perfettamente nell’epica superficiale dei nostri tempi: ha vissuto una tragedia (non personalmente ma ha trasmesso di essere addolorato di tutto il dolore della sua città e gli hanno creduto), ha superato la tragedia (non lui, ma personalizzando il terremoto il suo riscatto viene rivenduto come il riscatto di un territorio, benché la ricostruzione sia ancora in alto mare dalle sue parti) e s’è dimostrato forte (con il vecchio trucco della muscolosità verbale dal profumo fascista che oggi rende moltissimo). Poi ha negato fino all’inverosimile di volersi candidare così ora che s’à candidato rende l’idea di averlo fatto per “incessanti richieste” (di chi esattamente non si sa, visto che per ora è il barboncino di Storace) e infine è già passato al vittimismo («Chi teme la popolarità e la diversità rispetto alla politica tradizionale reagisce così. La mia ossessione invece è risolvere i problemi della gente del Lazio. Evidentemente chi ha solo l’ossessione dell’avversario, non è interessato ai problemi reali. Ma i cittadini ormai lo sanno», ha detto ieri) inventandosi un altro nemico immaginario.

Lo osservi e pensi che non potrà avere mai credito uno così. Poi ti guardi in giro. E temi.

Buon lunedì.

martedì 16 gennaio 2018

FONTANA IL MODERATTO


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Era troppo facile ieri parlare male del candidato Presidente alla regione Lombardia Attilio Fontana,che si è dimostrato una latrina umana degna di chi rappresenta,la Lega,dove dalle frequenze di Radio Padania ha sparato enormi cazzate sulla sedicente razza bianca,scontri religiosi e immigrazione che porterà all'estinzione spero chi la pensi come lui.
L'articolo(www.ecn.org/antifa fontana-candidato )che parla delle gesta eroiche(a parole)di questo essere su cui Lombroso avrebbe qualcosa da raccontare se pure lui non avesse avuto idee alquanto al di fuori del reale,non solo ripropone le farneticanti parole di uno che ha già perso in partenza nelle prossime elezioni,ma che non ha nessuna idea politica valida da proporre se non nel cadere nella retorica fascista che ottant'anni fa promulgò le orribili leggi razziali(madn ottantanni-e-non-dimostrarlinessun-uomo è illegale ).
Salvini per primo ma anche la Meloni,Berlusconi e Brunetta(i moderati)parlano di un'uscita infelice ma alla fine difendono quello che Fontana ha detto senza nessuna vergogna e senza alcuna paura,visto che le dichiarazioni di questa campagna elettorale sono abbastanza indecenti e figlie di una politica non fatta più da politici ma da ciarlatani,comici e razzisti.
Vedi anche:left il-genetista-barbujani-che-razza-di-politici .

Fontana Candidato alla Regione Lombardia: 'Razza bianca a rischio per i migranti'.

L'Italia non può "accettare tutti" gli immigrati. Lo ha detto il candidato presidente della Regione Lombardia per il centrodestra, Attilio Fontana, parlando ieri a Radio Padania. "Qui non è questione di essere xenofobi o razzisti, ma è questione di essere logici o razionali". "Non possiamo - ha sostenuto l'ex sindaco di Varese - perché tutti non ci stiamo, quindi dobbiamo fare delle scelte. Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se deve essere cancellata".

Qualche ora dopo, Fontana ha tentato di aggiustare il tiro: "È stato un lapsus - ha detto - un errore espressivo: intendevo dire che dobbiamo riorganizzare un'accoglienza diversa che rispetti la nostra storia, la nostra società".

"E' una scelta - aggiunge Fontana - se una maggioranza degli italiani dovesse dire 'dobbiamo auto-eliminarci', vuol dire che dobbiamo andare da un'altra parte". Rispondendo a un ascoltatore che lo interpellava sulla questione immigrazione, Fontana ha detto che "viviamo una realtà che è anche questa irraccontabile". "Uno Stato serio dovrebbe progettare e programmare anche una situazione di questo tipo - ha proseguito il candidato presidente della Lombardia -. Dovrebbe dire quanti riteniamo giusto accoglierne e quanti immigrati non vogliamo fare entrare, come li vogliamo assistere, che lavori dare loro, che case o scuole dare loro. A quel punto quando un governo fa un progetto di questo genere lo sottopone ai suoi cittadini". Secondo Fontana, non ha senso "fare il discorso demagogico e assolutamente inaccettabile per cui dobbiamo accettarli tutti". "E' un disegno a cui bisogna reagire, a cui bisogna ribellarsi - ha concluso l'esponente leghista -. Perché non possiamo accettarli tutti, perché se dovessimo accettarli tutti, non ci saremmo più noi come realtà sociale, come realtà etnica. Perché loro sono molti più di noi e molto più determinati nell'occupare questo territorio. Qui non è questione di essere xenofobi o razzisti, ma è questione di essere logici o razionali".

LA REPLICA DI GIORGIO GORI: Campagna elettorale: c'è chi parla di forconi e razza bianca. Noi parliamo di formazione, lavoro, crescita, Europa": in questi termini il candidato alla presidenza della Regione Lombardia per il centrosinistra Giorgio Gori replica su Facebook alle affermazioni sui migranti del suo sfidante del centrodestra Attilio Fontana.

SALVINI DIFENDE FONTANA: Matteo Salvini si schiera però con Fontana. "Al governo - dice il leader della Lega - normeremo ogni presenza islamica nel Paese. Esattamente come in tempi non sospetti ha sostenuto Oriana Fallaci, siamo sotto attacco, sono a rischio la nostra cultura, società, tradizioni, modo di vivere. E' in corso un'invasione, a gennaio sono ripresi anche gli sbarchi. Il colore della pelle non c'entra e c'è un pericolo molto reale: secoli di storia che rischiano di sparire - dice Salvini - se prende il sopravvento l'islamizzazione finora sottovalutata".

 http://www.ansa.it/lombardia/notizie/2018/01/15/fontana-razza-bianca-a-rischio-per-i-migranti_bcda489a-d3fe-49d7-84f8-e20ac2c338ef.html

lunedì 15 gennaio 2018

LAME FASCISTE COLPISCONO A GENOVA


L'aggressione ad un militante antifascista nei giorni scorsi a Genova,rimasto ferito per una coltellata alla schiena che fortunatamente non ha avuto conseguenze mortali,è l'ennesima prova di vigliaccheria compiuta da un branco di una trentina di ratti di fogna intervenuti mentre un piccolo gruppo di compagni stavano attaccando manifesti vicino la sede di Ca$$a Povnd.
Questi ultimi con scuse campate in aria come non meglio specificati casi di violenza alle donne(come se questi segaioli avessero ragazze nelle loro sale di cinghiamattanza)o di provocazioni(altro che,dovrebbero essere solamente radiati dalla terra)tentano di girarla dalla loro parte mentre il sindaco Bucci che li rappresenta degnamente non ha proferito parola.
Forse un bene visto le dichiarazioni da Ku Klux Klan di Fontana candidato alle regionali lombarde,ma su questo ci torneremo,fatto sta che sono centinaia i messaggi di solidarietà alla persona colpita e a tutto il movimento antifascista genovese:articolo di Popoff(genova-aggressione-fascista-si-indaga-per-tentato-omicidio ).

Genova, aggressione fascista. Si indaga per tentato omicidio.

Genova, accoltellato un militante antifascista. L’aggressione vicino a una sede di Casapound. La mobilitazione cittadina, il silenzio del sindaco Bucci

di Checchino Antonini
Assordante silenzio quello del sindaco di Genova, Bucci, dopo l’accoltellamento di un militante antifascista durante un’aggressione da parte di una trentina di squadristi di Casapound, pare tutti identificati dalla digos. Il sostituto procuratore Marco Zocco ha aperto un fascicolo, a carico di ignoti e la Digos ha depositato una prima informativa al magistrato. Nelle prossime ore si cercherà di risalire a tutte le persone coinvolte nella vicenda. I fatti nella tarda serata di venerdì scorso, 12 gennaio, quando un gruppo di antifascisti e antifasciste, intenti ad affiggere manifesti nella zona di piazza Tommaseo, è stato improvvisamente aggredito dai fascisti del III millennio usciti dalla loro sede di via Montevideo. «Brandivano bottiglie, cinghie e coltelli. Nel breve scontro che si è svolto, un compagno accorso per difendere un altro è stato circondato e colpito due volte: il coltello ha oltrepassato gli indumenti causando una ferita alla schiena. I fascisti, maestri della menzogna e vigliaccheria, stanno già producendo ricostruzioni assurde riguardo alla dinamica, parlando di “assalti” al covo di Casa Pound e a fantomatiche “violenze sulle donne”. Questi sono i fascisti del terzo millennio, cambiano nome, si spacciano da onlus e, sfruttando lo sdoganamento in atto da anni di partiti del centro sinistra e dall’appoggio delle destre, vorrebbero anche presentarsi alle prossime elezioni. Ma la verità è una. I fascisti agiscono sempre e solo in un modo: alle spalle e con le lame. Anche questa volta hanno mostrato il loro vero volto. Anche questa volta ci ritroveremo nelle strade». L’episodio si iscrive in un contesto che registra aggressioni, come quella di settembre contro una militante del Pcl, e il tentativo di penetrazione di vari gruppi della fascisteria, da Lealtà e Azione fino alle squadre della tartaruga. Mercoledì 17 gennaio, al teatro degli Zingari, si terrà un’assemblea per fare il punto della situazione anche in vista del corteo antifascista del 3 febbraio. «La Genova del 30 giugno 1960, la Genova dei giorni di lotta di luglio 2001, vuole essere percorsa ancora una volta dai chi non si arrende al fascismo dilagante, a chi non fa parte della maggioranza silenziosa, a chi vuole ancora vivere città, strade e quartieri liberi dai fascisti. Ai partigiani di ieri, ai partigiani di oggi ma soprattutto ai partigiani di domani. A tutti coloro che resistono diamo appuntamento il 3 febbraio a Genova ore 15 in piazza De Ferrari». Il 31 gennaio in piazza De Ferrari, luogo simbolo per l’antifascismo cittadino, si terrà un’assemblea pubblica. E’ la piazza del 30 giugno del ’60, quando migliaia di giovani scesero in piazza per impedire lo svolgimento del congresso nazionale del Msi nella città che s’era liberata da sola da fascisti e nazisti, senza aspettare gli alleati. A poche centinaia di metri il luogo in cui un generale nazista dovette consegnare la resa senza condizioni nelle mani di un operaio comunista, Remo Scappini, che era il capo del Cnl locale.

«In neanche 12 ore dalla pubblicazione dell’aggressione – scrive Genova Antifascista – sono arrivati moltissimi messaggi e comunicati di solidarietà non solo al compagno accoltellato dai militanti fascisti di Casa Pound ma anche alla lotta antifascista che la città di Genova insieme a moltissimi compagni e compagne, italiane e non, sta instancabilmente praticando. Non crediamo che chi ha mostrato solidarietà voglia essere ringraziato, siamo convinti che chi sta dedicando tempo ed energie a denunciare l’accaduto sarà ancora più determinato a partecipare al Corteo Antifascista del 3 Febbraio al quale, tra gli altri, aderisce il percorso di Potere al popolo. La gravità dell’accaduto di venerdì sera non è stata una sorpresa e neanche sarà un fatto isolato ma un’inevitabile conseguenza data dall’aver permesso che i fascisti aprissero sedi, organizzassero convegni e occupassero spazi pubblici – Scolopi e privati cittadini che affittano a militanti fascisti compresi. Ci ritroviamo nelle strade».

Da parte loro, la confraternita di sedicenti squadristi del III millennio rigetta «l’accusa di aver accoltellato un compagno, dichiarandosi completamente estranea a tale atto». «La notte tra il 12 e il 13 gennaio, un forte nucleo di antifascisti dopo aver provocatoriamente affisso manifesti infanganti le attività di CPI a favore degli italiani si schierava aggressivamente tra piazza Tommaseo e via Montevideo, minacciando alcune ragazze militanti e simpatizzanti di CPI davanti alla sede. I pochi militanti presenti si sono schierati a difesa, respingendo gli antagonisti che si sono dileguati».

Ma le notizie sono due: proprio domenica è diventato di pubblico dominio il transito di un esponente leghista nelle fila della formazione di estrema destra i cui esponenti sono spesso protagonisti della cronaca nera sebbene, ai piani alti del Viminale, ci siano estimatori in grado di produrre documenti sulla presunta affidabilità democratica della compagine che, esplicitamente, si richiama alle idee e alle pratiche del fascismo. Il suo nome è Fersido Censi, consigliere leghista del Municipio della Media Valbisagno: «Aderisco a CasaPound in quanto unico movimento realmente dalla parte degli italiani, fisicamente presente nei quartieri popolari in cui ho sempre svolto il mio operato politico. Riconosco in CasaPound un movimento meritocratico, dove poter esprimere davvero la volontà dei cittadini che mi hanno votato al Municipio IV». E’ solo l’ennesimo esempio di una contaminazione tra settori di Lega e ambienti del neofascismo fatta di contatti, convegni, insulti sui social. E silenzi istituzionali sulle vicende di violenza che segnano la città da tempo. Marco Bucci, imprenditore, è il primo sindaco di destra della città, a capo di una giunta con Lega, Fi e Fdi, eletto con poco più della metà del 42% dei voti dei genovesi che sono andati alle urne. Genova non è una città di destra.

La solidarietà dell’Anpi di Genova all’antifascista ferito richiama l’urgenza di un provvedimento che proibisca la piazza (e la partecipazione alle elezioni) a forze dichiaratamente fasciste: «Questo atto vigliacco accresce il livello di preoccupazione per una serie di episodi accaduti nella nostra città con protagonisti gruppi neofascisti – scrive l’Anpi Genova in una nota – e il fenomeno assume particolare gravità considerando lo sdoganamento e la conseguente legittimazione da parte di forze politiche presenti in parlamento e in maggioranze che governano città e regioni». L’Anpi esorta «le autorità competenti a vietare nelle competizioni elettorali la presentazione di liste direttamente o indirettamente legate a organizzazioni che si richiamino al fascismo o al nazismo, come previsto dai regolamenti e a proibire nei Comuni e nelle Regioni iniziative promosse da tali organismi». «Nel contempo – scrive l’Anpi – va condotta una solida battaglia culturale per una riaffermazione dei valori dell’antifascismo con particolare riferimento al valore della solidarietà e dei diritti civili». L’Anpi che ha promosso insieme ad altri soggetti l’appello ‘Mai più fascismi’, sarà in Comune a Genova martedì prossimo quando in Consiglio comunale sarà discussa la mozione del centro sinistra in cui si chiede di vietare spazi e suolo pubblici a formazioni che si richiamino al fascino o esprimano idee razziste o omofobe». Il Comune di Sestri Levante, a guida Pd, nelle settimane scorse ha deliberato in questo senso e pochi giorni dopo la sindaca Valentina Ghio ha ricevuto minacce.

domenica 14 gennaio 2018

PAOLO SOLLIER IL CENTROCAMPISTA COMUNISTA


Risultati immagini per paolo sollier
Il mondo del calcio,vuoi per la grande spettacolarizzazione che soprattutto negli ultimi decenni ha reso i professionisti del futbol eletti a semidei,vuoi per la decisione che ognuno prende di volere o meno esternare il suo pensiero privato,è sempre stato un terreno sterile per il proselitismo politico,a parte poche eccezioni.
Una di queste è la storia di Paolo Sollier che ieri ha compiuto gli anni e per questo Contropiano ha dedicato al centrocampista valusino di Chiomonte che ha vissuto al Perugia gli anni migliori della propria carriera un articolo riportato sotto(paolo-sollier-scritto-un-calciatore-non-debba-idee ).
Uno che esternava agli altri il proprio essere comunista nonostante abbia trovato non pochi problemi per la sua militanza cominciata già quando era operaio alla Fiat a Mirafiori,in un periodo che come oggi quelli che la pensano come lui non sono visti di buon'occhio,figuriamoci nel mondo patinato e ora strapagato del calcio.
L'altro contributo(www.minutosettantotto.it/la-versione-di-raffaeli )è un intervista a Giancarlo Raffaeli,umbro e compagno di squadra e di idee,anche se meno estremiste,di Sollier ai tempo del Perugia,cui aggiungo pure questi altri due per avere più notizie su una persona prima di essere un calciatore,(www.minutosettantotto.it/spero-con-tutto-il-cuore-di-battere-la-squadra-di-mussolini e storiedicalcio paolo_sollier_il trequartista militante )nonché scrittore(suo il libro"Calcio e sputi e colpi di testa"del 1976).

Paolo Sollier: “Dov’è scritto che un calciatore non debba avere idee?”.

di  Yuri Tancioni 
Paolo Sollier nasce a Chiomonte il 13 gennaio 1948. Nasce in Val Susa, terra orgogliosamente antifascista custode delle lotte partigiane prima e della resistenza No Tav poi.

Sollier è figlio di operai e a 20 anni inizia a lavorare nello stabilimento Fiat a Mirafiori, Paolo lavora, milita in Avanguardia Operaia e gioca a calcio in Serie C.
Paolo Sollier diventerà un calciatore professionista nelle file del Perugia nel 1974, addio fabbrica, addio padrone Agnelli. Paolo Sollier è un calciatore di serie b, un buon centrocampista ma soprattutto un comunista militante, il primo calciatore italiano che fa apertamente politica, perchè è quello che vuole, quello che per lui rappresenta il giusto.
Paolo è un antidivo, rifiuta di firmare autografi, non vuole essere un feticcio, la sua firma d’autore è rappresentata dal saluto a pugno chiuso con cui si presenta ad ogni pubblico in ogni partita.
Paolo è comunista e questo è giusto per lui; anche se è il solo ad esporsi così tanto in un mondo già troppo patinato per i suoi gusti. Si fa nemiche gran parte delle tifoserie avversarie, ma fa quello che per lui è giusto, da comunista militante.
Paolo gioca e fa volare il Perugia dalla serie B alla massima serie nel 1975 per la prima volta nella storia la squadra umbra gioca in serie A. Questo non cambia di una virgola la militanza di Sollier, anzi lo spronerà soprattutto nel guidare la sua squadra contro la Juventus del padrone Agnelli, combattuto in fabbrica e poi sconfitto sul campo di calcio. Quello scudetto a fine stagione andrà al Torino, per la Juve fatale la sconfitta contro il Perugia di Paolo Sollier, centrocampista comunista.
Nel 1976 esce il suo libro “Calci e sputi e colpi di testa” che lo rende celebre in tutto il movimento italiano, vendendo in pochi mesi trentamila copie. Andatelo a cercare quel libro e scoprirete la vita e la carriera di un calciatore militante che ha sempre fatto quello che riteneva giusto, per la squadra, per il comunismo.
Buon compleanno Paolo Sollier, a pugno chiuso.

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La versione di Raffaeli.

Chiunque leggendo Calci e sputi e colpi di testa, dove Paolo Sollier parla dei suoi colleghi come arroccati a difesa dei loro interessi e menefreghisti per il resto, definendoli «sbandati socialmente e politicamente», rimane colpito dalle parole utilizzate per descrivere un suo compagno di squadra: «comunista, ma del Pci». Parliamo di Giancarlo Raffaeli, terzino umbro con il quale Sollier ha condiviso, oltre alle stagioni al Perugia e al Rimini, anche l’interesse per la politica.
 I più curiosi avranno cercato informazioni sul suo conto, con la speranza di imbattersi nel classico calciatore di sinistra. Purtroppo, la curiosità rimane tale. Nessun libro, nessun articolo, nessun riferimento. Dunque, quando le fonti secondarie sono assenti si procede indagando su quelle primarie.

Partiamo dall’inizio. Come è stato giocare per la squadra della sua città (Foligno n.d.r.)?
È stato un po’ giocoforza, sono cresciuto calcisticamente nei vicoli di Foligno, poiché non c’erano strutture adeguate. C’erano solo il campo sportivo, qualche squadretta di quartiere e poi i vicoli; per questo ho cominciato nel settore giovanile del Foligno e poi, piano piano, sono entrato in prima squadra, iniziando la mia carriera da calciatore professionista. Facevamo la Serie D, che all’epoca era più competitiva di oggi perché in quel periodo c’erano solo la Serie A, B e C. Un campionato dove giocavano squadre storiche che ora sono nelle maggiori serie.

Durante questi anni il calcio era la sua unica occupazione o doveva lavorare per mantenersi?
In questi anni studiavo. Sono entrato in prima squadra quando avevo diciotto anni, dopo il diploma ho proseguito gli studi frequentando l’Isef. La mia carriera si è affermata a livello professionistico quando sono arrivato al Perugia.

La politica era presente nella sua vita prima che diventasse un calciatore professionista o è arrivata successivamente?
Non ho partecipato all’attività politica vera e propria, tuttavia ho partecipato a manifestazioni studentesche e scioperi vari. Partecipazione che rientrava nel mio essere di sinistra e comunista. Un po’ gli studi e un po’ il calcio hanno limitato la mia partecipazione alla vita politica del Paese.

Però rispetto alla media dei calciatori dell’epoca, ma anche di oggi, il fatto di partecipare a manifestazioni rappresentava una novità.
In linea generale sì, non ho mai incontrato tra i miei colleghi persone che si interessassero alla politica, era un po’ marginale, non era tra i pensieri primari dei calciatori. Non se ne parlava nemmeno, tranne in rare occasioni. Anche negli anni Settanta, dove ci sono stati dei forti sconvolgimenti sia interni che esterni, non si parlava di politica se non come fatto di cronaca. Ugualmente, negli anni a seguire, non ho riscontrato particolare interesse per la politica.

Come mai?
Non lo so, forse perché il calcio era un settore particolare oppure perché qualcuno aveva sì le sue idee, ma non erano prioritarie nell’attività che faceva. Magari restavano nella loro testa. Poche occasioni per poterne parlare o per poterle privilegiare, quindi non c’era questa abitudine di aprirsi politicamente.

La sua appartenenza politica le ha causato problemi a livello professionale?
Sì, ho avuto dei problemi nel periodo in cui militavo nel Perugia. Non dico dopo che ho conosciuto Sollier, come collega e come amico, però la mia appartenenza politica in quella direzione, come ho saputo a distanza di tempo, mi ha causato l’allontanamento al Rimini. La mia posizione politica non era vista ben volentieri. Parliamo sempre degli anni ’75-‘76 dove ancora c’era una certa antipatia per il comunista ed il partito comunista veniva visto come un nemico. C’erano delle perplessità, anche se a Perugia non ho mai fatto attività apertamente politica. Tuttavia, non avevo mai negato le mie origini.

I calciatori ai suoi tempi non avevano voce in capitolo nei trasferimenti.
Utilizzo un’espressione un po’ antipatica, i giocatori appartenevano alla società. Non era come oggi. Ora il calciatore è un libero professionista che apre e chiude contratti con varie società e una volta terminati rimane padrone di sé stesso.

Facciamo un passo indietro, come è stato il suo ritorno in Umbria al Perugia?
È stato bello, perché prima di tutto sono tornato vicino casa, anche se ad Imperia è stato il migliore anno a livello professionale e personale tra quelli che ho giocato, però rientrare nella mia regione in Serie B è stato un traguardo inaspettato. Un giocatore della quarta serie vedeva la cadetteria come un miraggio. Arrivare a Perugia fu una bella soddisfazione.

Che aria si respirava a Perugia in quel periodo?
A livello calcistico il Perugia vivacchiava in una posizione medio bassa, aveva dei problemi per fare il salto che abbiamo fatto due anni dopo. Una società che non riusciva ad emergere. Il primo anno abbiamo lottato fino all’ultima giornata per non retrocedere. Il secondo anno invece, inaspettatamente, c’è stato il salto di qualità: è stata rivoluzionata tutta la squadra, dell’anno prima rimanemmo in tre quattro giocatori, e arrivò il nuovo allenatore, Ilario Castagner. Cambiò la politica e l’assetto societario. La promozione è stata casuale a livello d’intendimenti, ma non a livello tecnico perché abbiamo dimostrato sul campo di meritare la vittoria del campionato.

Come è stato il rapporto con Sollier arrivato proprio quell’anno a Perugia?
Il rapporto con Sollier è stato ottimo, come lo è stato con tutti gli altri, poiché la vittoria di quel campionato è stata una vittoria del gruppo. C’era un grande affiatamento tra tutti i giocatori, con Sollier in particolar modo. Oltre al profilo professionale, c’era anche un sintonia politica, anche se lui era più impegnato politicamente di me, ma era presente questo ulteriore punto di contatto. C’erano però via via delle discussioni, ma anche punti di divergenza: lui era più estremista di me. Inoltre, mi tacciava di essere conformista.

Infatti, nel libro Calci e sputi e colpi di testa, Sollier la definisce come un “comunista da delega, delle cose che cambiano ma non troppo, della tradizione a tutti i costi”.
Ero un po’ più appiattito perché pensavo alle cose della vita normale: la fidanzata, il matrimonio, senza allargarmi un po’ a quelle che erano le problematiche del periodo. Ero un po’ più borghese secondo il suo punto di vista.

Guardando a ritroso, c’è del vero oppure è la classica dialettica tra militanti del Pci e quelli della sinistra extraparlamentare?
A livello di pensiero c’era una diversità, ma in questa diversità c’era una libertà di pensiero che veniva accettata da entrambe le parti. Io non potevo essere come lui, avevo una tradizione diversa: mio padre era operaio mio nonno pure, inoltre ero vissuto in una città di provincia, quasi un paesotto. Al contrario, Sollier era vissuto in un ambiente più grande come Torino, si era inserito in un meccanismo di lotta operaia e di problematiche sociali molto più profonde ed importanti delle mie, maturando una certa cultura politica, più profonda ed impegnativa rispetto alla mia. Questa diversità, malgrado fossimo entrambi di sinistra, fu dovuta anche alla questione di trovarsi in contesti diversi. La sua era una sinistra diversa, aveva un approccio più problematico.

La sua adesione al Pci si risolveva esclusivamente nel voto oppure aveva anche la tessera e partecipava attivamente alla vita del partito?
La tessera non l’ho mai avuta, neanche dopo che ho lasciato il calcio. Non partecipavo molto, anche perché lo studio e il calcio limitavano il tempo da dedicare alla politica, anche se questo non mi ha impedito di partecipare a manifestazioni, serrate a scuola e scioperi in ditte locali per la conquista di diritti, che all’epoca erano minori rispetto ad oggi. La mia partecipazione all’autunno caldo del ‘69 fu una partecipazione spontanea, poiché non ho mai seguito delle direttive di partito. Non ero strutturato e il mio impegno era limitato a livello informativo.

La nota foto con Sollier nella quale leggevate il Quotidiano dei lavoratori rappresenta una semplice istantanea oppure un esempio della vostra militanza politica?
Ho presente questa foto, ma non mi ricordo in che occasione venne scattata. Anche perché con Sollier finiti gli allenamenti o nei momenti di pausa stavamo spesso insieme in varie situazioni. Potrebbe anche essere casuale. Ma comunque riprende come vivevamo la quotidianità, leggendo pure un giornale insieme.

Calcio e politica. Qual è stato il loro rapporto nel corso degli anni Settanta? Qual è invece il rapporto che doveva avere a suo avviso?
Vivevo la politica come fosse stata una cosa normale, come espressione libera di certe ideologie, senza sospettare di essere visto in maniera negativa da parte del mio ambiente. Il calcio nell’ambito politico era fuori, era molto seguito in tutta Italia a livello di partecipazione – non essendoci tutti i media di oggi né tutti gli approfondimenti – quindi per vivere il calcio il cittadino andava allo stadio. Allo stadio erano presenti tutte le concezioni politiche. Il calcio non era visto come una cosa politicizzata, era visto come uno sport. È stato lasciato fuori dalla politica stretta tranne che da alcuni personaggi, tra i primi furono Sollier e Socrates che però vivevano in ambienti più pesanti e difficili.

Il calcio non era politicizzato. Questo secondo lei è stato un bene o un male? Il calcio per le sue dimensioni di sport che racchiudeva molta partecipazione popolare poteva essere uno strumento per veicolare messaggi?
Il calcio era solo fine a sé stesso. Sollier non usava il calcio per trasmettere certe sue posizioni politiche, esternava le sue idee perché nessuno gli diceva di non farlo, ma non utilizzava il calcio. Non credo che abbia usato il calcio per finalizzarlo alla politica.

Il calcio nella sua accezione politica può trasmettere valori importanti, anche perché il calcio spesso riflette le problematiche sociali e culturali di una società.
I calciatori oggi sono un po’ più impegnati ed hanno una maggiore notorietà, cercano di aprirsi a determinate problematiche, ma anche adesso non vedo politica nel senso stretto della parola. Vedo una partecipazione a problematiche mondiali e un impegno sociale maggiore rispetto a quello che poteva essere prima. Anche perché oggi i calciatori hanno vetrina migliore, attraverso le televisioni, le radio, i social network.

Cosa pensa del calcio moderno?
Troppo commerciale, in generale è un mezzo per gli sponsor e per le tivù. A livello tecnico è migliorato molto. Forse è molto più costoso di quello che poteva essere una volta, però il livello tecnico ed atletico è aumentato perché è diventato uno spettacolo che deve dare spettacolo. Anche se le partite sono un po’ più noiose di una volta, ma più spettacolari. Perché questo è ciò che richiede il pubblico e i media.

Come vede questa spettacolarizzazione del calcio?
Se positiva o negativa questo non lo so, però è in linea con i tempi. Le partite di una volta non sarebbero interessanti, era un gioco più lento, più ragionato. Anche gli stessi fuoriclasse di una volta oggi farebbero fatica perché il calcio è cambiato.

Questa spettacolarizzazione incide nel renderlo uno sport adatto ad affrontare determinate problematiche?
La valutazione dipende da cosa si vuole trasmettere. Se i valori sono buoni allora sarà positiva, al contrario sarà negativa. Si amplia la platea a cui questi messaggi e valori vengono recapitati.

Prima di alleggerire, quali sono i problemi del calcio italiano?
Secondo me la troppa presenza di stranieri o la troppa ricerca di comprare il giocatore già fatto da campionati esteri. Prima c’erano molti più vivai e possibilità per i giocatori italiani, ma non per una forma di nazionalismo. Questo aumenta sempre di più i costi per le società, poiché il valore di questi calciatori è alto, molto più alto di far crescere e maturare i giocatori del proprio vivaio. Le società preferiscono comprare all’estero il giocatore già fatto e pronto. In generale, i costi del calcio sono troppo disallineati con quelle che sono le problematiche sociali di oggi. Non si concepiscono certi ingaggi o certi costi con la situazione generale critica dei giorni nostri

Questo però è il frutto della spettacolarizzazione del calcio? Si aumenta quindi la distanza tra sport e persone?
Potrebbe essere anche questo. Prima c’era più vicinanza tra lo sportivo e il calciatore, adesso c’è molto più distacco. Una separazione netta.

Negli ultimi anni si è visto un aumento dei fallimenti delle società nelle serie minori, in particolare in Lega Pro, ma anche in serie B.
La tendenza di questo periodo è quella di una competizione al rialzo, non c’è la volontà di calmierare i costi, ma anzi di aumentarli e questo genera una spirale che porta a queste situazioni. A scalare questo trend a rialzo colpisce anche alla società minori, entità economiche diverse ma comunque costi di gestione che nel lungo periodo portano al fallimento oppure a condizioni insostenibili.

In questa lotta delle società al rialzo che possono portare, come abbiamo detto, al fallimento i tifosi, soprattutto nelle realtà più piccole e quindi più vicine al territorio, sono quelli che ne risentono maggiormente?
Certamente. Il tifoso è quel soggetto su cui ricade tutto. Tuttavia, il tifoso non è mai corresponsabile o complice. Il tifoso vorrebbe sempre di più senza però ragionare sulla sostenibilità delle sue richieste. Poi si trova in una situazione di sorpresa e disillusione, poiché non sta dietro ai bilanci o alle situazioni economiche, se ne accorge quando la società fa il botto, in situazioni in cui non si può tornare indietro.

Ritorniamo al discorso dei vivai: il fatto di comprare giocatori fatti o addirittura giovanissimi all’estero – ampliando il bacino dove pescare talenti – rompe il legame tra squadra e territorio?
Viene meno il rapporto affettivo, adesso il rapporto è sulla base dei risultati. Io sono attaccato alla società, a certi colori, solo se ho un ritorno a livello di risultati. Però in diversa maniera con il giocatore della città stessa o della regione si crea un feeling migliore e più duraturo. C’è maggiore affettività nei suoi confronti, ed è più solida. Effettivamente, oggi, manca questa affettività.

Quali sono i suoi calciatori preferiti?
Giocatori di classe che mi piace vederli a prescindere dal risultato e dalla squadra ce ne sono tanti. Sono un tifoso juventino dai tempi di Sivori, Charles, Martiradonna, Anzolin, per quel poco che faceva vedere la televisione pubblica. C’è qualche giocatore che preferisco vedere giocare, penso a Pogba, Higuain, Dybala, ma anche Nainggolan della Roma. Inoltre, sono affezionato sportivamente ai fuoriclasse del passato, Cabrini, Causio, Rivera, Riva, giocatori che ho avuto la fortuna di affrontare.

Cosa fa oggi?
Adesso sono in pensione. Dopo il calcio a livello professionistico ho giocato anche nei dilettanti stando qui in zona, perché il calcio a prescindere dalla categorie mi è sempre piaciuto, l’importante è che avessi un pallone ed un campo da calcio. Ho allenato in prima categoria. Poi sono entrato in una azienda di Foligno dove ho lavorato fino a novembre scorso. Non faccio il pensionato a tempo pieno, cerco di tenermi impegnato ed in forma.

Cosa ne pensa della politica italiana?
La politica oggi la seguo molto, è l’unica cosa che guardo in televisione anche perché ti offre talmente poco a livello di intrattenimento e di passatempo. Faccio fatica però a comprendere determinate dinamiche, poiché la politica è diventata una cosa molto complessa per come la hanno trasformata i politici di oggi. Certe cose le seguo, le vedo, però faccio fatica a capirle.

Il suo impegno politico prosegue anche oggi?
Sempre marginalmente e privatamente.

Che problemi vede, a parte la complessità, nella politica di oggi?
La struttura politica dei politici di oggi. Una volta c’era una scuola di formazione che dava sostanza e dopo anni di gavetta si diveniva politici. Adesso vengono fuori da un giorno all’altro, improvvisando. Ci sono rinnovamenti, ringiovanimenti, rottamazioni, però uno si trova a contatto con delle persone che non hanno le capacità per fare politica, perché, checché se ne dica, la politica deve vedere delle capacità indipendentemente dalla visione politica, destra, sinistra o centro. L’avversaria di una volta (la Democrazia cristiana n.d.r.) aveva delle persone che politicamente erano preparate, c’è una differenza di cultura politica. Oggi sono degli incapaci: si vede da come parlano, da come si esprimono e ogni volta si preparano ciò che devono dire, come una macchinetta. Non c’è elaborazione ed elasticità nel discorso, non sono spontanei ma programmati ed i risultati si vedono. Sono ormai trent’anni che si sono accavallate varie formazioni, ma siamo andati sempre su una china discendente.

È rimasto fedele alle sue visioni?
Sì, anche se adesso il contesto è cambiato, però nei principi e nei valori e nell’ideologia, che è diversa da quella ci poteva essere trent’anni fa, sono rimasto coerente, anche perché non ho avuto motivi per poterla cambiare; certamente l’ho un po’ limata ed adattata.

Intervista realizzata da Yuri Capoccia.